C’è qualcosa che non quadra e che forse è da tempo che non sta quadrando.
“Dimettiti” è quel che l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Eli Cohen ha urlato al Segretario Generale dell’Onu António Manuel de Oliveira Guterres, già primo ministro portoghese, e soprattutto socialista.
L’ira del diplomatico israeliano è stata scatenata da alcune dichiarazioni di Guterres con le quali ha sostanzialmente detto che “le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. Ma che il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione, e che quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese è evidente“.
È ovvio che le indignate richieste di dimissioni sono parole di Netanyahu pronunciate con la bocca di Cohen e l’ira funesta, di omerica memoria, è quella del premier israeliano manifestatasi nelle grida del suo ambasciatore.
Ma è altrettanto evidente che le ultime parole di Guterres hanno toccato il nervo scoperto dell’attuale classe dirigente della politica israeliana.
Perché che alla fine i palestinesi, intesi come popolo fatto di uomini, donne e bambini, sono ristretti in una sorta di lager lungo 50 chilometri, con il mare da una parte e sabbia e filo spinato dall’altra (perché la striscia di Gaza tale è) oltre il quale gli israeliani controllano tutto, chi esce e chi entra, la erogazione dell’acqua, della energia elettrica, l’ingresso dei viveri e dei medicinali, è incontestabile.
E che questo popolo, in quel lager, non è che ci vive da sempre, perché settanta anni fa viveva in condizioni migliori, ma ci è stato ristretto nel corso della evoluzione degli eventi storico-politici di quell’area geografica, è altrettanto incontestabile.
Che le colonie della Cisgiordania, le zone fertili del territorio israeliano, in parte destinate ai Palestinesi sono occupate da coloni abusivi israeliani è incontestabile.
E che nella lunga storia di questo perenne conflitto si sono contati morti anche tra i civili palestinesi, uomini donne e bambini, è infine ancora più incontestabile.
Lungi da noi cercare, con queste righe, di esaminare e dirimere una querelle che forse è ultra-millenaria e non solo ultra- settantenne, lungi da noi altresì cercare e individuare torti e ragioni.
Ma se la questione degli ultimi giorni è l’attacco atroce, crudele, criminale di Hamas, confondere questa organizzazione terroristica e fondamentalista con il popolo palestinese è come confondere i mafiosi con i siciliani o i camorristi con i napoletani, e le generalizzazioni sono sempre sbagliate.
Secondo Benjamin Netanyahu invece sembra che questa confusione vada alimentata probabilmente per avere una sorta di licenza di uccidere, “dove posso e come voglio”.
Perché, se le atrocità di Hamas sono da condanna universale, da Israele ci si aspetta metodi diversi e una reazione coerente con l’etica e le regole di uno stato democratico.
E se non dovessero arrivare in tal guisa è giusto pretenderle che non significa, si badi bene, negare il diritto di Israele a reagire.
Le parole, però, del premier israeliano, e dei suoi ministri, sono state tanto terrificanti da non lasciar presagire nulla di buono.
Ma siccome amiamo la coerenza non confondiamo il popolo israeliano con i suoi governanti.
E il problema allora è tutto lì perché, visto che il direttore di questo mio giornale in un editoriale di oggi scrive “Se Hamas fosse un commando ebreo…”, è lecito chiedersi “se Israele avesse avuto un guida politica diversa” magari socialista o socialdemocratica cosa sarebbe successo o cosa non sarebbe successo.
Sicuramente ci sarebbe stato rispetto per il segretario generale dell’Onu, ma questa è la cosa più banale, probabilmente ci sarebbe stata una gestione della questione più umana, più diplomatica, più pacifica, più socialista, non da oggi ma da almeno un ventennio.
E in tutte le dichiarazioni, le polemiche, le accuse, i proclami di questi giorni, tra le tante voci che hanno pensato bene di dire la loro (anche nella nostra comunità), se è stato lecito gridare a Gutierres “dimettiti”, sarebbe stato invece molto bello sentir gridare a Benjamin Netanyahu, un duce travestito da ebreo con una fedina penale che lorda criminalità da tutti i pori, una parola che è tanto significativa ma che non ho sentito pronunciare: VATTENE!
1 commento
Vedo posizioni un pò diverse sull’argomento, in questo giornale (ma è il suo bello). Anche se non sono nessuno, le dico che faccio mie queste sue considerazioni, dott. Carugno, dalla prima all’ultima riga. E ad essere sincero mi è scappato anche un bel: finalmente. Non sono ancora cinquantenne.. ma non erano anche le posizioni di Craxi?.. Comunque grazie!!!