di Salvatore Sechi
Insieme alla cognata Tatiana Schucht, per Antonio Gramsci Piero Sraffa è stato l’amico più generoso e fidato. Negli incontri avuti senza la presenza di estranei (come i servizi di sicurezza o anche compagni di partito), non ci fu limite alla confidenza, alla libera manifestazione di idee, progetti, speranze.
Ma le occasioni di confronto dopo l’arresto di Gramsci nel 1927 furono scarse. La più lunga temporalmente e densa di argomenti setacciati, fu quella della primavera dell’anno 1937 presso la clinica romana Quisisana.
Le conversazioni dirette, tra loro due, senza nessuna media zione, si prolungarono per più giorni per un evento specifico e irripetibile. Siamo, infatti, a pochi giorni dal decreto con cui ebbe luogo la fine della sua prigionia, giorni che coincisero con quelli della sua morte.
Nelle sue numerose soste, almeno un paio di volte all’anno, a Milano, Roma, Torino, nella riviera ligure (dove spesso trascorreva le vacanze estive in un alloggio di famiglia), Sraffa per circa dieci anni non si spinse- salvo una volta, ma senza successo- a fare visita all’amico detenuto. L’ordinamento penitenziario soprattutto per i condannati “politici”, co me nel caso di Gramsci, non lo prevedeva.
Era necessario munirsi di un’autorizzazione speciale dal direttore degli istituti di prevenzione e di pena, Dott. Giovanni Novelli o Guido Leto. Ma il regime aveva con cordato una linea di condotta comune (estesa anche ai sanitari, come il prof.Arcangeli): condizionare il permesso della visita alla richiesta della domanda di grazia da parte dell’ingombrante detenuto.[1]
Nel rifiutare questo ricatto il segretario del Pcd’I, per quanto fiaccato dal calvario della prigione, fu irremovibile. Qualche anno dopo accettò solo di chiedere la libertà condizionale, propiziatagli da Sraffa, col consenso preventivo della leadership del partito.
Questa rinuncia a raggiungerlo e avere dei colloqui, di qualsiasi natura, fu probabilmente anche una misura di sicurezza imposta dall’occhiuto controllo sui suoi movimenti -fin dagli anni universitari- da parte prima della polizia italiana e successivamente da quella del Regno Unito oppure fu un contenimento dei rapporti tra i due vecchi compagni imposto dal Pcd’I?
Non si deve dimenticare che i compiti affidati a Tatiana e allo stesso Sraffa nell’intrattenersi con Gramsci, una volta detenuto, non furono scelte personali, ma corrisposero a decisioni prese in entrambi i casi dal partito. Intendo dire che probabilmente i rapporti tra loro sono stati disciplinati da qualche regola di origine politica.
Gramsci, salvo il richiamo della Costituente nel 1935, pare non abbia assegnato a Sraffa alcun compito di rappresentare le sue idee presso gli organi e gli esponenti del Pcid’I e Sraffa, a sua volta, non si sentì mai investito di alcun mandato.
E’ il caso di ricordare che anche quando, nel 1927 fu condannato a circa venti anni (poi ridotti a 12 ) di reclusione dal Tribunale Speciale fascista conservò l’incarico di segretario generale del Partito Comunista, sezione italiana dell’Internazionale comunista.
In questo ruolo poteva essere ignorata e anche era pensabile non venisse richiesta una sua qualunque opinione sugli eventi politici in svolgimento?
Secondo il presidente della Fondazione che reca il suo nome e ne è anche uno dei maggiori studiosi, “Sraffa circoscriveva il suo ruolo di tramite di comunicazioni politiche fra Gramsci e il partito (o viceversa): durante i colloqui egli informava Gramsci “di tutto”, ma “non era latore di speciali messaggi su questioni politiche attuali da parte del partito. Gramsci, a sua volta, non mandava a mezzo dell’amico, in generale, raccomandazioni o indicazioni politiche”. Unica eccezione, il messaggio sulla Costituente del 1935…”.[2]
Si può essere così perentori come Giuseppe Vacca ad una sola condizione, cioè se si ammette che tra Gramsci e il partito ci sia stata non solo una rottura, ma che essa sia stata di tale gravità da non rendere reciprocamente possibile un confronto, una discussione, il tentativo di smussare le maggiori asprezze e avviare un possibile dialogo.
La corrispondenza curata di recente da Nerio Naldi ed Eleonora Lattanzi per l’Enciclopedia Italiana fino al 1938 è la fotografia di una situazione di incomunicabilità seguita ad una dolorosa e irreversibile separazione.[3]
I leaders comunisti che Sraffa, tra il 1928 e il 1937, aveva l’abitudine incontrare al Centro estero a Parigi erano Togliatti, Tasca, Grieco, Donini e Amendola.
Per la verità anche su questi nomi non esiste una versione ufficiale, condivisa. Sraffa nell’intervista resa a Spriano per Rinascita [4] si è preoccupato di far rilevare la presenza di Angelo Tasca (che Spriano, invece, ha tentato di omettere) nelle sue numerose soste a Parigi, nel corso dei viaggi da e per l’Italia da Cambridge, nel Regno Unito, dove si era stabilito nel 1927. Contemporaneamente ha negato quella di Ruggero Grieco, che fu segretario generale del Pcd’I dal 1934-1937 (la sua presenza al Centro estero è ammessa, invece, e correttamente, da Spriano).
In questultimo caso, il comportamento discriminatorio di Sraffa forse riecheggiava la penosa e anche rancorosa immagine del ruolo avuto da Grieco nella famosa lettera a Gramsci, Terracini e Scoccimarro del 1928.[5]
Comunque da parte di nessuno di questi dirigenti finora sono venuti ricordi e memorie su eventuali informazioni avute da Sraffa dietro mandato di Gramsci.
Ci sono stati grande riservatezza e silenzio oppure semplicemente non c’era niente che si siano detti? addirittura questa incomunicabilità si è prolungata per l’arco di 10 anni, cioè dalla condanna inflittagli dal Tribunale Speciale fascista[6] a Roma nel 1927 fino alla morte di Gramsci nel 1937?
Il che induce a chiedersi: che senso aveva ricevere personalmente dalle mani di Sraffa le lettere inviate da Tania a Gramsci? A tali consegne non pare sia seguita una discussione politica sui temi posti dall’attualità, dal momento che i leaders del partito, da un lato, e Gramsci (tramite Sraffa), dall’altro, non avevano l’abitudine di scambiarsi reciprocamente commenti o fare dichiarazioni.
La corrispondenza tra Gramsci e Tania veniva copiata e inviata al ramo sardo (la madre, la sorella Teresina e forse i fratelli Carlo e Gennaro), al ramo russo (la moglie Giulia e l’altra sua sorella, Genia) della famiglia di Gramsci, e infine a Sraffa.
A sua volta l’economista provvedeva a ricopiare il testo ricevuto e a recapitarlo ai dirigenti del Pcd’I durante i soggiorni che, per vacanze o ferie, era solito effettuare fermandosi a Parigi.
Francamente non si capisce la ragione di quest’ultimo passaggio. Il contenuto delle lettere famigliari di Gramsci poteva essere sintetizzato periodicamente in un testo mensile o bimestrale, dal momento che non trattava argomenti politici nè riflessioni di filosofia o di storia, affidate ai Quaderni.
I protagonisti citati sapevano perfettamente che tutta l’attività epistolare del segretario generale del Pcd’I si svolgeva in un circuito dove non c’era nulla al di là di stati d’animo, emozioni, affetti, paure, che potesse essere considerato rilevante per la loro azione politica.
Infatti ogni suo scritto era passato al vaglio della polizia di sorveglianza del carcere e quindi era ben noto al regime fino al suo vertice (Mussolini).
A questo proposito sarebbe interessante che la Fondazione Gramsci facesse conoscere quali sono state le reazioni degli organi di sicurezza, cioè quali rapporti dalla polizia del carcere sono stati fatti pervenire all’apice delle istituzioni fasciste e personalmente allo stesso presidente del Consiglio.
Com’è noto fin dalla prima guerra mondiale quest’ultimo aveva stabilito rapporti fondati su reciproca stima con Gramsci e con i leaders dell’Ordine nuovo nel 1919-1920. Fino a proporre loro (in particolare a Gramsci e ad Angelo Tasca) la collaborazione al quotidiano Il Popolo d’Italia, di cui era diventato direttore.
Mussolini seguiva attentamente ogni iniziativa di Gramsci. Autorizzava la lettura dei saggi di Trotzky da lui richiesti oppure si teneva informato sulle sue decisioni di poter fruire della liberazione dal carcere piegandosi alla condizione stabilita, cioè un atto esplicito nella forma di una domanda di grazia al dittatore.
Poter assoggettare il segretario del partito comunista italiano a questo vincolo sarebbe stato un grande successo politico del fascismo. Avrebbe potuto sbandierarlo in mezzo mondo e così contrastare la versione degli antifascisti sul carattere disumano e innaturale delle prigioni e sull’odiosa violenza del regime nei confronti degli oppositori.
Gramsci fu molto fermo, in polemica anche con Tatiana, nel respingere questa insidiosa offerta, ma non si oppose alla misura della libertà condizionale suggerita da Sraffa e approvata da Togliatti e dall’intera leadership comunista in un’apposita riunione.
Non si capiscono molto anche altri suoi comportamenti. Per esempio l’dea di voler destinare i suoi manoscritti inediti all’Urss, anche nella forma di farne beneficiaria per prima la moglie Giulia. E neanche il comportamento di Tania che, dopo essere riuscita a impadronirsene, consegnò i Quaderni all’ambasciata sovietica.
Come tutte le altre in giro per il mondo era piena zeppa di agenti del Kgb in servizio attivo.
Tania avendo avuto rapporti di lavoro con quella di Roma era sicuramente stata reclutata del servizio segreto [7]. Tra i suoi obblighi\doveri c’era quello di fornire alla centrale di Mosca notizie e materiali su quanto pensava Gramsci e su ciò che gli accadeva.
E’ pensabile ignorasse che era circondato da una fama di eterodossia, cioè di filo-trotskismo, vale a dire di un reato attinente alla sicurezza dello stato sovietico e quindi passibile di essere perseguito pesantemente sul piano del diritto penale?
Una volta diventata irrimediabile, all’inizio degli anni Trenta, la rottura con i dirigenti del partito (e dunque anche col Comintern) a proposito del social-fascismo (l’equiparazione tra fascismo e socialdemocrazia), ed essendo probabile la sua liberazione dalle carceri fasciste, non si capisce il contraddittorio comportamento di Gramsci. Sembra incerto se ritirarsi in un paesino della Sardegna (Santulussurgiu, dove ha già fatto affittare per sè, la moglie e i figli, un appartamentino) oppure tra sferirsi in Unione sovietica. Oppure la prima è una narrazione fantasiosa?
Egli era perfettamente cosciente del fatto che Mosca non aveva mosso un dito, come ha documentato Vacca, per propiziare la sua scarcerazione mediante un scambio tra reclusi dell’Italia e dell’Urss. In secondo luogo non poteva ignorare che egli in seno al Pcus era, come ho detto, considerato, fin dal 1926, pencolante verso le posizioni di Trotzky.
Nel 1941, il Comintern decise di sciogliere il Comitato centrale del Pcd’I e rimuoverne il segretario , sostituendolo con Ruggero Grieco, con l’accusa infamante di essere appunto penetrati dalla lue del trotzkismo e del fascismo.[8]
Che cosa Gramsci tra il 1930 e l’inizio del 1935 pensava dell’Urss alcuni storici del Pci (Giuseppe Vacca e più distesamente Silvio Pons) lo hanno illustrato in misura assai efficace, anche se con limitato seguito nei dirigenti politici, negli intellettuali e tra i militanti del partito.
Il Pcus e l’Urss Gramsci aveva smesso di chiamarli ampollosamente” il partito della rivoluzione mondiale”, lo “Stato operaio” e neanche lo “Stato organico” (riferito alla nascente struttura istituzionale del bolscevismo negli anni della guerra civile ) e la “rivoluzione dall’alto” di Stalin.
Ne aveva anzi fatto una raffigurazione molto simile ad uno Stato neo- bonapartista. Ciò che balza agli occhi nelle sue analisi sui Quaderni è, come ha rilevato Pons, il “bilancio sostanzialmente negativo della grande trasformazione sovietica sotto Stalin” per quanto concerne il tema dello Stato e delle sovrastrutture politiche.
Le fonti di cui Gramsci si avvalse, pur essendo assai scarse, furono sufficienti a mostrare il progetto di onnipotenza dello Stato, il dominio del la propaganda, il peso delle misure amministrative e dei corpi burocratici, la militarizzazione delle relazioni sociali (anzitutto quelle tra città e campagna) nell’Unione Sovietica dei primi anni Trenta.
Il suo interrogativo fondamentale diviene se sia davvero possibile sviluppare risorse egemoniche in un simile scenario”. [9] Il tema del “regime politico di massa” viene declinato come statolatria. Fase inevitabile e necessaria per dare “vita statale autonoma” ai gruppi subalterni, ma che, aggiunge Gramsci temendo (non a torto) il futuro,” non deve divenire un dato permanente né trasformarsi in ‘fanatismo teorico’”.[10]
Si poteva dire di peggio della rivoluzione sovietica da parte di un dirigente comunista?
Secondo Vacca “I Quaderni contengono l’analisi forse più acuta dei limiti del bolscevismo, dei caratteri dell’Urss staliniana e della sua politica internazionale che all’epoca sia stata elaborata da un comunista”.[11]
Da Sraffa sull’argomento non è venuta nessuna notizia, salvo la comunicazione al partito che Gramsci nel 1935 proponeva la soluzione della Costituente. Nel secondo dopoguerra l’atteggiamento dell’economista torinese è stato all’insegna di delegare ogni scelta a Togliatti, sul piano editoriale e probabilmente anche sul piano politico, limitandosi a uniformarsi ad esse. Forse il suo obiettivo principale è stato quello che i manoscritti gramsciani vedessero la luce, e da un editore italiano piuttosto che sovietico.
A Togliatti nel 1956 non bastò l’occupazione manu militare di Budapest, in Ungheria, da parte dell’Armata rossa e al Pci lo sbriciolarsi del muro di Berlino, nell’anno 1989, per dare inizio quel che fino ad oggi risulta gravemente mancante: l’inizio finalmente di un anticomunismo, oltrechè di un anti sovietismo, concepito e diffuso nel corpo del partito.
Un anticomunismo gramsciano, dunque, di cui ancora oggi in gran parte dei membri nella Fondazione a lui intitolata Gramsci (e tanto meno nella cultura di una sprovveduta come Elly Schlein) è arduo trovare adeguata traccia.
[1] Si vedano gli articoli di Claudio. Natoli, Le campagne per la liberazione di Gramsci, il Pcd’I e l’Internazionale (1934), “Studi Storici”, 999, n. 1 ,pp. 77-156, e Nerio Naldi, La liberazione condizionale di Antonio Gramsci, ivi, 2013, n. 2, pp.379-392.
[2] Un classico è Vacca G., Sraffa come fonte di notizie per la biografia di Gramsci. “Studi Storici”, gennaio-marzo 1999,p. 29.
[3] Si veda il volume curato da Nario Naldi e Eleonora Lattanzi, presso la Fondazione Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
[4] Paolo Spriano, Gli ultimi anni di Gramsci in un colloquio con Piero Sraffa, “Rinascita”, 14 aprile 1967, pp.14-15. Ringrazio Francesco Giasi per avermi fornito la fotocopia.
[5] Si veda le ricostruzione di Giancarlo De Vivo, Gramsci, Sraffa e la «famigerata lettera» di Grieco, pp. 11-24 ,pubblicata anche in “Passato e Presente”, 2009, n. 77) e Giuseppe Vacca, I sospetti di Gramsci per la sua mancata liberazione(a proposito della lettera di Grieco),in “Annali della Fondazione Luigi Einaudi”,XLIII, 2009, pp. 11-54.
[6]Leonardo P. D’Alessandro,Giustizia fascista.Storia del Tribunale speciale(1926-1943),il Mulino, Bologna 2020.
[7] Un’opinione diversa è stata prospettata da Nerio Naldi, nel saggio Sraffa e dintorni tra falsifica zioni e verità, nel volume curato da Angelo D’Orsi, Inchiesta su Gra msci, Torino 2014, pp. 124-136.
[8] Cfr. Pistillo, Vita di Rugge ro Grieco, Editori Riuniti, Roma 1985.
[9] S. Pons, Antonio Gramsci e la Rivoluzione russa: una riconsiderazione (1917-1935), “Studi Storici”, 2017, n.4, pp. 883-928
[10] A. Gramsci, Quaderni dal carcere 8,1020.
[11] G. Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, Einau di, Torino 2012 e 2014, p. 339-
1 commento
Originale e purtroppo vero tanto da pensare che il comunismo sia la malattia senile del postcomunismo