La sentenza con la quale il Tribunale di Bologna, in diversi gradi e con diversi imputati, ha condannato come autori della strage del 2 agosto un gruppo di killers (confessi) neo-fascisti non è espressione dell’antifascismo. Questo è il belletto con cui la vorrebbero incipriare giudici, giornalisti orgogliosamente conformisti, associazioni dei parenti delle vittime.
La cultura politica dell’antifascismo quando non si ispira al diritto penale sovietico e nazista, ha carattere liberale. Il suo principio si fonda sulla prevalenza della verità storica rispetto a quella politica. Non importa se l’avversario (definito “nemico”) sia di destra o di sinistra, ideologicamente vicino o lontano.
Per l’antifascismo non si può prescindere dall’esigenza fondamentale che per condannare ci siano delle prove, e che queste non siano idee diverse ed opposte.
E’ proprio questa distanza, per non dire avversione, che si può leggere nelle motivazioni (semplicemente allucinanti e da un punto di vista storiografico indecenti) delle condanne emesse.
Per la prima volta nella storia della nostra repubblica si dice, anzi si scrive, che a fare saltare la sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna il 2 agosto siano state persone che si rifacevano alle nostre alleanze militari (la Nato) e al sistema delle nostre alleanze politiche (il patto atlantico). Si tratta delle scelte di politica internazionale che dal 1945 ad oggi hanno garantito, anche se non perfettamente, le nostre libertà, la nostra vita quotidiana segnando una differenza invalicabile col mondo del comunismo sovietico e di altri dispotismi.Vi si parla di un “grande disegno stragista atlantico” alimentato dal terrorismo nero e “rosso” (tra virgolette nella sentenza).
Dunque, il principio di legalità, da oggi in poi, come nella Germania nazista e nell’Urss staliniana, si fonda nel trovare, come che sia, un avversario bollandolo come nemico.
Sulla base di questo approccio l’Italia è descritta dai giudici di Bologna come il capolavoro del cosiddetto atlantismo. Si intende, cioè, dire che al posto degli elettori (sempre ostili, con un libero voto espresso e confermato in circa settanta anni, a questa soluzione) gli Stati Uniti e gli alleati occidentali avrebbero impedito “l’accesso dei comunisti al potere”.
Per accreditare questa becera falsità i giudici hanno perlustrato una saggistica e convocato come testimoni tutti i giornalisti e i giudici in pensione che nei loro scritti hanno evocato categorie magico-esplicative come “golpe”, “stragismo atlantico”, “sovranità limitata”, “Yalta” , “guerra rivoluzionaria”, “Gladio”, ecc. .Pertanto l’Italia, a leggere la prosa dei giudici di Bologna, è diventata il terreno di sperimentazione di una cospirazione globale guidata dall’alleanza atlantica.
Questo non è un linguaggio giuridico, ma un linguaggio politico, anzi di un partito di estrema sinistra, quello con cui questa sentenza è stata redatta. Di storiografico ha solo la vernice con cui si racconta un misterioso e interamente infondato complotto contro il nostro paese. Di probatorio, come prescrivono le regole dello Stato di diritto, queste opinioni non hanno niente.
Da oggi, se questa sentenza farà giurisprudenza, ognuno di noi è in pericolo, ognuno di noi è meno libero.Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, non farebbe male a stimolare l’attenzione del Consiglio Superiore della Magistratura su questo episodio inquietante di una corte di giustizia che alla verità storica preferisce una verità politica, neanche di grande rango.