Esauriti gli aggettivi superlativi con i quali è stata circondata da quasi un anno per la nuova guida del Governo Italiano, sta arrivando a passi spediti l’ora di un giudizio elettorale e, di un primo reale tagliando sul consenso effettivo che essa é riuscita a consolidare dopo il lungo periodo di apprendistato.
Sarà quindi il voto decisivo per l’Europa a qualificare e stabilire se ci troviamo dinnanzi a un quadro politico di lungo periodo, che si inscrive con l’avanzata delle destre moderate in Occidente e delle autocrazie nel mondo, oppure se la particolare mobilità e pluralismo della società italiana, contiene ancora gli anticorpi necessari per evitare che esso, in mancanza di reali alternative, si trasformi in una sorta di nuovo e duraturo regime dello stato delle cose.
Meloni ha fallito su diversi terreni, e sembra sopravvivere alla giornata seppur sola al comando. La scomparsa di Berlusconi, lo scomposto tentativo di riprendere spazio di Salvini e, l’inconsistente e autolesionistica postura di Fratelli d’Italia, hanno rafforzato la Premier nei poteri e nella centralità politica.
Nella teoria è questa la condizione perfetta per consolidare una prospettiva di lungo periodo, nel quale incarnare una fusione di elementi che, sebben incompatibili, appaiono da lei interpretati come possibili.
Meloni si veste di sovranismo nazionale e cieca obbedienza atlantica, esaltazione di confini e frontiere. E lo fa dentro il quadro più largo di un’Europa della Nazioni, che non si trasforma in Continente Federato. Questo sulla carta.
Il realismo e i fatti hanno tuttavia dimostrato altro: in assenza di un reale e praticabile disegno strategico politico ed economico per la società italiana, sono passati mesi nei quali l’impressione che ha dato é quello di sopravvivere alla giornata difettando nel realismo ed abbandonando gradualmente le parole d’ordine della propria campagna elettorale. E’ proprio su quei punti cardine che si è registrata la disfatta più vistosa.
Innanzitutto l’immigrazione, dove al blocco navale si è opposto la più robusta ondata di ingressi clandestini ed anche regolari richiamati dall’esigenze dell’economia italiana. Sul fisco, dove nonostante il titolo roboante del disegno di delega il Governo, deve fare i conti con il realismo che prevede una minore entrata del gettito ed una difficile applicazione di tasse piatte, volte a non determinare una prevedibile iniquità.
All’abbattimento delle misure di sostegno sociale, e degli incentivi per l’adeguamento delle nostre abitazioni agli standard richiesti dai parametri imposti dalla transizione ecologica, non si è fatto fronte, lasciando centinaia di aziende del settore edilizio collassare, a causa dei crediti fiscali inesigibili. Per i poveri che percepivano il Rdc, innanzitutto anziani e single, canzonati da una misura, quella della carta “dedicata a te” che li esclude dal percepimento.
I ritardi nell’acquisizione delle quote del PNRR e lo slittamento del MES utilizzato come metro propagandistico per segnare il proprio distacco dal circuito europeo, sono una sorta di Caporetto della politica economica del Governo che appare tutto, tranne che fondata su un realismo politico, che pure era sembrato all’inizio, orientare le scelte di Meloni su tutte la posizione in difesa della sovranità Ucraina, a dispetto dei propri alleati di Governo tradizionali amici ed alleati di Putin.
Una posizione quest’ultima che, tuttavia, cerca di ritagliarsi più che un ruolo politico e strategico, fondato su una reale ricerca di dialogo nella reciprocità degli interessi con l’altra sponda del Mediterraneo, in linea con la tradizione italiana post-bellica, fare una eco piuttosto sgradevole alle tradizioni peggiori del post-colonialismo, incapace di comprendere i movimenti di reale trasformazione delle società arabe negli ultimi trent’anni.
Se lo scontro con la Magistratura pare voler replicare, in farsa, il duello che ha opposto la politica democratica alle gerarchie del potere giudiziario alla fine degli anni 90 (duello nel quale la destra di meloni giustizialista si è sempre schierata a fianco delle toghe), se l’occupazione sistematica del potere pubblico non modifica di una virgola il modello sin qui tenuto da tutte le forze che si autodefinivano di cambiamento, se null’altro sono che una pallida imitazione dei tempi andati, si ha l’impressione di essere di fronte all’ennesima prova maldestra di cancellare la reale entità della crisi del sistema politico italiano e delle classi dirigenti. Lo si tenta mediante un modello che sta a cavallo fra il continuismo conservatore, e un populismo di conio europeo, dove si uniscono elementi di neo tradizionalismo religioso, al messianesimo da cui sono circondati i leader, e la cui ascesa repentina, é pari alla loro discesa.
Sarà questo lungo anno di campagna elettorale a testare la fibra di Giorgia Meloni, e a rivalutarne l’effettiva abilità di reale alternativa rispetto quelle forze che, definendosi di progresso, si attardano in difesa di posizioni che fotografano l’inadeguatezza dell’esistente ma non riescono a costruire un progetto di governo che si inserisca nelle reali contraddizioni della destra.
Una lunga sfibrante campagna attende l’Italia.