di Marco Andreini
Nel mondo dei social e dell’uno vale uno sembra aver perso di moda il vecchio e basilare concetto dello studio dei problemi. Ogni sindacato aveva grandi scuole sindacali e ho partecipato molte volte a corsi che ad esempio a Pesaro, per la UIL e ad Ariccia per la Cgil, hanno formato molti funzionari del sindacato. E la prima cosa che ci veniva detta era che il nostro lavoro, per quei tempi, era più una missione e si assolveva all’interno di un sistema di mercato.
Il padrone, cioè il capitale in economia, e la manodopera, i lavoratori, dovevano essere un tutt’uno e lavorare in totale sinergia avendo come obiettivo la partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende. Nella storia del movimento dei lavoratori, in particolare nel settore industriale, va detto che per molti anni ha prevalso sia da parte padronale, Confindustria, sia da parte sindacale una forte conflittualità di classe che culminò nel famoso autunno caldo del 69 che portò a tutte le grandi conquiste contrattuali ancora oggi vigenti.
La grande stagione contrattuale dette vita a organismi di rappresentanza universale CDF, che sostituivano le vecchie RSA che rappresentavano solo gli iscritti. Un sistema di vera democrazia che venne istituzionalizzato nello statuto dei lavoratori. La legge 300 dava piena legittimità giuridica al sindacato e di converso a tutti i lavoratori che potevano partecipare alla vita delle aziende . La legge si inseriva all’interno di fabbriche che avevano ancora una organizzazione del lavoro basata sulla catena di montaggio, sul Taylorismo e quindi sul controllo dei lavoratori e di ogni fase della produzione.
Lo scontro continuo fra la concezione massimalista che vedeva i CDF come una sorta di Soviet, e il sindacato riformista che avrebbe voluto un movimento dei lavoratori unitario tendente alla partecipazione portò ad una forte politicizzazione dei CDF, che fece di fatto saltare in aria l’unità del movimento e ci trascinò dritti dritti alla grande sconfitta del sindacato che viene identificata con la marcia dei 40.000 della Fiat.
Con il senno di poi, non c’è alcun dubbio che senza quel disastro difficilmente avremmo ottenuto in pochissimo tempo i risultati che portarono il nostro paese ad essere la quinta potenza industriale.
All’inizio degli anni 80 avevamo un apparato industriale tra i più obsoleti del mondo occidentale, in pochi anni si misero in moto grandi ristrutturazioni industriali in tutte le più grandi aziende che portarono ad indici di produttività eccezionali. Fu un periodo di grandi elaborazioni contrattuali e si fecero migliaia di accordi con i quali si legavano i salari ad obiettivi aziendali. La grande conferenza di Rimini ’82 del Psi si inserì proprio in una situazione nella quale meriti e bisogni stavano diventando il paradigma di ogni rivendicazione contrattuale.
E quando si arrivò al famoso accordo di San Valentino sui tre punti di contingenza, cioé a 19.000 lire, tutti noi eravamo convinti che il sindacato unitariamente avrebbe firmato perché quell’accordo avrebbe permesso al sindacato di poter tornare a trattare quote di salario staccate dagli adeguamenti automatici della scala mobile che aveva di fatto mangiato tutta la contrattazione nazionale. Purtroppo così non andò e si aprì nelle fabbriche come nella società la corsa al socialista o al sindacalista riformista, fino all’ennesima sconfitta sul referendum dell’85 che è stato voluto dalla CGIL comunista e dal PCI.
La discussione attuale sul salario minimo se non ha un preciso legame con la produttività del nostro sistema rischia di creare solo danni alla nostra economia. Il nostro sistema contrattuale che coinvolge oltre il 90% di tutti gli occupati si basa su un sistema diviso in sette livelli retributivi più i quadri, un sistema che premia il merito la conoscenza e l’anzianità, stabilire per legge le retribuzioni cancella l’essenza stessa del sindacato.
La grande battaglia della Francia sulle pensioni pone il tema del tempo di vita dopo il lavoro. In Italia, non due anni, ma sei anni in più sono passati, senza drammi e solo con qualche pianto in TV, ma il tema delle pensioni future esiste ed è anche per queste ragioni che non è tollerabile un sistema come quello del RDC a vita che di fatto lascia la gente in un regime di povertà perenne.
La società ha l’obbligo di creare condizioni di lavoro, non di garantire per tutti diritti uguali. Oggi non è così, ecco perché bisogna adeguare la società attuale alla legislazione scrivendo ad esempio un nuovo statuto dei lavori che tenga conto delle trasformazioni che ha avuto la società in questi 50 anni. I Rider,i lavoratori dei call center, i lavoratori domiciliari, i lavori creati dai social devono vedere una precisa legittimazione giuridica e retributiva.
Allo stesso modo è bene porre una questione che appare ormai ineludibile e cioè che noi viviamo in un paese che ha due velocità, un sistema industriale che purtroppo è esposto ad ogni mutamento delle condizioni economiche e un sistema paese assolutamente inadeguato come ad esempio nel settore della logistica e della giustizia
Non esiste una questione salariale per tutti, esiste invece il tema della valorizzazione del lavoro industriale e una sinistra che vuole tornare a vincere deve porre questo tema al centro della propria azione, diminuendo il cuneo fiscale solo al sistema privato dell’industria e dei servizi. Così come allo stesso modo solo la differenziazione fiscale di tre punti in meno di Irpef sperimentale per tre anni dell’occupazione femminile può consentire alle donne di avere il giusto posto che gli spetta nella società.
Per 15 anni sono stato responsabile Welfare del Psi e se dovessi organizzare oggi una conferenza del lavoro la farei invitando a parlare non i professionisti del passato, ma gli attori attuali del mondo del lavoro, rappresentanti del governo, lavoratori delle piattaforme come i rider, i lavoratori delle cooperative di vigilanza che prendono stipendi da fame, gli stagionali dell’agricoltura, i lavoratori e i consulenti che lavorano nei centri per l’impiego e gli assistenti sociali dei comuni ,le passerelle sono assolutamente inutili e non servono a nulla