Magistrati e quanti esercitano funzioni pubbliche sono tutti tenuti a rispettare le sentenze emesse dai tribunali della repubblica, compresa quella sulla strage terroristica del 2 agosto 1980 presso la stazione di Bologna. Studiosi e ricercatori possono discuterla e anche non condividerla. Nelle sedi e nelle sfere di loro competenza e responsabilità godono della libertà e dell’indipendenza che la costituzione, fin quando l’Italia resta un regime liberaldemocratico, ha riconosciuto a chi svolge attività di ricerca.
È importante che la verità giudiziaria non si discosti dalla verità storica. Giudici e ricercatori debbono poter marciare uniti per fronteggiare l’incombente (e fino ad oggi vittoriosa) verità politica. Lo stesso interesse non si vede perché non debba averlo l’associazione dei parenti delle vittime. Nel processo di cui sto parlando ha avuto un ruolo preponderante rispetto ad altri e alla fine decisivo. La narrazione storico – politica di cui i giudici hanno ampiamente intessuto le motivazioni della sentenza è per lo più modellata sulle analisi di questo organo privato di cittadini colpiti negli affetti. Nessun risarcimento potrà farne scemare l’inaudita sofferenza.
Dall’impostazione del processo e dall’esito finale sulla strage del 2 agosto i ricercatori non legati alle parti in cau sa non hanno taciuto differenze, anche molto sensibili, di opinioni e di valutazione sia per quanto riguarda le indagini sia per quanto riguarda l’approccio storiografico.Si tratta di persone non rubricabili come prossime al fascismo e ai suoi eredi nè come membri di una sorta di collettivo di storici contrapposti a quelli di cui si sono avvalsi i giudici e l’assovciazione dei parenti delle vittime : Lorenza Cavallo (moglie del primo comandante delle lotte partigiane nelle valli piemontesi),Valerio Cutonilli, Luigi Manconi Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pelizzaro, Paolo Persichetti, il giudice Rosario Priore,Andrea Romano, Vladimiro Satta ecc. Chiedo scusa per le eventuali omissioni.
Di loro agli inquirenti non ne è mai importato nulla. Chi studia e scrive di terrorismo nero,come quelli prima citati, fa parte di un microcosmo della cui esistenza igiudici togati salvo qualche eccezione, non si accorgono, anche se hanno in comune di avvalersi degli stessi metodi e fonti.
Pertanto i risultati ai quali sono pervenuti questi studiosi indipendenti non hanno un exit pubblico, perchè i giornalini e i giornaloni (dal Fatto Quotidiano a La Stampa, dal Corriere della Sera a Repubblica) hanno preferito assegnarsi un ruolo di spettatori plaudenti, a volte mesto o solo semplicemente ipocrita. Non diversamente dalla stampa di destra che, però, non ha visto l’ora di porre fine al rito funebre, cioè di liberarsi del disagio di avere avuto più di un legame con gli imputati condannati a Bologna.
Il processo ha avuto fin dall’inizio un andamento e un’evoluzione finale in cui la mole degli indizi non ha mai lasciato scaturire la pistola fumante di prove indiscutibili. Ciò vale per chi ha privilegiato la pista neo-fascista e per chi ha indicato l’eventuale responsabilità di libici e palestinesi. Il dibattito tra gli esponenti dell’una e dell’altra tesi invece di essere di carattere reciprocamente esecratorio dovrebbe essere volto a capire anzitutto se la documentazione di cui gli inquirenti si sono avvalsi è completa, esaustiva. Espongo di seguito qualche dubbio nella speranza che sia meritevole di qualche considerazione.
Nella grande quantità di carte desecretate per il venir meno o l’accorciarsi (come ha deciso la premier Giorgia Meloni) dei vincoli temporali del segreto di stato, si può rilevare un vuoto rilevante: dal 5 luglio al 15 settembre 1980.
Questo vuoto è altamente significativo. Concerne il richiamo a un periodo drammatico, il peggiore del Novecento italiano, in cui hanno avuto luogo episodi gravissimi. Avrebbero potuto incrinare la stessa tenuta del regime repubblicano.
Mi riferisco a indizi consistenti come l’inabissamento – con un’ecatombe di morti- nel mare di Ustica del DC9 partito da Bologna e diretto a Palermo; all’azione dell’Italia (tramite il sottosegretario agli Esteri Giuseppe Zamberletti) per sottrarre ,per conto della Nato, Malta e i giacimenti petroliferi marini al controllo avvolgente, di tipo imperiale, della Libia; alla crisi della Fiat, da un lato salvata nel 1977 dall’immissione di 180 miliardi (5.500 lire di valore di ogni azione) pagati dal Colonnello Gheddafi e dall’altra, per lo “scambio” per cui questo atto ha indotto il governo italiano a favorire le esecuzioni sommarie, in territorio italiano, dei suoi oppositori; alle allucinanti stragi di Bologna e di Brescia, fino al novembre 1979 con l’incrinarsi – con minacce, purtroppo andate a segno- di George Habbash – dei rapporti col terrorismo del FPLP (membro dell’Olp di Arafat),i nostri servizi segreti (Sismi) e lo stesso governo. I primi 32 documenti desecretati del Sismi confermano la volontà–per la mancata liberazione di un suo esponente a Bologna, Abu Salkah Sanzeh- di colpire vittime innocenti, cioè la stessa popolazione civile
Su questo periodo infernale disponiamo purtroppo di una documentazione parziale, inadeguata. Intendo dire che le carte disponibili sono vistosamente insufficienti a produrre – a parte proclami, collegamenti spericolati e irrefrenabili fantasie-pronunciamenti giudiziari che non siano folate di indizi e sacchi di dossier trasbordanti di congetture.
Anche grazie alla disorganicità con cui è stata gestita, una studiosa indipendente come la Dott.sa Giordana Terracina qualche giorno fa dalle colonne di Start Magazine, ha potuto rilevare quanto segue: cioè che “oggi in ACS (Archivio Centrale dello Stato) non ci sono documenti sull’attività del Sismi tra il 2 luglio e il 23 settembre 1980, accomunati dal fatto di essere stati coperti dal segreto di Stato fino al 28 agosto 2014 e custoditi fuori dall’ACS, dove probabilmente il resto dei fascicoli è rimasto.”
Chi è responsabile della selezione dei documenti che sono stati in così malo modo versati?È opera della totale autonomia nella gestio ne, selezione e conservazione della documentazione di cui hanno fruito, e si sono avvalsi, non saprei dire quanti ministeri (Interni,Difesa a, Esteri, Giustizia ecc. ) di concerto col Comando generale dei Carabinieri,
Hanno voluto fare di testa loro, grazie all’incapacità della politica di esercitare una guida e un controllo. Pertanto hanno proceduto a delle declassifiche per nulla concordate.
Con chi, domine Dio, se non con le istituzioni che hanno una competenza specifica, come la Commissione di sorveglianza sugli archivi e la Direzione generale degli archivi che normalmente ha titolo per approvarle? Giordana Terracina ne trae l’unica conclusione possi bile: “Nella declassifica gli Archivi di Stato, non sono entrati in nessun modo nell’individuazione della documentazione oggetto delle Direttive (dei governi Renzi, Draghi e Meloni). Di conseguenza, non avendo accesso diretto ai titolari, ai repertori dei fascicoli e ai registri di protocol lo, oggi è impossibile verificare l’integrità delle unità archivistiche”.
Dunque, i magistrati e gli stessi soi-dicant ricercatori reclutati dalle parti in causa nei processi hanno lavorato, prendendoli per buoni (cioè convincenti), su materiali non integri, parziali.
Che cosa cambia, e accade, con la legge 124/07 /che riforma la precedente 801\77 varata dal governo Prodi? di Diciamo in estrema sintesi le seguenti cose: muoiono SISDE e SISMI e prendono vita al loro posto, per assicurare il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, AISE (per i servizi esterni) e AISI(per quelli in terni) posti sotto l’alta Direzione del presidente del Consiglio (il DIS), che nel 2007 era Romano Prodi; le 195 in formative entrano a far parte di un unico elenco; le agenzie di sicurezza versano le proprie carte diretta mente all’Archivio Centrale dello Stato; viene preservata l’integrità del fascicolo con l’obbligo della conservazione per manente della documentazione dei Servizi e l’obbligo di renderla consultabile, presso l’ACS, ai ricercatori di storia.
Che cosa farne derivare per le vicende prima descritte del nostro paese? La Terracina è esplicita: “In questo quadro dai contorni così sfumati, di fronte all’evidenza di una difficile (se non impossibile…) certezza circa il contenuto dei faldoni e i ruoli dei protagonisti, bisogna chiedersi come sia possibile proclamare con assoluta certezza che nelle carte non c’è nulla da scoprire”.
Si possono fare i nomi dei magistrati e degli avvocati che hanno ripetutamente fatto ascoltare questo vecchio refrain. Ma forse è prefe ribile insistere a chiedersi quel che la sentenza della Corte di Bologna e quelle precedenti non ci ha ancora spiegato: perché il generale Carlo Alber to Della Chiesa, occupandosi del terrorismo internazionale e del traffico di armi, si era intestardito a seguire ogni passo di Abu Saleh Anzeh, cioè un esponente delle cellule armate del FPLP che abitava Bologna, era legato a Carlos e al col. Stefano Giovan none?
Gli studiosi del caso Moro immagino vorranno sapere, e capire, di più sul manoscritto trovato addosso al brigatista rosso Giovanni Senzani al momento del suo arresto. Al pari della Dott.sa Terracina vorranno chiedere ai giudici di spiegare il significato di quel che si leggeva in tale appunto trovatogli addosso,cioè che Arafat, leader indiscusso dell’OLP, riferendosi «agli ultimi attentati gravi in Euro pa (Sinagoga, Bo e Trieste)», aveva detto che andavano letti in chiave internazionale, come tentativo dell’URSS «di far saltare questa politica europea».
Tutti, invece, ci chiediamo che cosa contengano le informative sul rapporto SISMI-OLP inviate a Roma dal colonnello Stefano Giovannone riguardanti la strage del 2 agosto 1980 a Bologna. Poiché le carte relative non ci sono (ancora) pervenute dobbiamo davvero dedurne che non ha senso discutere della pista palestinese e del “lodo Moro”, cioè dei rapporti dell’Italia col terrorismo e il traffico di armi di cui per molti anni il nostro paese è stato teatro?
Non posso credere che i magistrati di Bologna non sentano stringente la responsabilità di indagare ancora, e che il capo dello Stato Sergio Mattarella non intenda sollecitarli in qualche modo a riaprirle. Non si deve avere timore, se si è di cultura liberale e non fascista o comuni sta, di riformare eventualmente una sentenza fondata su troppi indizi e poche prove a carico di una manica di killers fascisti (rei confessi spesso) dediti alla più efferata e ripugnante criminalità politica.
Ringrazio per le osservazioni, anche critiche, Lorenza Cavallo e Vladimiro Satta.