I Tunisini lasciano le urne vuote. La democrazia ritrovata conosce la sua crisi; il Presidente Saïed esce indebolito dal nuovo appello elettorale. Era il secondo turno delle legislative quello per il quale domenica sono stati richiamati gli elettori tunisini. Dei sette milioni aventi diritto se ne sono presentati soltanto settecentomila, tutt’altro che il plebiscito richiesto e sperato dal Presidente Saïed. La speranza di avere una normalità democratica si infrange di fronte alla disillusione che si è creata attorno alla crisi della partitocrazia Tunisina e alle aspettative deluse nonostante gli entusiasmi che si generarono l’indomani della caduta del regime di Ben Ali. Dal dominio del partito islamista H’nada costola Tunisina dei Fratelli Musulmani portati sul palmo di mano dall’amministrazione americana, alla parentesi di grande coalizione con il resto delle formazioni laiche si è passati al tentativo di instaurare un regime alla egiziana senza che ve ne fossero i presupposti. Il sociologo Saïed, che pure suscitò un certo entusiasmo nell’elettorato più giovanile ed istruito, non riesce a rieditare il sistema politico fondato su un presidenzialismo di fatto depurato dall’ingombro di un parlamento a propria immagine e somiglianza. La nuova costituzione gli assegna poteri quasi pieni ma alla prima tornata elettorale i cittadini non sembrano essere convinti di concedere ancora una volta deleghe assolute. Questo avviene perché la fase economica é vieppiú drammatica; la pandemia ha piegato i paesi in via di sviluppo, il fondo monetario internazionale strangola le monete nazionali e le inflazioni galoppano nel nord Africa; la Tunisia aveva raggiunto un accordo preliminare per un nuovo strumento di finanziamento, esteso di 48 mesi, del valore di circa 1,9 miliardi di dollari per sostenere il programma di riforma economica del governo. Tuttavia, a causa dei ritardi nella promulgazione della legge finanziaria e delle poche garanzie date, il paese deve ancora ottenere finanziamenti mentre l’Agenzia Moody l’ha declassata a paese ad “altissimo rischio” esattamente come il Libano. Con dietro la porta lo spettro di un fallimento economico. Per questa ragione incominciano gli sciacalli ad aggirarsi attorno al palazzo di Cartagine, quel che è uscito dalla porta, l’Islamismo politico dei fratelli musulmani, intenderebbe rientrare dalla finestra. Non è un mistero che, nella nuova visione americana della gestione degli affari del nord Africa, anche la Turchia sia ritornato un interlocutore tutt’altro che sgradito come dimostrano le vicende libiche che rimangono in un complesso risiko. Il Presidente Saïed non ha la forza politica sufficiente ma ha la legittimità istituzionale per portare a termine il suo mandato che scade fra un anno. Il problema ora è quello di gestire le emergenze e le priorità che sono innanzitutto di carattere economico e che possono trasformarsi nell’occasione di far precipitare la Tunisia in un ulteriore fase di instabilità sociale. Il voto boicottato e disertato sono un segnale di stanchezza e disillusione popolare la cui lettura può essere diversa: può incoraggiare il Presidente a mantenere ed estendere i suoi “pieni poteri”, con un organo parlamentare di controllo sostanzialmente minoritario, può incoraggiare una opposizione sociale a chiedere il rovesciamento della situazione politica. Quel che è certo é che i tunisini non vogliono ritornare all’indietro, ovvero a una democratura, in questo caso, senza vantaggi di carattere economico o a Governi di larghe intese obbligati a compromessi con il radicalismo islamico, cosa che i tunisini hanno sperimentato e rigettato nel giro di qualche anno. É interesse della Comunità Internazionale amica e vicina del paese Mediterraneo che esso recuperi la salute economica necessaria perché si rafforzino i pilastri di una giovane democrazia che va sempre incoraggiata.