Di Moreno Menotti
L’Italia non ha mai esternato ambizioni di potere marittimo, ma necessariamente dovrà elaborare una strategia per difendere i suoi interessi non solo di sicurezza, ma anche di pesca sostenibile, di energie anche rinnovabili e di nuova e più ampia responsabilità marittima internazionale.

A ben 39 anni dall’approvazione della Convenzione di Montego Bay l’Italia (anche sotto la spinta delle iniziative di altri Paesi litoranei) si è dotata, nel 2021 con proclamazione della Zona Economica Esclusiva italiana, di uno strumento per far valere i propri interessi economici, commerciali e politici nel Mediterraneo (L. 91/2021) con un ampliamento della giurisdizione marittima economica fino a 200 miglia dalla costa: uno spazio enorme. Tuttavia, avere lo strumento giuridico e non avere la forza (e la volontà) di farlo rispettare potrebbe rivelarsi gravemente controproducente, in termini di credibilità e prestigio internazionali, con tutte le prevedibili implicazioni politiche ed economiche. Qui il diritto si incontra con la geopolitica e le relazioni internazionali, che del resto hanno capacità di determinare le soluzioni sussunte nel Diritto Internazionale; ciò è tanto vero che la stessa lettera della Convenzione sul Diritto del Mare affida alla negoziazione tra Stati contigui o frontisti la delimitazione delle proprie ZEE, seguendo un principio di equità. Tale principio, può tuttavia risultare paradossalmente soggettivo, in determinati contesti come ad esempio il Mediterraneo centromeridionale e orientale o il Mar Cinese Meridionale, almeno nella percezione di taluni Stati, tento più laddove la distanza fra le coste dei paesi rivieraschi sia inferiore alle 400 miglia o per l’effetto asserito delle isole.
In mari aperti ed oceani la risoluzione di controversie tra Stati (dallo sfruttamento di risorse alla stessa navigabilità) risulta semplificata per ovvi motivi di spazialità; invece, in mari chiusi come il Mediterraneo, in presenza di Stati frontisti risulta complessa per i potenziali interessi nazionali confliggenti. Permangono, quindi, tutti i presupposti fondamentali che fanno del controllo delle vie marittime e delle risorse marine anche del fondo marino, un elemento fondamentale dell’economia complessiva degli Stati presente e soprattutto futura. Taluni hanno giudicato inadatto questo strumento al “mare nostrum” per la sua conformazione e tuttavia l’Italia arriva quasi buon ultima nella proclamazione della Zona Economica Esclusiva marittima.
L’attuale Governo Meloni, or volge l’anno dal suo insediamento, sembrava aver ripreso l’attenzione verso la proiezione marittima dell’Italia, abbandonata negli ultimi 30 anni, con la creazione di un Ministro del Mare, sebbene in coabitazione con un’altra delega ministeriale, ma anche in virtù della citazione del c.d. Piano Mattei che almeno nominalmente portava in se il riferimento alla riconquista di un ruolo geopolitico importante nel mediterraneo e nel nord Africa, che la nostra nazione aveva acquisito nella seconda metà del secolo scorso sia con le iniziative economiche ed industriali del Presidente dell’Eni Enrico Mattei che di politica internazionale di grandi statisti come Aldo Moro, Giulio Andreotti e Bettino Craxi.
In un mondo globalizzato gli interessi economici sono sempre più variegati, ma è certo che la tutela sul mare degli interessi economici e commerciali nazionali continueranno ad avere importanza fondamentale ed anzi crescente per il benessere dei popoli e dell’Italia in particolare. In tale ambito l’esercizio del potere marittimo e la conseguente capacità di affermare propri diritti e volontà sui mari, senza voler assolutamente rappresentare una minaccia per gli altri popoli pacifici, costituirà la nostra fonte principale di influenza politica ed economica internazionale.
C’è stata, come detto anche nell’ultimo trentennio, una sottovalutazione dei nostri interessi marittimi imputabile ad una disattenzione che ha origini storiche e che forse risale in nuce anche allo Stato sabaudo (dopo Cavour), oltre che essere forse anche una reazione ai fasti marittimi celebrati nel periodo anteguerra; e tuttavia anche nel recente passato, come sottolineato dal Direttore Generale di Confitarma, si era progressivamente indebolita la marittimità italiana passando dall’abolizione del Ministero della Marina Mercantile alla disattenzione in termini infrastrutturali e fiscali, sebbene sul mare transitino oltre il 90% delle nostre merci e, atto non trascurabile oggi, dei nostri dati.
Indubbiamente, a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sono state finora altre questioni, del salvataggio in mare dei migranti che ci hanno visti protagonisti al di là delle nostre responsabilità internazionali, quelle di tutela ambientale (difatti la ZEE sostituirà la già esistente Zona di protezione ecologica) e non ultima la pesca.
La nuova ZEE creerà, se formalmente istituita dopo la proclamazione di due anni fa, i presupposti per rafforzare la marittimità del Paese dando senso compiuto alle responsabilità ecologiche ed avviando il contrasto delle attività illegali di pesca condotte da flotte straniere vicino alle nostre coste, soprattutto per la cattura del tonno rosso; resteranno però insoluti i problemi di pesca in acque pretese da Libia e Tunisia finché non si faranno accordi di partenariato con quei Paesi e si definiranno con chiarezza i limiti delle rispettive zone di giurisdizione. Anche su tali aspetti alla luce della nuova legislazione si dovrebbero impostare soluzioni politiche negoziali, passando intanto attraverso soluzioni pragmatiche e provvisorie, pur in attesa di accordi che tuttavia al momento non si ha notizia se siano in preparazione o almeno in avvio di negoziazione.
Finalmente avremo la possibilità di avviare un dialogo con la Libia che è il nostro più importante Paese frontista nel senso che è vitale per noi “condividere acqua” con Tripoli per dare respiro alla nostra azione mediterranea ed evitare di essere confinati dalla pretesa ZEE maltese. Fondamentale e connessa è la necessità di un’azione forte e credibile per la stabilizzazione della Libia a cui l’Italia deve richiamare la responsabilità dell’U.E., della Turchia e particolarmente della Francia che fu per tanta parte all’origine della destabilizzazione di tale settore del Mediterraneo.
Anche con Malta bisognerà perciò riannodare le fila di un discorso troppo a lungo interrotto. Egualmente, si potrà ricominciare ad esprimere con chiarezza le nostre intenzioni verso la Tunisia, magari prevedendo un regime comune di protezione e gestione della nota zona, tanto critica per la nostra pesca, del “Mammellone”; valorizzando l’attuale partenariato diplomatico in termini di sviluppo economico e sociale del paese che solo può credibilmente riequilibrare le dinamiche migratorie oggi in atto.
L’occasione della proclamazione della ZEE e dell’istituzione del nuovo Ministero del Mare (della cui attività si hanno tuttavia poche notizie) ci costringe a porre lo sguardo più attento all’interesse marittimo nazionale e alla realtà delle pretese degli altri Paesi rivieraschi e non, costringendoci, prima o poi, a definire accordi di delimitazione e cooperazione e a riprendere necessaria consapevolezza della nostra dimensione marittima, superando l’esclusiva attenzione dell’ultimo anno alla sola questione della contingenza migratoria che rischia di oscurare la dimensione strategica delle questioni in gioco.
Ora, seppure in termini strettamente formali, il provvedimento legislativo in parola non comporti direttamente nuovi costi, la accresciuta giurisdizione dello Stato dai 120.868 km2 (tra acque interne e mare territoriale) ai 541.915146 km2 di mare (di estensione complessiva della nuova giurisdizione posta dalla ZEE) comporta evidenti e maggiori responsabilità che non possono esercitarsi se non con adeguati mezzi navali, aerei, tecnologici e naturalmente di strutturate risorse umane. Risorse sebbene non necessariamente quantificabili ed allocabili con precisione, contestualmente all’approvazione del testo di legge, certamente si sarebbero dovute prevedere nella composizione del bilancio dello Stato e ciò avrebbe necessariamente richiesto un ruolo attivo degli esecutivi precedenti ed attuale del che non vi è al momento notizia.
Chiaro quindi che ci sono due dimensioni della questione che sono rovesci della medesima medaglia: una dimensione militare e di polizia marittima data dalla sorveglianza del confine, sia pur provvisorio, del Mare Territoriale e quindi della ZEE, sarà il primo compito che la Marina dovrà assolvere ad evitare conflitti di giurisdizione o appropriazione di risorse nell’ambito della propria missione di “difesa militare dello Stato” sul mare; una dimensione diplomatica, in cui ricreare un equilibrio politico fra gli stati rivieraschi senza il quale, come la storia c’insegna, rimarrebbe solo il “balance of power” che certo non è esercitabile ne auspicabile.
E tuttavia, come già evidenziato a proposito dei lavori parlamentari, e in sedi di analisi geopolitica della proposta della proponente parlamentare del Movimento 5 Stelle , sarà ineludibile potenziare la componente navale dello Stato, sia per la vigilanza sull’accresciuto spazio di giurisdizione marittima italiana che a tutela quantomeno regionale degli interessi nazionali e dei diritti marittimi che, è questione di grande interesse per le imprese e l’economia nazionale tutta: infatti come intuibile la pesca non sarà la sola questione economica ne la principale del nostro e delle altre zone marittime esclusive, le risorse minerarie ed energetiche anche rinnovabili saranno i temi del prossimo futuro.
Il mare delle risorse e delle responsabilità attende quindi che la politica nazionale faccia il suo compito e si riappropri della consapevolezza della dimensione strategica che esso ha per l’Italia; riprendendo il dialogo con i paesi del mediterraneo (il nostro estero vicino) ma riconquistando anche un’assertività internazionale persa o mai del tutto conquistata, abbandonando l’approccio “amici di tutti e nemici di nessuno” che genera spaesamento sia in chi deve attuare la nostra politica estera, di difesa, energetica ed industriale, che nei nostri potenziali alleati. Ricordava il Vice Presidente di Edison Energia, nel dibattito “Un mare di risorse”, organizzato dalla rivista Limes a Trieste nel corso delle Giornate del Settembre 2021: “la tempistica della transizione energetica non sarà necessariamente così breve come auspicato; pertanto pur prevedendo la realizzazione di impianti per energie rinnovabili di oltre 700 G watt nel Mediterraneo entro il 2050 e di circa 80 G watt in acque italiane entro il 2030, sarà comunque ancora necessario utilizzare risorse energetiche fossili meno inquinati come il gas naturale. E’ noto che nel Mediterraneo orientale importanti imprese italiana hanno importanti interessi sia per l’estrazione che per il trasporto del gas naturale e che la situazione delle contese marittime è tale da non potersi risolvere a livello relazioni imprenditoriali ma richiede che si salga a livello più alto (e che si mostri anche bandiera). Il Governo, il Ministro del Mare e la nazione tutta sono chiamati ad un ruolo di crescente necessario, efficace e concreto attivismo verso le questioni marittime; il problema migratorio va quindi riportato alla sua reale dimensione e componente strategica dell’attuale quadro geopolitico del mediterraneo e delle sue sponde meridionale ed orientale, si rischia altrimenti di guardare il dito e non la Luna.