di Maurizio Ballistreri
Marx, citando Hegel alla cui filosofia in origine si era ispirato, probabilmente parlerebbe a proposito del fallimento di Silicon Valley Bank di “dure repliche della storia”.
E, infatti, il buco nero dell’istituto di credito americano rappresenta l’ulteriore prova della vulnerabilità estrema del capitalismo finanziarizzato del nostro tempo, sulla scia del crollo di Lehmann Brothers del 2008 e, in verità, della sequela di crash e delle drammatiche crisi economiche e sociali innescate dalla patria del liberismo, gli Stati Uniti, dal crollo di Wall Strett del 1929 al Black Monday del 19 ottobre 1987.
Ma il fallimento di SVB assume anche un nuovo significato, poiché riguarda per la prima volta il carattere “digitale” della crisi che ha generato a livello globale – a cui aggiungere quella delle crypto valute – già colpendo alcune banche statunitensi di tipo regionale, ma in particolare tutto il sistema finanziario occidentale, con il paradosso che le sanzioni hanno tenuto indenne la Russia, la quale, peraltro, a più di un anno dall’aggressione all’Ucraina, ha visto aumentare i valori dell’export, grazie all’incremento dei prezzi dei prodotti energetici, e apprezzare la propria valuta, il rublo, nel mentre in un’altra delle nazioni simbolo del sistema bancario internazionale, la Svizzera, si cerca di scongiurare il fallimento di Credit Suisse, con l’acquisizione da parte di altre banche o, addirittura, con la nazionalizzazione.
Alcuni analisti hanno focalizzato le cause del crollo di SVB sull’inadeguatezza della vigilanza americana, a partire dalla Federal Reserve, ma si tratta di una visione difensiva del sistema, che non affronta i nodi strutturali dei gravi limiti del capitalismo finanziarizzato del nostro tempo.
La globalizzazione, oggi in crisi per le conseguenze geopolitiche dell’invasione russa dell’Ucraina, con la costituzione di un fronte anti-occidentale tra il Cremlino, la Cina, l’India, il Brasile e altri paesi, il cui valore del prodotto interno lordo si aggira su circa il 40% di quello globale, si è sviluppata in modo disordinato, senza regole condivise a livello internazionali, con le ricorrenti crisi che devastano i mercati e colpiscono, alla fine, i settori più deboli della società: quelli a reddito fisso, i disoccupati, i pensionati e i piccoli risparmiatori.
C’è bisogno di creare a livello globale una rete di protezione contro queste ricorrenti crisi, sul modello degli Accordi di Bretton Woods del 1944 animati dalla visione interventista keynesiana in luogo del mercato senza regole, con la disdetta del “Gold standard” da parte del presidente americano Nixon nel 1971, ma, soprattutto, c’è l’esigenza di fermare il “cannibalismo” del grande capitale. Quest’ultimo rappresentato non solo dalle tradizionali corporations globali, controllate dalle storiche dinastie con almeno due o tre generazioni di accumulazione alle spalle, ma anche, e in misura maggiore, dai Gates, dai Bezos e dagli Zuckerberg dell’ultima generazione. Un gruppo che ha esageratamente beneficiato dal sistema neoliberista di regolazione del processo di accumulazione capitalista che ha consentito loro di rafforzare il proprio dominio economico, politico e culturale sulla società americana e sul mondo: Elon Musk, l’uomo più ricco del pianeta, ha accumulato finora 220 miliardi di dollari, poco più del prodotto interno lordo di un paese come la Grecia, che ha quasi undici milioni di abitanti. Un nuovo capitalismo finanziario globale costruisce monopoli, eludendo le tasse, impone il ristagno dei salari e crea povertà.
Un mondo in cui l’umanità potrebbe finire per essere divisa non più solo in diverse classi sociali, ma addirittura “in diverse caste biologiche o persino in diverse specie, con una casta superiore che potrebbe costruire muri e fossati o colonie spaziali per tenere fuori le masse divenute ormai irrilevanti perché la loro forza lavoro sarebbe sostituita da quella di fedeli e meno costosi robot e cyborb prodotti in serie e dotati di intelligenza artificiale, come preconizzato da una parte della letteratura distopica, da “1984” di George Orwell in poi.
L’economista francese Thomas Piketty ha proposto una supertassa sui grandi patrimoni di tipo progressivo con aliquote sino all’80-90%, per redistribuire la ricchezza verso gli Stati e utilizzarla in termini di equità, assieme al salario minimo: una visione alternativa, ad esempio, a quella del governo italiano di centro-destra, che vuole introdurre la flat tax ed è contrario ad un livello basico delle retribuzioni per legge.
Al fondo, dopo anni di prevalenza dell’esaltazione delle “magnifiche doti e progressive” del libero mercato, con cantori anche in una certa sinistra italica di origine comunista, ritorna l’esigenza di politiche socialiste nei sistemi liberaldemocratici.