di Michele Chiodarelli
Il 7 febbraio 2023 è una data da segnare con il circoletto rosso (come direbbe Rino Tommasi) nella storia dello sport mondiale; infatti, a 10 secondi e 9 decimi dal termine del terzo quarto dell’incontro di basket Los Angeles Lakers (la squadra per cui gioca da alcune stagioni) -Oklahoma City Thunder LeBron James è diventato il miglior marcatore di «ogni epoca» della Nba. 38.388 punti in quel momento, uno in più di Kareem Abdul-Jabbar, il fuoriclasse degli anni 70 e 80 che dopo aver cominciato la sua straordinaria carriera a Milwaukee vestì la stessa canotta giallo-viola, diventando uno dei fari con Magic Johnson degli squadroni del periodo dello show-time.
Nel mare di scommesse che sono fiorite attorno al momento atteso da decenni (Abdul-Jabbar, che poi si ritirò nel 1989, aveva stabilito il primato nell’aprile del 1984 e curiosamente James è nato il 30 dicembre dello stesso anno ad Akron in Ohio), non è mancata nemmeno la puntata sulle modalità in cui sarebbe stato sancito il sorpasso: tiro da due, tiro da tre, tiro libero o addirittura tiro ad uncino, nella romantica idea che il momento fatidico sarebbe avvenuto nel segno del «gancio-cielo» che fu il marchio di fabbrica di Abdul-Jabbar?
Ebbene, il canestro tanto atteso è stato frutto di un tiro in sospensione dopo aver ricevuto la palla da Westbrook (tra l’altro al passo d’addio con i Lakers) cadendo all’indietro (il cosiddetto fade-away), un gesto molto simile a quello del primo centro in assoluto di James nel campionato professionistico: correva il 2003 e Lebron, allora con i Cleveland Cavaliers, segnò quei punti ai Sacramento Kings sul loro campo. James ha impiegato 1410 partite in quasi 20 anni per superare quanto Abdul-Jabbar fece in 1560 incontri. È bene precisare che si parla di primato relativo alla stagione regolare, perché nel computo combinato regular season-playoff in vetta c’era già il campionissimo venuto dall’Ohio.
Come previsto dal protocollo messo a punto in caso di record, la partita è stata interrotta per procedere con i festeggiamenti. LeBron ha alzato le braccia al cielo e a fianco del commissioner Adam Silver e di Kareem Abdul-Jabbar ha pronunciato non banali, parole. Prima di tutto ha ringraziato «i fedeli tifosi dei Lakers» (c’erano puntate perfino sul destinatario della prima dedica: il Padreterno era in vetta alle scommesse su questo tema, ma non è andata così), poi ha avuto un pensiero per chi aveva appena sorpassato, Kareem appunto, «Il Capitano» che gli ha donato il pallone dell’incontro quale simbolo del passaggio di consegne.
“The Chosen One” (il predestinato) dal titolo della copertina che Sports Illustrated dedicò 20 anni fa a un giovanissimo Lebron è diventato, quindi, definitivamente una leggenda dello sport, coronando, così, con questo record, una carriera peraltro già straordinaria contraddistinta da 4 titoli NBA (2 a Miami, 1 a Cleveland e l’ultimo appunto a Los Angeles nel 2020) e dagli ori olimpici vinti a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012.
Ovviamente James è molto di più che un fantastico giocatore di basket: è un brand che fattura centinaia di milioni di dollari, è un entertainer che si esibisce anche al di fuori del parquet, ma soprattutto è, volente o nolente, un soggetto politico, a differenza di Michael Jordan, da quando nel 2008 sostenne economicamente e pubblicamente la campagna di Barak Obama, che può diventare un punto di riferimento per tutta la comunità afro-americana.
Proprio mentre scrivo Lebron ha dimostrato di avere ancora un grande avvenire dietro alle spalle trascinando i Lakers,pur sfavoriti ,dopo aver superato 4/2 nella serie i campioni in carica di Golden State, alla finale della west-conference con Denver (Miami e Boston si affronteranno a est). E ciò che ha davvero impressionato è stato nella partita decisiva il dominio mentale di James (30 punti, 9 assist 9 rimbalzi), sempre controllato, sempre sul pezzo in ogni singolo possesso. Una calma serafica e, al tempo stesso, uno strapotere tecnico impareggiabile. Insomma di questo ragazzo di 38 anni sentiremo parlare ancora a lungo