di Alessandro Perelli
E’ una monarchia parlamentare la Thailandia dove si e’ votato per le elezioni politiche la scorsa domenica. Di fatto però il Paese del sud est asiatico con circa 70 milioni di abitanti e’ dal 2014 una dittatura militare da quando fu rovesciato con un colpo di stato il governo democraticamente eletto con la connivenza del re, oggi Rama X.. E il risultato di questo elezioni dovrebbe segnare il ritorno della democrazia e della libertà in un Paese conosciuto soprattutto a fini turistici, per la presenza di bellissime spiagge e vestigia storiche e che basa la sua economia principalmente su questo afflusso di denaro oltreché sull’agricoltura, la pesca e le risorse minerarie. Dovrebbe perché anche se i risultati del voto appaiono chiari permangono ancora molti dubbi sulla loro reale evoluzione. Cominciamo dai dari forniti dalla Commissione Elettorale. Il Presidente Boonpracpng ha annunciato che con il 99% delle schede scrutinate i partiti di opposizione ai militari hanno ottenuto la maggioranza dei seggi nella Camera dei Rappresentanti. Infatti il Move Forward Party ( Mfb) e il Pheu Thai Party si sono aggiudicati 112 deputati ciascuno sui 400 a disposizione della Camera bassa del Parlamento thailandese. Inoltre i due si sono assicurati anche i 2/3 dei cento seggi delle liste di partito il che porta le due forze politiche che si sono opposte al golpe militare sostenuto dalla monarchia ben oltre all soglia dei 250 seggi per avere la maggioranza nella Camera dei Rappresentanti. La ripartizione finale dei deputati e di 151 per il Mfb, 141 per il Pheu Thai mentre il movimento favorevole ai militari ne ha ottenuti solo 36 preceduto al terzo posto da un partito conservatore e populista che ne ha conseguito 71. Forze politiche minori si sono poi spartite le briciole. Mfb e Pheu Thai sono molto diversi come orientamento. Il primo si può dire l’immagine della Thailandia progressista e ne che guarda al futuro . E’ particolarmente popolare sia nelle elite urbane e intellettuali sia nella società civile e nella emergente classe media. Le giovani generazioni lo hanno preso come punto di riferimento. Uno dei suoi cavalli di battaglia e’ la riforma dell’ articolo 112 della Costituzione che prevede il reato di ” lesa maestà” che in questi ultimi anni e’ stato usato come arma politica. Di segno completamente opposto il Pheu Thai forte dell’appoggio degli agricoltori tradizionalisti con una vena di populismo e fautore sul piano della sicurezza interna della “tolleranza zero”. Pira Limjaroenrat, leader del Mfb, che si è proposta come Primo Ministro del nuovo Governo ha gia’ avviato le trattative politiche e in una conferenza stampa ha annunciato di aver raggiunto un accordo con forze minori che le consentirebbe di formare il nuovo Esecutivo. Ma il suo entusiasmo, dopo l’esito delle elezioni politiche rischia di metterla nella classica situazione di fare i conti senza l’oste. Con l’oste che in questo caso e’ rappresentato dai militari ancora al potere. Non bisogna dimenticare infatti due cose che potrebbero cambiare le carte in tavola. La prima sono i tempi che la Commissione Elettorale, controllata dai militari, utilizzera’ per render ufficiali i risultati definitivi del voto, tempi che potrebbero allungarsi a dismisura rimandando il ritorno alla prassi istituzionale democratica. La seconda concerne la composizione del Senato con i suoi 250 membri nominati dal Governo in carica controllato dall’esercito. E si capisce bene che se fossero tutti, o la maggior parte allineati ai militari, i conti sulla nuova maggioranza andrebbero rifatti. Sullo sfondo, ma neanche tanto, si delinea il ruolo del re Rama X che ha sempre appoggiato il colpo di stato dei militanti. Una transizione ancora piena di pericoli quella della Thailandia verso la democrazia che solo nelle prossime settimane potremo vedere se si attuerà come la volontà degli elettori domenica scorsa ha dimostrato ampiamente di volere.