Vittoria sul nucleare, sconfitta sul carbone: questo al momento e’ il risultato delle scelte programmatiche dei verdi tedeschi, impegnati con socialdemocratici e liberali nel Governo guidato da Olaf Scholz che ha chiuso l’era Merkel. Il 15 aprile sono stati chiusi gli ultimi reattori nucleari che erano stati prorogati di alcuni mesi. Si è chiusa così un’esperienza durata sessanta anni con una collaborazione fattiva con la Francia. Lo ha ribadito il Vicecancelliere Robert Habeck, esponente di punta dei Grunen, assicurando che da quella data si passerà allo smantellamento. Indubbiamente un successo per il partito dei verdi tedeschi che, nell’ultima campagna elettorale delle politiche, che li ha notevolmente premiati come consenso, avevano fatto di questo obiettivo un punto irrinunciabile per la loro presenza nell’Esecutivo. A nulla sono valse le considerazioni dei socialdemocratici e soprattutto dei liberali sulla necessità di un ulteriore prolungamento dell’attività delle centrali nucleari a causa dei problemi energetici del Paese derivati dall’applicazione delle sanzioni contro Putin e quindi del blocco delle fonti energetiche provenienti da Mosca. Avviato nel 2011, il piano di denuclearizzazione si sarebbe dovuto concludere il 31 dicembre 2022 ma l’emergenza energetica aveva provocato uno slittamento al 15 aprile 2023. La data è stata rispettata anche se sondaggi alla mano, il 60% dei tedeschi considera sbagliato l’abbandono definitivo del nucleare e solo il 35% viene dato favorevole alla decisione dei Governo federale. Ma quella che è sembrata la completa affermazione del programma dei Grunen lascia però spazio al rovescio della medaglia. Con non molta coerenza rispetto alla loro scelta di privilegiare le fonti pulite di energia lo stesso Robert Habeck ha messo la sua firma a una serie di leggi che impongono una moratoria alla chiusura delle centrali a carbone. Berlino punta quindi decisamente a rilanciare la fonte fossile più inquinante per sopperire alla energia che non acquista più da Mosca. Descritta come una scelta dolorosa ma necessaria in realtà appare più una misura dettata dalla ragion di stato e dal pragmatismo rispetto alle vane attese di un ambientalismo fine a se stesso. Non la pensano sicuramente così i manifestanti, soprattutto giovani, che si sono mobilitati contro l’espansione di una miniera di lignite nella Germania occidentale e che hanno accusato i Grunen di svendere in cambio del potere la battaglia per le fonti rinnovabili e non inquinanti di energia. Una politica dalla doppia faccia quella seguita soprattutto dal Vicecancelliere Habeck che non pare digerita da un elettorato che proprio sul rigore ambientale aveva scelto di votare i verdi nelle ultime elezioni politiche. A questi negli ultimi giorni, proprio su Habeck, è piovuta un’altra tegola, il cosiddetto affare “Testimone di nozze”. Un sospetto di favoritismi riguardante proprio l’esponente di punta di un partito, i Grunen, più volte autoproclamatosi come guardiano della questione morale in Germania. È successo che il suo sottosegretario e compagno di partito ha nominato il suo testimone di nozze Michael Schaefer a Presidente della Dana, l’Agenzia per l’energia. Un caso di nepotismo sul quale si sono scatenate le opposizioni al Governo Scholz, soprattutto l’estrema destra. Habeck ha definito un errore l’accaduto bloccando subito questa nomina ma l’accusa di familismo ha nuovamente portato i verdi al centro di polemiche da parte degli iscritti ne dell’opinione pubblica. Un periodo non sicuramente positivo per Habeck e il suo partito le cui conseguenze rischiano di favorire i comunisti della Linke che sperano di convogliare su di loro gli elettori Verdi delusi.