Caro Marco, intanto ti ringrazio per la citazione. I nostri “eredi”, subendo l’impostazione culturale anticoncertativa della Fiom, non hanno proseguito sulla strada tracciata dall’accordo “triangolare” del 23/7/1993 con il governo Ciampi sviluppandone la parte che riguardava la contrattazione aziendale/decentrata (comunque integrativa del Contratto nazionale) che avrebbe dato risposte salariali migliori di quelle realizzate a partire dall’inizio degli anni 2000. Comunque – come ti ho implicitamente scritto nello sms – la situazione italiana è meno peggiore di quanto venga illustrata. Solo uno come Landini (seguito anche da Cisl e Uil) denuncia una situazione “disastrosa”, pensando così di addossare ai governi la responsabilità quando – essendo i sindacati “autorità salariale” e non i governi (mica siamo nel Fascismo o come in URSS o in Cina – dimentica che così dicendo si fa una autocritica. Tutto parte dal rapporto Ocse che mesi fa ha detto che l’Italia è l’unico Paese dei trenta dell’Ocse che da trent’anni non vede aumentare le retribuzioni oppure dalle statistiche di Eurostat che, comunque, non indica la situazione italiana all’ultimo posto dell’Europa a 27 ma al 9° posto. Certamente una posizione “bassa” (sotto la media delle retribuzioni della zona Euro). ma vediamo il perché? Queste statistiche parlano di retribuzione media, un salario che in realtà non esiste, essendo un dato virtuale, matematico, ragguagliato ad un numero molto ampio di situazioni salariali settoriali molto diverse tra loro e ragguagliato al numero dei dipendenti di ogni categoria produttiva e di ogni qualifica dell’inquadramento professionale e retributivo (anche questi molto diversi tra settore e settore. Tra l’altro la retribuzione lorda mensile ed annua di queste statistiche non tiene conto che la 13esima mensilità italiana (gratifica natalizia) esiste solo in Italia o quasi: perciò la Rai, media italiana retribuzione annua lorda, che è di 2.500 euro mensili e 30.500 euro annui dovrebbe essere aumentata dell’8,33% (una mensilità) che porta a 2.708 euro mensili (32.500 annui). La Rai italiane spaziano dai 42.245 del settore banche e servizi finanziari, ai 39.950 dei chimici e farmaceutici, ai 37.733 energia e gas, ai 36.631 delle TLC ai 28.600 dei metalmeccanici, poco più sopra gli edili, per andare ai 26.442 euro del turismo e pubblici esercizi ed ai 25.068 euro dei servizi alla persona e ai 23.000 euro dell’agricoltura. Queste grandi differenze tra settori della Rai dipendono dal fatto che la massa salariale di un settore, se è concentrata nelle qualifiche medie e medio-alte determinerà un risultato elevato e, viceversa, se è concentrata nelle qualifiche basse determinerà un risultato basso. Come si dovrebbe sapere i sopra esposti settori con una retribuzione media lorda elevata hanno molti dipendenti in meno dei settori con una Rai molto bassa. Tra l’altro i settori cosiddetti avanzati hanno subito riduzioni di personale per l’introduzione delle nuove tecnologie e della automazione nell’attività produttiva o dei servizi prodotti. Per giunta i settori con una bassa Rai media vedono una presenza sindacale con un potere contrattuale debole e quindi i rinnovi contrattuali non hanno determinato grandi risultati economici e spesso i lavoratori sono inquadrati all’ultimo livello della scala retributiva anche quando meriterebbero professionalmente un livello superiore. Il fatto che rispetto a trent’anni fa retribuzione media lorda italiana, a differenza di altre situazioni di Paesi nostri concorrenti, registri un regresso non dipende dal fatto che non si sono rinnovati i contratti nazionali di lavoro (a differenza di alcuni Paesi europei la copertura contrattuale in Italia è di circa il 93%) ma, oltre che dalle ragioni sopra esposte, dipende da un dato che si è enormemente accentuato in questo trentennio: la sparizione delle Partecipazioni statali e la crisi di grandi gruppi privati che hanno determinato la riduzione delle medie e grandi aziende ed una ulteriore proliferazione delle piccole aziende nelle quali non si è sviluppata la contrattazione di secondo livello (aziendale o territoriale), oppure per la debolezza sindacale si è prodotta una situazione di non corretto inquadramento professionale e perciò retributivo ed anche perché, proprio nei settori del terziario alberghiero, nei servizi domestici e alla persona e nell’agricoltura, si è sviluppato il fenomeno di contratti “farlocchi” convenuti tra organizzazioni datoriali e sindacali autonome “farlocche” con trattamenti inferiori a quelli contrattati e sottoscritti dalle organizzazioni confederali storiche. Trovo negativamente sorprendente che ogni qualvolta a livello mediatico appaiono notizie su queste statistiche delle retribuzioni annue (o mensili medie) da parti di politici ed anche di qualche Ministro del Lavoro (che dovrebbero avere a disposizione fior fiore di esperti) non si faccia menzione delle valutazioni sopra esposte e trovo ancor piu’ sconvolgente che non siano spiegate dai dirigenti sindacali e che – gli uni e gli altri – si rifugino nella proposta del “salario minimo determinato per legge” (che non risolve il problema delle basse retribuzioni a livello di massa se la stragrande maggioranza dei lavoratori, in particolare nei settori ad alta densità di manodopera, restano inquadrati nell’ultimo o negli ultimi livelli retributivi) oppure non si affronti il problema del superamento del “nanismo” delle imprese e della piena affermazione in tutti i posti di lavoro della contrattazione integrativa di secondo livello collegata a parametri di produttività e redditività di impresa in crescita che puó solo maturare in un sistema produttivo e dei servizi di dimensioni aziendali significative. La scorciatoia di intervenire solo sulla riduzione del cuneo fiscale o parafiscale, scaricando solo sul governo il problema delle retribuzioni è un modo per gli attori sociali per sfuggire alle loro responsabilità di “autorità contrattuale e salariale”. Anche la motivazione di Landini e soci che il problema dei bassi salari dipenderebbe dall’eccesso di “precarietà” determinato da contratti a tempo parziale o determinato è poco plausibile se confrontato con il dato dei maggiori Paesi nostri concorrenti, tenendo presente che essi rappresentano il 16,2 % del totale degli occupati in linea con la media europea e della situazione in materia di Germania, Francia e Gran Bretagna. A partire dal 2022 le nuove assunzioni sono state in larga parte a tempo indeterminato e molte sono state le trasformazioni dei rapporti di lavoro da temporanei a continuativi. Su tutto quanto sopra espresso una Tua opinione al riguardo sarebbe da me gradita. Un abbraccio, ciao Silvano.