Ieri a Padova, nella elegante sala di palazzo Moroni, si è tenuto un interessantissimo convegno sul tema del riformismo intitolato “Il socialismo liberale verso la costruzione di un unico soggetto riformista“.
Tra i relatori Cesare Pinelli, direttore di Mondoperaio, Mario Raffaelli per Azione ed Elena Bonetti per Italia Viva, infine Riccardo Mortandello che è intervenuto sul tema “Le città e le potenzialità di un soggetto unitario del riformismo”.
Questo l’intervento del nostro direttore Mauro Del Bue, che ha parlato del socialismo liberale, e di cui riportiamo il testo integrale.
Tra i relatori Cesare Pinelli, direttore di Mondoperaio, Mario Raffaelli per Azione ed Elena Bonetti per Italia Viva, infine Riccardo Mortandello che è intervenuto sul tema “Le città e le potenzialità di un soggetto unitario del riformismo”.
Questo l’intervento del nostro direttore Mauro Del Bue, che ha parlato del socialismo liberale, e di cui riportiamo il testo integrale.
“Sono qui a nome dell’Associazione socialista liberale e del giornale che dirigo, La Giustizia, testata fondata da Camillo Prampolini nel 1886, dieci anni prima dell’uscita dell’Avanti. E devo dire che mi trovo perfettamente a mio agio con il mio vecchio amico Mario Raffaelli, dirigente nazionale di Azione, e con Elena Bonetti, esponente di Italia viva e già ministro, che ha voluto fare esplicito riferimento alle radici socialiste della quale la Costituente non può fare a meno
Quando si parla di Socialismo liberale non si può che fare direttamente riferimento a Carlo Rosselli e al suo scritto nel confino di Lipari alla fine degli anni venti e poi pubblicato a Parigi dove Carlo si era rifugiato dopo la fuga dall’isola, prima raggiungendo, con Emilio Lussu, la Tunisia e poi con un viaggio altrettanto avventuroso, la Francia.
Noi stiamo usando alternativamente le definizioni di socialismo riformista e di socialismo liberale. Personalmente sono convinto che i termini non siano affatto in contrapposizione. Anzi hanno essi trovato un’origine comune, determinando poi una dimenticanza comune e suscitando un’altrettanto comune riscoperta. Rosselli é egli stesso un socialista turatiano e nel 1924 si iscrisse al Psu, il partito nato nel 1922 dagli espulsi dal Psi serratiano.
Pensate che tempismo, proprio a pochi giorni dalla marcia su Roma. E nel 1926 Rosselli aveva promosso l’espatrio di Turati assieme a Pertini e ad altri con un’imbarcazione partita da Savona. Raggiunsero la Corsica, Turati e Pertini partirono per Nizza, ma Rosselli rientrò in Italia e fu subito arrestato.
Tuttavia il socialismo riformista italiano non era una nuova teoria. Al massimo i riformisti facevano riferimento all’ultimo Engels, quello che, nel 1895, aveva scritto, nella prefazione a una nuova edizione del libro di Carlo Marx, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, una nuova tesi sulla possibilità che il suffragio universale sostituisse la rivoluzione armata nella costruzione del socialismo. Ma in Italia non c’era un Bernstein, il teorico tedesco del revisionismo marxista, ma solo un Bonomi col suo più modesto volume “Le vie nuove del socialismo”.
Purtuttavia anche se Turati e Prampolini mettevano anch’essi in discussione la dittatura del proletariato, concepita da Marx come fase transitoria nella edificazione del socialismo (Prampolini era convinto, con il suffragio universale, che compito dei socialisti fosse proprio quello di educare e unire il proletariato che costituiva la maggioranza e Turati riteneva il socialismo un’evoluzione costante “delle cose e delle teste” proclamando al congresso di Livorno che “la via lunga era la sola breve”) i riformisti non mettevano in discussione l’essenza del marxismo. Erano revisionisti senza dirlo. Rosselli é un revisionista esplicito. Rosselli riscontra proprio nel marxismo il germe dell’autoritarismo. E rimarca la mancanza di una teoria democratica dello stato che intende ereditare proprio dalla cultura liberale. Parliamo di cultura e non di partito liberale. La sua ispirazione é il laburismo inglese. Era stato lui stesso, assieme al suo mentore Gaetano Salvemini, ad insegnare a Londra. E da lì collaborò proprio con “La Giustizia”, allora diretta da Claudio Treves che, dopo, la pubblicazione del Socialismo liberale, non gli farà davvero mancare osservazioni critiche.
Il suo socialismo liberale é decisamente antifascista. Nel 1925 Rosselli fonda, assieme a Ernesto Rossi, la rivista “Non mollare” e l’anno dopo, assieme a Nenni, il “Quarto stato”. Nella guerra civile spagnola combatte con una sua organizzazione militare. E proclama il suo famoso slogan “Oggi in Spagna domani in Italia”. Nel 1930 fonda il movimento “Giustizia e libertà” che poi, dopo il suo omicidio che coinvolge anche il fratello Nello, ad opera dell’organizzazione dell’estremismo francese La Cagoule, originerà i primi nuclei del Partito d’azione. Al suo socialismo liberale, in quanto azionisti, guardarono uomini come Riccardo Lombardi, Francesco De Martino e Ugo La Malfa. Poi più nulla. Il socialismo liberale venne espunto dalla revisione di Nenni dopo il 1956 e la stessa unificazione socialista del 1968 non ne fece accenno.
Sono anzi cancellati per interi decenni, insieme, le qualificazioni del socialismo come riformista e liberale. Nel Psli di Saragat, che si formò con la scissione del gennaio 1947 e che non fece proprio il socialismo riformista e men che meno quello liberale, coabitava addirittura una componente trozkista composta anche dai giovani Ruffolo e Formica.
Il Psi si riappropria del riformismo col congresso di Palermo del 1981 e alla fine degli anni ottanta anche del socialismo liberale col Lib-lab che portò anche esponenti liberali, come Enzo Bettiza, a candidarsi nel Psi. Oggi addirittura assistiamo all’abuso del termine riformista. Tutti si dichiarano riformisti. Ma riformista era il nome di una corrente del Psi e nacque da un’offesa dei rivoluzionari. Si intendeva, magari si aggiungeva l’aggettivo spicciolo, che costoro si accontentavano delle riforme e non volevano la trasformazione profonda della società. Poi c’é la nota confusione tra liberalismo e liberismo. Il liberismo é una teoria che nega l’intervento dello stato in economia al contrario del socialismo e del keynesismo che lo postulano. Oggi nessuno stato, anche conservatore, può definirsi liberista. Dopo la pandemia assistiamo all’epopea di bonus e di interventi diretti dello stato sul mercato. La Grrmania ha stanziato 200 miliardi per abbassare il prezzo del gas. L’Ue ha fissato il prezzo massimo di questa stessa fonte energetica. E, in Italia, pensiamo ai bonus edilizi. Abbiamo assistito all’aumento del Pil ma a fronte di un debito che non s’abbassa. E’ lo stato il principale investitore.Noi siamo in una fase post liberista. Ecco perché, oltretutto, i due termini liberalismo e socialismo possono andare a braccetto senza confusione. E senza ipocrisia.
Siamo pronti a un confronto col cosiddetto Terzo polo e con tutte le associazioni e movimenti interessati a costruire un fatto nuovo nella politica italiana. Il socialismo riformista e quello liberale sono gli unici che hanno impedito al socialismo di finire nel fallimento e nella tragedia. Tutto il resto é finito, esausto, tracollato nella scomunica e nella vergogna. Il socialismo vive grazie ai perseguitati dal socialismo. L’eresia lo ha salvato. Turati fu cacciato dal Psi nel 1922 e Rosselli fu definito “niente più che un social fascista” da Togliatti alla sua morte nel 1937 a seguito dell’omicidio di lui e del fratello Nello. Come Gramsci, che volle definire Matteotti, dopo il suo martirio, “il pellegrino del nulla”. Naturale che Carlo (Rosselli, non Calenda) che contestava i dogmi del socialismo fosse perseguitato dai sacerdoti del dogmatismo. I cultori dell’ortodossia vivono e si gongolano anche nei piccoli partiti. Le scomuniche sono all’ordine del giorno. Ma gli scomunicati sanno attendere i giorni delle loro riabilitazioni. Generalmente con pazienza.
Mi auguro che il nuovo partito, come ha assicurato Elena Bonetti, non voglia fare a meno di questa identità, quella del socialismo riformista e liberale. Quella degli eretici e degli scomunicati. Calenda si era definito lui stesso un socialista liberale, e allora apra un confronto prima culturale e poi politico con i socialisti dopo che la Schlein ha spostato a sinistra, o meglio verso i Cinque stelle, l’asse del Pd. Lei é nipote del senatore socialista Agostino Viviani che fece della lotta al potere assoluto della magistratura la stessa sua ragione di esistenza politica. Ora, non mi sembra che l’unità con la pattuglia di Conte, con il travaglismo del Fatto quotidiano, sia in sintonia con le opinioni dell’avo milanese.
Con il Terzo polo abbiamo invece l’essenza della politica in comune: una particolare sensibilità proprio sui temi della giustizia e del garantismo e un consenso di massima con gli intenti primari del ministro Nordio, per la verità oggi piuttosto ovattati, una comune visione della politica estera, come prova l’intransigente appoggio a tutti i popoli aggrediti a cominciare da quello ucraino.
I sedicenti pacifisti che non vogliono inviare armi all’esercito dei resistenti ucraini, non vogliono la pace, ma desiderano la resa alla Russia dell’Ucraina che, senza gli aiuti occidentali, sarebbe occupata in pochi giorni. Comune é la proposta del salario minimo, la preoccupazione di non perdere i fondi del Pnrr, e l’opportunità di accedere al Mes sanitario. Così come identico é l’afflato presidenzialista o semi presidenzialista. E mi appare anche convergente la rilettura del passato recente, quello degli ultimi trent’anni, che ci hanno visto vittime, in molti casi incolpevoli, come dimostro nel mio ultimo libro “L’impronta”, dove é accertato che nel 95% del casi i parlamentari socialisti inquisiti sono poi stati assolti.
Ma allora, Renzi a cui i magistrati hanno inquisito anche mamma e babbo, e zii e nipoti e cani e gatti lo sa bene, un avviso di garanzia equivaleva a condanna e a dimissioni da tutti gli incarichi politici. Ho avvertito una sensibilità particolare a rivalutare le ragioni socialiste solo da parte di Renzi e del Terzo polo. E questa é una delle ragioni più convincenti a spingerci verso di voi. Una ragione difficile da poter dimenticare. Almeno per noi. O per quelli di noi che da sempre mantengono la schiena dritta e guardano con orgoglio all’ avverarsi della loro storia.”
Quando si parla di Socialismo liberale non si può che fare direttamente riferimento a Carlo Rosselli e al suo scritto nel confino di Lipari alla fine degli anni venti e poi pubblicato a Parigi dove Carlo si era rifugiato dopo la fuga dall’isola, prima raggiungendo, con Emilio Lussu, la Tunisia e poi con un viaggio altrettanto avventuroso, la Francia.
Noi stiamo usando alternativamente le definizioni di socialismo riformista e di socialismo liberale. Personalmente sono convinto che i termini non siano affatto in contrapposizione. Anzi hanno essi trovato un’origine comune, determinando poi una dimenticanza comune e suscitando un’altrettanto comune riscoperta. Rosselli é egli stesso un socialista turatiano e nel 1924 si iscrisse al Psu, il partito nato nel 1922 dagli espulsi dal Psi serratiano.
Pensate che tempismo, proprio a pochi giorni dalla marcia su Roma. E nel 1926 Rosselli aveva promosso l’espatrio di Turati assieme a Pertini e ad altri con un’imbarcazione partita da Savona. Raggiunsero la Corsica, Turati e Pertini partirono per Nizza, ma Rosselli rientrò in Italia e fu subito arrestato.
Tuttavia il socialismo riformista italiano non era una nuova teoria. Al massimo i riformisti facevano riferimento all’ultimo Engels, quello che, nel 1895, aveva scritto, nella prefazione a una nuova edizione del libro di Carlo Marx, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”, una nuova tesi sulla possibilità che il suffragio universale sostituisse la rivoluzione armata nella costruzione del socialismo. Ma in Italia non c’era un Bernstein, il teorico tedesco del revisionismo marxista, ma solo un Bonomi col suo più modesto volume “Le vie nuove del socialismo”.
Purtuttavia anche se Turati e Prampolini mettevano anch’essi in discussione la dittatura del proletariato, concepita da Marx come fase transitoria nella edificazione del socialismo (Prampolini era convinto, con il suffragio universale, che compito dei socialisti fosse proprio quello di educare e unire il proletariato che costituiva la maggioranza e Turati riteneva il socialismo un’evoluzione costante “delle cose e delle teste” proclamando al congresso di Livorno che “la via lunga era la sola breve”) i riformisti non mettevano in discussione l’essenza del marxismo. Erano revisionisti senza dirlo. Rosselli é un revisionista esplicito. Rosselli riscontra proprio nel marxismo il germe dell’autoritarismo. E rimarca la mancanza di una teoria democratica dello stato che intende ereditare proprio dalla cultura liberale. Parliamo di cultura e non di partito liberale. La sua ispirazione é il laburismo inglese. Era stato lui stesso, assieme al suo mentore Gaetano Salvemini, ad insegnare a Londra. E da lì collaborò proprio con “La Giustizia”, allora diretta da Claudio Treves che, dopo, la pubblicazione del Socialismo liberale, non gli farà davvero mancare osservazioni critiche.
Il suo socialismo liberale é decisamente antifascista. Nel 1925 Rosselli fonda, assieme a Ernesto Rossi, la rivista “Non mollare” e l’anno dopo, assieme a Nenni, il “Quarto stato”. Nella guerra civile spagnola combatte con una sua organizzazione militare. E proclama il suo famoso slogan “Oggi in Spagna domani in Italia”. Nel 1930 fonda il movimento “Giustizia e libertà” che poi, dopo il suo omicidio che coinvolge anche il fratello Nello, ad opera dell’organizzazione dell’estremismo francese La Cagoule, originerà i primi nuclei del Partito d’azione. Al suo socialismo liberale, in quanto azionisti, guardarono uomini come Riccardo Lombardi, Francesco De Martino e Ugo La Malfa. Poi più nulla. Il socialismo liberale venne espunto dalla revisione di Nenni dopo il 1956 e la stessa unificazione socialista del 1968 non ne fece accenno.
Sono anzi cancellati per interi decenni, insieme, le qualificazioni del socialismo come riformista e liberale. Nel Psli di Saragat, che si formò con la scissione del gennaio 1947 e che non fece proprio il socialismo riformista e men che meno quello liberale, coabitava addirittura una componente trozkista composta anche dai giovani Ruffolo e Formica.
Il Psi si riappropria del riformismo col congresso di Palermo del 1981 e alla fine degli anni ottanta anche del socialismo liberale col Lib-lab che portò anche esponenti liberali, come Enzo Bettiza, a candidarsi nel Psi. Oggi addirittura assistiamo all’abuso del termine riformista. Tutti si dichiarano riformisti. Ma riformista era il nome di una corrente del Psi e nacque da un’offesa dei rivoluzionari. Si intendeva, magari si aggiungeva l’aggettivo spicciolo, che costoro si accontentavano delle riforme e non volevano la trasformazione profonda della società. Poi c’é la nota confusione tra liberalismo e liberismo. Il liberismo é una teoria che nega l’intervento dello stato in economia al contrario del socialismo e del keynesismo che lo postulano. Oggi nessuno stato, anche conservatore, può definirsi liberista. Dopo la pandemia assistiamo all’epopea di bonus e di interventi diretti dello stato sul mercato. La Grrmania ha stanziato 200 miliardi per abbassare il prezzo del gas. L’Ue ha fissato il prezzo massimo di questa stessa fonte energetica. E, in Italia, pensiamo ai bonus edilizi. Abbiamo assistito all’aumento del Pil ma a fronte di un debito che non s’abbassa. E’ lo stato il principale investitore.Noi siamo in una fase post liberista. Ecco perché, oltretutto, i due termini liberalismo e socialismo possono andare a braccetto senza confusione. E senza ipocrisia.
Siamo pronti a un confronto col cosiddetto Terzo polo e con tutte le associazioni e movimenti interessati a costruire un fatto nuovo nella politica italiana. Il socialismo riformista e quello liberale sono gli unici che hanno impedito al socialismo di finire nel fallimento e nella tragedia. Tutto il resto é finito, esausto, tracollato nella scomunica e nella vergogna. Il socialismo vive grazie ai perseguitati dal socialismo. L’eresia lo ha salvato. Turati fu cacciato dal Psi nel 1922 e Rosselli fu definito “niente più che un social fascista” da Togliatti alla sua morte nel 1937 a seguito dell’omicidio di lui e del fratello Nello. Come Gramsci, che volle definire Matteotti, dopo il suo martirio, “il pellegrino del nulla”. Naturale che Carlo (Rosselli, non Calenda) che contestava i dogmi del socialismo fosse perseguitato dai sacerdoti del dogmatismo. I cultori dell’ortodossia vivono e si gongolano anche nei piccoli partiti. Le scomuniche sono all’ordine del giorno. Ma gli scomunicati sanno attendere i giorni delle loro riabilitazioni. Generalmente con pazienza.
Mi auguro che il nuovo partito, come ha assicurato Elena Bonetti, non voglia fare a meno di questa identità, quella del socialismo riformista e liberale. Quella degli eretici e degli scomunicati. Calenda si era definito lui stesso un socialista liberale, e allora apra un confronto prima culturale e poi politico con i socialisti dopo che la Schlein ha spostato a sinistra, o meglio verso i Cinque stelle, l’asse del Pd. Lei é nipote del senatore socialista Agostino Viviani che fece della lotta al potere assoluto della magistratura la stessa sua ragione di esistenza politica. Ora, non mi sembra che l’unità con la pattuglia di Conte, con il travaglismo del Fatto quotidiano, sia in sintonia con le opinioni dell’avo milanese.
Con il Terzo polo abbiamo invece l’essenza della politica in comune: una particolare sensibilità proprio sui temi della giustizia e del garantismo e un consenso di massima con gli intenti primari del ministro Nordio, per la verità oggi piuttosto ovattati, una comune visione della politica estera, come prova l’intransigente appoggio a tutti i popoli aggrediti a cominciare da quello ucraino.
I sedicenti pacifisti che non vogliono inviare armi all’esercito dei resistenti ucraini, non vogliono la pace, ma desiderano la resa alla Russia dell’Ucraina che, senza gli aiuti occidentali, sarebbe occupata in pochi giorni. Comune é la proposta del salario minimo, la preoccupazione di non perdere i fondi del Pnrr, e l’opportunità di accedere al Mes sanitario. Così come identico é l’afflato presidenzialista o semi presidenzialista. E mi appare anche convergente la rilettura del passato recente, quello degli ultimi trent’anni, che ci hanno visto vittime, in molti casi incolpevoli, come dimostro nel mio ultimo libro “L’impronta”, dove é accertato che nel 95% del casi i parlamentari socialisti inquisiti sono poi stati assolti.
Ma allora, Renzi a cui i magistrati hanno inquisito anche mamma e babbo, e zii e nipoti e cani e gatti lo sa bene, un avviso di garanzia equivaleva a condanna e a dimissioni da tutti gli incarichi politici. Ho avvertito una sensibilità particolare a rivalutare le ragioni socialiste solo da parte di Renzi e del Terzo polo. E questa é una delle ragioni più convincenti a spingerci verso di voi. Una ragione difficile da poter dimenticare. Almeno per noi. O per quelli di noi che da sempre mantengono la schiena dritta e guardano con orgoglio all’ avverarsi della loro storia.”
2 commenti
Carissimo Mauro, la tua profonda analisi vorrenbe essere riletta molto attentamente,….il mio amaro rammarico rimane il vuoto lasciato per per un imperdonabile e irrecuperabile lasso di tempo. Oggi recuperare il drammatico vuoto socialosta, difronte ad una classr parlamentare lomtana anni luce dalla capacità e dalla realtà rimane una cosa ardua, i mezzi di comunicazione e di confronto per me sono di superficiale comprensione, andrebbero ricostruiti i partiti, dove formare le classi politiche. Un abbraccio Pietro Bisoni
Leggere le considerazioni svolte dal Compagno Del Bue è sempre particolarmente interessante, anche quando non condivido le conclusioni .
Ed invero, gradirei sapere se è un caso o no che Carlo Calenda parlava fino a qualche mese addietro di costruire una forza liberalsocialista, matrice politico- culturale distinta dal socialismo liberale,ma ad ogni modo buona base di partenza per un franco confronto, mentre nelle ultime settimane l’ unico riferimento del leader di Azione è la costituzione di una forza liberaldemocratica.
Poiché le parole usate hanno sempre un senso , come dimostra l’ interessante pensiero del Compagno Mauro e l’ opportuno riferimento alle tradizioni che hanno contribuito alla crescita del socialismo italiano,reputo che il passaggio di intenzioni propugnato da Calenda , nel senso di non costituire più una forza liberalsocialista, bensì liberaldemocratica, pur nobilissima e rispettabile, poco abbia a che vedere con l’ affermazione delle ragioni del Socialismo del XXI secolo.