Di Alessandro Perelli
Il recente vertice tra l’ Unione Europea e le nazioni dell’ America Latina e dei Caraibi ha, tra l’altro, riacceso l’ attenzione sull’ accordo di libero scambio tra l’ UE e i quattro Paesi di Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. La questione ha radici antiche. Se ne comincio ‘ a parlare nel 1991 con il trattato di Asuncion che voleva costituire un’ area di libero scambio di merci, capitali e servizi tra i quattro Stati membri . I negoziati con Bruxelles hanno avuto inizio nel 2000 avendo una vita travagliata fatta di pause e di accelerazioni .
Si tratta di un complesso di di investimenti che e’ triplicato da quella data ad oggi superando i 350 miliardi di euro. Un’ ipotesi di accordo era stata raggiunta dall’ allora Presidente europeo Juncker ma si sono messi di mezzo successivamente veri e propri veti da parte di vari Paesi europei. Veniva contestata, all’ interno del colossale accordo commerciale , l’ incompatibilità del patti di Asuncion con gli obiettivi del Green Deal europeo e con l’Accordo di Parigi sul clima in particolare sul problema della salvaguardia ambientale dell’Amazzonia.
Irlanda , Austria e Francia avevano alzato i toni della protesta anche perché , oltre alla difesa della forestazione si aggiungeva l’ invasione di carni bovine argentine e brasiliane con grave danno all’ economia e alle risorse agricole dei singoli Paesi. Nonostante l’ impegno diplomatico del Portogallo, nel periodo di Presidenza UE, la situazione si è via via sfarinata e ai veti europei si sono aggiunte le resistenze del Brasile, che con Bolsonaro pretendeva mano libera in Amazzonia e la stessa incertezza dell’ Argentina, alle prese con cambi di Governo di diverso colore politico.
A meta’ del luglio di quest’anno , a margine del vertice, si è svolto un incontro tra la Presidente della commissione Ursula von der Leyen e il Capo di stato del Brasile Luiz Ignacio Lula. Si sperava che da questo incontro sarebbe venuta un parola positiva definitiva per la firma dell’ accordo. Ma questa volta e’ stato il successore di Bolsonaro a esprimere delle riserve sostenendo che l’ applicazione dell’ intesa di Parigi sul clima doveva essere volontaria e non obbligatoria mostrando un atteggiamento molto diverso da quello barricadiero e ambientalista mostrato in campagna elettorale contro Bolsonaro. Con la conseguenza di risvegliare la pressione dei verdi europei sulla salvaguardia del patrimonio ambientale dell’ Amazzonia sacrificando la pratica degli allevamenti indispensabile per le entrate finanziarie del Brasile.
Così Lula si è espresso con toni per nulla concilianti sostenendo che la colpa della mancata firma sia della UE che , a suo giudizio,cerca di impossessarsi delle risorse del Brasile senza lasciare nulla al suo popolo. Ha poi attenuato la pesantezza delle sue affermazioni ribadendo la volontà di concludere al più presto la trattativa in un Mercosur piu’ democratico e partecipativo. Sembra di essere ritornati al clima del 2019 quando i Paesi europei pretesero un impegno maggiore per la difesa dell’ ambiente e per la protezione dei diritti dei lavoratori. Solo che allora in Brasile governava la destra con Bolsonaro.
Oggi con un Ignacio Lula che non perde occasione, in politica estera ed interna , di caratterizzarsi come simbolo della nuova sinistra siamo però al punto di prima. Le prossime settimane saranno decisive per sapere se ci troviamo veramente alla svolta finale di un accordo che definire storico e’ il minimo che si possa dire.