Ogni qual volta, incautamente, mi azzardo a scrivere qualcosa sul “polo riformista” alcuni miei antichi compagni ed amici si sentono in dovere di ricordarmi con una certa condiscendenza che Calenda e Renzi “non sono socialisti”: il primo è, nel migliore dei casi, un “liberale” ;il secondo (quando gli va di lusso) un “popolare”.
Vorrei cercare di chiarire, una volta per tutte, che lo so da me, ed anzi è proprio per questo che riterrei utile una riconoscibile presenza “socialista” nel polo riformista.
Mi spiego. Usiamo, giustamente, le definizioni come “socialista”, “liberale” e “popolare” facendo implicito (e spero consapevole) riferimento alle tre grandi correnti politiche che hanno caratterizzato la storia delle democrazie europee nella seconda metà del XX° secolo, l’epoca dei “capitalismi industriali nazionali”.
E’ proprio rispetto ai “capitalismi industriali nazionali” che le tre grandi esperienze politiche si sono definite in quei decenni, concorrendo -talvolta in alleanza, spesso in concorrenza e in taluni casi in conflitto- alla costruzione del modello istituzionale (le democrazie rappresentative) e sociale (l’economia mista e il welfare) che caratterizza il continente (o almeno la sua parte occidentale).
Il problema è che non siamo più nell’epoca dei “capitalismi industriali nazionali” ma in quella del “capitalismo finanziario globale” (… e delle migrazioni, del potere dei dati e di tante altre cose).
Le identità politiche costruite rispetto ai primi sono (a mio parere) inadeguate ad affrontare il secondo, devono quindi -come minimo- essere “aggiornate”, perché le questioni rispetto alle quali si devono concretamente declinare i grandi ideali di libertà ed equità non sono oggi quelli che erano cinquanta anni fa.
Io credo che, almeno in Europa, questo “aggiornamento” per le tre grandi correnti politiche “democratiche” possa produrre un terreno comune in termini di valori (che in verità in buona parte vi è sempre stato) e debba produrre un’alleanza politica il cui obiettivo primario sia quello di difendere (adeguandolo e sviluppandolo) il modello sociale e istituzionale che ha dato agli europei occidentali settanta anni di pace, ricchezza, crescita della giustizia sociale e delle libertà personali.
D’altra parte il modello europeo è oggi sotto attacco.
Il “capitalismo finanziario globale” ne mina le basi produttive, delocalizzando la produzione di ricchezza. I complessi fenomeni migratori ne minano la coesione sociale, determinando nuovi conflitti di interessi, valori e modi di vivere all’interno degli strati popolari. La crescente pervasività dei vecchi e nuovi media sfalda le tradizionali agenzie di acculturazione, socializzazione e partecipazione, minando la stessa democrazia ed esaltando i populismi qualunquisti.
E come se tutto ciò non bastasse, si aggiungono gli atti ostili del terrorismo religioso ed una nuova, terribile, aggressione militare del redivivo “dispotismo orientale” incarnato da Putin.
Gli strumenti del socialismo, del liberalismo e del popolarismo della seconda metà del XX° secolo, non sono in grado di rispondere a questi cambiamenti e a queste minacce. Andrebbero creati degli strumenti nuovi, a partire dai materiali che ciascuna di queste culture può fornire. Per questo penso che in Europa sia necessaria un’alleanza tra le tre grandi tradizioni politiche democratiche (cosa che in parte, di fatto, sta già avvenendo).
In Italia, però, i grandi partiti socialisti e popolari non esistono più e quello liberale non è mai esistito. I partiti che esistono sono macchine organizzative professionali che cercando di supplire con apparenze mediatiche l’assenza di culture politiche.
Nel caso italiano, dunque, ha senso immaginare un soggetto politico che -già dalla sua costituzione- riunisca le tre tradizioni “riformiste” storiche, che abbia una fortissima vocazione europea, e promuova l’alleanza a livello continentale e che, nel nostro paese, lavori per scomporre gli schieramenti attuali, isolando le forze qualunquiste e populiste presenti in entrambi.
Calenda e Renzi non sono socialisti, ma stanno lavorando, con molte difficoltà e qualche incertezza ed errore, a qualcosa di simile. Manca al loro progetto la “gamba” socialista?
Si, ma questo dipende anche da noi, e qualcosa possiamo farla.
1 commento
Assolutamente si. E dobbiamo farla in fretta prima che chiudano la porta. Dobbiamo cioè partecipare al processo costituente e alla scelta del nome. P. S. Semmai il problema sta in Calenda più ancora di Renzi i quali hanno caratteri oltremodo rudi e autoritari. Difficile trovare compromessi. Il liberalsocialismo si fa mettendo insieme i socialisti e i liberali.