di Gioacchino Bratti
Terenzio Arduini nasce a Longarone il 20 luglio 1920. E’ figlio di Cesare e di Dosolina Zandonella. Il padre, nato a Cattolica (allora prov. di Forlì, ora di Rimini) in una numerosa famiglia contadina, all’inizio della prima guerra mondiale era stato chiamato alle armi e inviato al fronte ove rimase fino al 1918. In quegli anni conobbe la futura moglie; a fine guerra si sposarono e presero residenza a Longarone. Cesare iniziò la sua attività di camionista viaggiando attraverso il confine con la Germania, la Svizzera, l’Austria, ecc.
Ebbero tre figli: Valentina, Terenzio e Flora.
Terenzio, familiarmente chiamato Enzo, poco propenso agli studi, preferì inserirsi nell’attività del padre. Alla vigilia della seconda guerra mondiale fu chiamato alle armi, destinato a Roma al Ministero della Marina Militare. Dopo l’8 settembre fece parte, per un breve periodo, della Resistenza Bellunese, nella brigata Leo De Biasi, battaglione Mosena. Sposò Eugenia Mazzucco, una giovane di Olantreghe; ebbero due figli: Cesare ed Adele. Continuò a seguire l’attività del padre, come camionista, e più tardi, nel 1961 aprì un bar accanto alla stazione ferroviaria di Longarone. In politica fu subito nel Partito Socialista e segretario della Sezione di Longarone.
A seguito del risultato elettorale comunale del novembre 1960, dal 14 novembre dello stesso anno, fu assessore anziano e vicesindaco dell’Amministrazione Comunale retta dal sindaco Giuseppe Guglielmo Celso. In questo periodo egli fu anche consigliere della locale Associazione Pro Loco.
Nella tragedia del 9 ottobre 1963 Arduini perse il padre, la madre, il figlio Cesare e la sorella Flora con tutta la famiglia. Egli si salvò perché abitava nella frazione di Roggia, scampata al disastro.
Pur sconvolto dalla tragedia e ferito dalle gravi perdite familiari, Arduini assunse coraggiosamente, come vicesindaco, la guida del comune di Longarone, già dalla prima seduta del Consiglio Comunale dell’ 11 ottobre 1963 (a soli due giorni dal disastro), con la ridotta presenza di consiglieri comunali, in cui si assunsero significative delibere: quella di invitare il Parlamento a promuovere un’inchiesta sul disastro e l’altra di inoltrare denuncia contro “i probabili responsabili” della tragedia, nominando i relativi legali.
Nella successiva seduta consiliare del 18 ottobre (con nove consiglieri presenti) Arduini nuovamente espresse la ferma volontà della rinascita di Longarone “più fiorente di prima, in onore dei morti, per la volontà che deve animare i vivi”. Ne indicava anche alcuni presupposti, tra cui che venisse eliminato il pericolo di nuovo tragedie e il varo di un grande piano di industrializzazione “che garantisca la piena occupazione della nostra gente”. In quella seduta fu approvato un documento fondamentale, a firma dello stesso Arduini e del segretario comunale Mario Laveder, dal titolo “Disastro della diga del Vajont. Ricostruiamo Longarone”, rivolto a tutte le principali istituzioni del Paese. In esso venivano elencati i principi della rinascita: venivano ribaditi il ruolo strategico di Longarone nella geografia e nell’economia della Provincia, la sua vocazione industriale, la necessità di una ricostruzione rapida, la salvaguardia idrogeologica, un organico sviluppo urbanistico e molto altro ancora. Naturalmente – è questo è sempre stato uno dei temi cari ad Arduini – la ricerca della giustizia con l’individuazione delle responsabilità. Insieme, un commosso sentimento di riconoscenza per l’opera di soccorso e per le tantissime espressioni di solidarietà.
Il 22 novembre 1963 Arduini veniva eletto sindaco di Longarone (incarico che ricoprì fino al 9 dicembre 1964), in una situazione difficilissima, con il paese distrutto nella sua struttura essenziale (sopravvivevano solo alcune frazioni) e con la perdita di circa 1500 abitanti.
In questa drammatica realtà Arduini seppe esprimere con efficacia la sofferenza e le attese dei sopravvissuti e la loro indomita volontà di rinascita. Fu attivo e determinato, prodigandosi con grande generosità e impegno al servizio del paese. Ricordiamo il positivo rapporto che egli ebbe con le istituzioni, cui peraltro non mancò di far giungere, ove necessario, rimostranze e denunce, e con il mondo dei soccorsi e della solidarietà (fu la sua amministrazione a concedere la cittadinanza onoraria al generale Carlo Ciglieri, coordinatore delle operazioni di soccorso, il 14 marzo 1964). Strinse, nel maggio 1964, il gemellaggio con Bagni di Lucca e il suo sindaco Mario Lena (il comune toscano si sentiva allora minacciato dalla possibile costruzione di una diga). Affidò all’arch. Giuseppe Samonà, direttore dell’Istituto Universitario Superiore di Architettura di Venezia, la redazione del piano urbanistico del comune, approvato il 14 marzo 1964 (piano che, di fatto, fu poi abbandonato dalle amministrazioni successive). Fu sempre sostenitore della necessità della programmazione, un principio che allora stava prendendo piede nel Paese.
Terminò il suo mandato con le elezioni del 22 novembre 1964 e con l’elezione, il 10 dicembre 1964, del nuovo sindaco, Gianpietro Protti.
Non per questo egli lasciò la vita amministrativa, politica e sociale. Fu consigliere di minoranza in due successivi mandati amministrativi, nei quali non mancò di produrre varie iniziative, con documenti che portano la sua firma. Fu prima consigliere e poi presidente della Proco Loco, attivo promotore dello sviluppo della Mostra Internazionale del Gelato (allora gestita dall’Associazione). Riuscì anche a riavviare, nel 1964, la sua attività di gestore del bar presso la stazione ferroviaria, uno dei primi nuovi locali pubblici aperti in paese.
Morì il 5 marzo 1989.