di Fabrizio Montanari
Dal 31 dicembre 1920 alla fine del 1921 in provincia di Reggio gli assassinati dai fascisti furono 12, ai quali nei primi sei mesi del 1922 si aggiunsero altri 6 antifascisti. La strada del socialismo reggiano che era apparsa inarrestabile e in continua espansione, iniziò una ripida discesa, che lo portò nel volgere di pochissimo tempo alla dissoluzione.
Alcuni fatti accaduti a Reggio e in provincia suonarono come un inequivocabile campanello dall’arme. Oltre alle distruzioni delle cooperative, dei circoli socialisti, delle sedi sindacali, dei “comuni rossi”, degli uffici di collocamento, l’8 aprile 1921 furono assaltate e distrutte la sede della Camera del lavoro provinciale di Reggio e la redazione, con annessa tipografia, del giornale socialista la Giustizia. E così, purtroppo, avvenne un po’ in tutta Italia.
Caduto il governo Facta, dimostratosi incapace di contenere la violenza fascista, non si aprì, contrariamente alle speranze di molti, una nuova stagione di pacificazione e di legalità. Fu allora che il gruppo parlamentare e i riformisti, in contrasto con la maggioranza massimalista del partito, cercarono di sfruttare gli stretti margini residui di manovra per rilanciare l’iniziativa. Turati, giocando il tutto per tutto, si recò dal re per dare parere favorevole del gruppo parlamentare socialista ad un eventuale governo di tenuta democratica. Purtroppo si arrivò alla reinvestitura di Facta e, di conseguenza, alla fine di ogni speranza.
Il fallimento del patto di “pacificazione” con Mussolini e la divisione consumata con i comunisti, indebolirono tutto il fronte antifascista, affidando l’iniziativa politica solo al coraggio e alla volontà dei dirigenti più attivi e determinati. Nonostante il clima di violenza imperante in tutta la provincia reggiana, i socialisti non vollero rinunciare a festeggiare la festa del Primo Maggio del 1922.
Quel giorno raggiunsero Reggio migliaia di persone non solo per festeggiare la giornata dei lavoratori, ma anche per richiedere il ripristino della legalità e la fine delle violenze. Al comizio si tenne al teatro municipale, il prefetto lo aveva consentito solo a patto che la manifestazione si svolgesse in forma privata, parlarono Prampolini, il comunista dott. Gasperini di Urbino, il repubblicano Schinetti e il segretario generale della C.G.I.L. D’Aragona, il quale toccò uno dei temi centrali della questione fascista: “Il fascismo-affermò- non è sorto per reazione alla cosiddetta violenza dei sovversivi, bensì per colpire gli organismi di difesa operai che maggiormente premeva alla borghesia di abbattere.
Si stanno, in pratica, contrapponendo due incompatibili blocchi socioeconomici”. In molti altri comuni però si registrarono scontri, feriti e morti.
L’appuntamento che però segnerà la definitiva resa dei socialisti sarà paradossalmente lo sciopero generale del 1-3 agosto 1922, proclamato dall’’Alleanza del lavoro (C.G.I.L., U.S.I. e U.I.L., sindacato dei ferrovieri, dei lavoratori dei porti, socialisti. Repubblicani e anarchici) in “difesa delle libertà politiche e sindacali”. I comunisti non aderirono all’Alleanza, limitandosi a dichiarare la loro vicinanza ai lavoratori in sciopero con tutti i mezzi loro disponibili.
Turati e Prampolini dichiararono che lo sciopero avrebbe avuto “carattere legalitario”, supportando lo Stato nella difesa contro le minacce fasciste. Il messaggio lanciato dall’Alleanza del lavoro non fu recepito, o compreso dal governo, facendo così naufragare l’ennesimo tentativo socialista d’evitare il baratro. I fascisti allertati per tempo ebbero invece modo d’organizzare, armi alla mano, una violenta reazione per stroncare lo sciopero. Nonostante tutto la partecipazione degli operai fu numerosa e compatta. Quando i fascisti intervennero davanti ai luoghi di lavoro per porre fine allo sciopero le autorità di polizia, contrariamente alle aspettative dei socialisti, lasciarono fare e il clima si incupì velocemente.
Di fronte alla violenza reazionaria fascista e alla complicità della polizia, i dirigenti sindacali dell’Alleanza decisero, per evitare un nuovo spargimento di sangue, di sospendere lo sciopero il 3 agosto a mezzogiorno.
A Reggio l’adesione allo sciopero fu buona, soprattutto alle officine “Reggiane”. Scioperarono i lavoratori delle cooperative, del calzificio di Gardenia, i ferrovieri della Reggio-Ciano, gli operai delle fabbriche e i contadini di molti comuni della provincia.
Il timore di disordini e di ulteriori spargimenti di sangue indussero tuttavia la commissione delle organizzazioni operaie di Reggio a ordinare la cessazione dello sciopero nel pomeriggio del 2 agosto, addirittura il giorno prima dello stop proclamato dall’Alleanza del lavoro.
Quale segnale più evidente di debolezza e di incapacità a reagire poteva dare il movimento operaio? La cessazione anticipata dello sciopero ebbe il sapore della resa, ma considerata la connivenza delle forze dell’ordine, divenne l’unica soluzione possibile per non provocare altro spargimento di sangue. Gravi disordini e violenze si ebbero invece a Milano dove l’amministrazione socialista fu estromessa e venne incendiata la redazione dell’Avanti!, a Genova dove fu distrutta la redazione del giornale socialista Il Lavoro, a Firenze che vide invece l’assalto alla Camera del Lavoro.
La redazione de La Giustizia aveva già lasciato Reggio per Milano e diversi dirigenti socialisti reggiani dovettero ben presto allontanarsi da Reggio.
Fabrizio Montanari