di Alessandro Perelli.
Del regime comunista di Pechino abbiamo giornalmente sempre nuovi elementi che dimostrano il suo grande protagonismo sullo scenario internazionale. Non ci riferiamo tanto alla scontata rielezione alla Presidenza della Repubblica di Xi Jinping, avvenuta, con la usuale votazione “bulgara” e con 2951 voti favorevoli, zero contrari e nessun astenuto, a testimonianza di una prassi che ha contraddistinto la Cina fin dai tempi di Mao Tze Tung. Questa rientra nella normalità di un Paese che, da tempo, ha trasformato le assisi istituzionali e i congressi del partito comunista, in copioni già scritti e preparati prima senza alcuna sorpresa e nei quali possono essere i programmi che mutano ma non le persone che li interpretano che sono sempre le stesse. Di Xi Jinping però, questa volta, si può dire che, essendo riuscito ad avere il pieno controllo dei funzionari del comitato centrale del partito comunista ( che costituiscono il corrispettivo dei grandi elettori negli Stati Uniti) può essere considerato una sorta di Presidente a vita. Oggi non ci soffermiamo neanche sulla recente presentazione del piano di pace per l’ Ucraina, che, comunque, nonostante le riserve Usa, dell’ Unione Europea e di Kiev sul fatto che in esso non venga citata compiutamente la necessità dell’ integrità territoriale dell’ Ucraina, ha rappresentato il primo serio tentativo di passare da uno stato di guerra a trattative di pace. Xi Jinping sarà a Mosca tra la prossima settimana per approfondirlo. Desideriamo invece sottolineare quanto accaduto pochi giorni fa a Pechino, dove, con la determinante mediazione della Cina e di Xi Jinping è stato sottoscritto uno storico accordo tra Iran e Arabia Saudita per la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due Paesi. Nella capitale cinese è stata firmata una dichiarazione congiunta dal Segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniana Ali Shamkhani e l’omologo saudita Mossad bin Mohammed Al-Alban, presente il direttore della Commissione centrale esteri del Partito comunista cinese Wang Yi. Tutti si possono rendere conto dell’ estrema importanza di questo atto per gli equilibri del medio oriente e mondiali. I rapporti tra Iran e Arabia Saudita riprendono quindi dopo la brusca interruzione arrivata nel 2016, per le proteste iraniane con l’assalto alla ambasciata saudita a Teheran in risposta all’esecuzione di un leader sciita. Una situazione di guerra sostanziale tra i due Paesi musulmani che oggi non solo riprendono le loro relazioni diplomatiche ma anche si sono impegnati a studiare strategie sulla reciproca sicurezza. Questo accordo è destinato a riscrivete l’andamento dei rapporti tra le due maggiori potenze geopolitiche del Medio Oriente. Di particolare interesse saranno le ripercussioni su Israele, che da anni collabora con Riad. Questo riavvicinamento tra l’Arabia Saudita e Teheran potrebbe insospettire Tel Aviv che con l’Iran è in stato di guerra subendone gli attacchi terroristici. E non dimentichiamo che Riad si è rifiutata di aderire agli accordi di Abramo definiti ancora in era Trump. Ma gli effetti dell’intesa firmata a Pechino si rifletteranno anche sugli Stati Uniti e sulla strategia americana nella regione mediorientale. La percezione è che il vuoto lasciato da Washington con il sostanziale ritiro dal Medio Oriente potrebbe essere colmato proprio dalla Cina. Pechino è notevolmente interessata alla stabilità in questa area nevralgica per l’accaparramento di energia e la distensione tra Iran e Arabia Saudita è fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Inoltre l’accordo ha ulteriori ampie applicazioni, sia riferite al tentativo di intesa da parte di Joe Biden sul nucleare iraniano sia per il conflitto nello Yemen che vede iraniani e sauditi impegnati gli uni contro gli altri. Si aprono, dopo questo positivo disgelo, tutta una serie di interrogativi a cui, nelle prossime settimane, si dovrà incominciare a dare risposte.