di Fabrizio Montanari.
La Reggio socialista dei primi anni del Novecento annoverò nelle sue fila una ricca serie di personaggi, che si distinsero per intelligenza, cultura e abnegazione alla causa. Di tale gruppo fecero parte, tra gli altri, oltre a Prampolini, Antonio Vergnanini, Luigi e Domenico Roversi, Giovanni Zibordi, Arturo Bellelli, Italo Salsi, Alessandro Mazzoli, Amilcare Storchi, Adelmo Sichel, Giuseppe Soglia, Giacomo Maffei, Manlio Bonaccioli, Alberto Borciani, Marzucchi e Patrizio Giglioli. La loro incessante propaganda tra il popolo e la loro personale credibilità portarono il movimento operaio reggiano ad avere un peso significativo in ambito nazionale.
Il “modello reggiano”, caratterizzato da cooperative, farmacie comunali, biblioteca popolare, opere pubbliche, leghe di resistenza, sindacato, amministrazioni comunali e provinciali a guida socialista, costituì, appunto, un modello preso ad esempio in molte realtà d’Italia. Basti pensare che nel 1903 a livello nazionale su 1136 sezioni e 39192 soci complessivi, ben 100 sezioni e 3948 iscritti furono quelli attribuiti alla provincia di Reggio. Tale proporzione si mantenne fino al dopoguerra, facendo della compattezza del riformismo reggiano una forza molto influente sia in rapporto agli avversari politici locali, sia nel dibattito interno al partito nazionale.
Lo strumento principale utilizzato per raggiungere quei risultati, fu senza dubbio al settimanale La Giustizia, il giornale voluto e fondato da Camillo Prampolini.
Quando, nel gennaio 1904, si decise di dar vita alla edizione quotidiana (quella settimanale continuò ad essere diretta da Prampolini), i componenti la redazione e i dirigenti del partito si interrogarono a lungo sulla figura da scegliere come direttore. Il nominativo proposto da Prampolini alla fine convinse tutti, avendone da tempo apprezzato i sui scritti, la coerenza politica, e sua dirittura morale. La scelta cadde, infatti, su uno stimato collaboratore del giornale, un riformista colto e autorevole, conoscitore del mondo della carta stampata, amico di Prampolini e di molti altri compagni reggiani: il padovano Giovanni Zibordi, classe 1870.
Terminati gli studi a Bologna in storia e letteratura con G. Carducci, Zibordi insegnò lettere italiane in diversi licei fino al 1901, quando iniziò a dirigere il giornale socialista mantovano La nuova terra. Dimessosi nel 1903 perché in contrasto con la maggioranza “rivoluzionaria” capeggiata da Enrico Ferri, Zibordi accolse l’invito di Prampolini con profonda gratitudine per essere stato chiamato a dirigere il giornale del “principale laboratorio di vita socialista” esistente, ma anche con il timore di fallire nell’impresa, che lo avrebbe visto lavorare accanto a un “mostro sacro” come Prampolini. Quei sentimenti Zibordi non esitò a esternalizzarli nella lettera d’accettazione dell’incarico inviata ai compagni di Reggio.
“Vengo alla Giustizia quotidiana con la coscienza del grave compito che mi assumo, ma confortato dal pensiero che quelli che mi chiamarono a tale ufficio, considerando che fu assai maggiore la colpa loro nell’invitarmi che la mia nell’accettare (perché a mio discarico sta l’attenuante della tentazione seducente) sentiranno il dovere di aiutarmi e di sorreggermi. Con la Giustizia siamo vecchi amici, come può esserlo uno scolaro con un maestro: e forse qualche lettore degli anni addietro si ricorderà delle mie corrispondenze…, ma non si spaventi, ché gli prometto che sono diventato più breve. Saluto quindi le vecchie conoscenze e le nuove, nel nome del socialismo quale io l’intendo, e quale- a quanto sembra- s’intende anche da voi: quello vecchio, che è anche quello nuovo, quello di sempre. Dovrei rimproverare i compagni che nella Giustizia settimanale parlarono di me in un modo che torna tutto a mio danno, perché mi prepara una aspettazione che sarà smentita dal confronto con la realtà. Ma considerato che, senza ch’io ve lo dica, se valgo poco, ve n’accorgerete anche troppo presto, è meglio che io lasci i convenevoli e cominci a lavorare”.
Zibordi
Quell’avventura, durata ben diciassette anni, dal 1 gennaio 1904 fino al 1921, diede, in realtà, modo al trentaquattrenne Zibordi di farsi stimare dai compagni. Polemista abile, efficace ed agguerrito, completò- in un certo modo- le attitudini propagandistiche del mite ed “evangelico” Prampolini. Lavoratore indefesso, intese da subito elevare La Giustizia, dall’anonimato della sterminata stampa di partito. Zibordi portò a Reggio, oltre alle sue capacità letterarie, un patrimonio di esperienza organizzativa accumulata nelle precedenti esperienze politiche nel mantovano. Già nel primo articolo come responsabile del giornale, salutò i lettori con una frase che volle essere anche un programma e un impegno: “lavorerò in nome del socialismo come io lo intendo e…come voi lo intendete; il vecchio [socialismo] che è anche il nuovo, quello di sempre”.
Nel volgere di poco tempo Zibordi divenne una delle massime personalità socialiste reggiane, certamente il più influente dopo Prampolini.
Sotto la sua direzione il giornale, in vendita al prezzo cinque centesimi, si arricchì di nuove rubriche, di importanti collaboratori del valore di Turati, Bissolati, Treves, De Amicis, Monticelli, ospitò le lettere dei lettori, ampliò le inserzioni pubblicitarie, portando la tiratura delle copie a coprire l’intero campo regionale.
Zibordi, d’altra parte, non nascose mai l’ambizione di voler far diventare La Giustizia un influente quotidiano nazionale. In effetti, grazie a quei successi, nel 1922 La Giustizia diventerà l’organo ufficiale del Partito socialista unitario di Matteotti.
L’impegno politico di Zibordi non si fermò però alla direzione del giornale. Al Congresso nazionale socialista di Reggio Emilia del 1912, Zibordi fu il più efficace oppositore di Mussolini nel suo assalto alla guida del partito. Neutralista convinto, si batté perché l’Italia non entrasse nel primo conflitto mondiale. Dopo l’esperienza di assessore comunale e consigliere provinciale, venne eletto deputato nel 1915 e nel 1919.
Nel 1922 aderì al PSU insieme alla grande maggioranza dei socialisti reggiani. Allontanatosi da Reggio in seguito ad una aggressione fascista, morì a Bergamo il 30 luglio 1943.