di Ivan Lobstraibizer
In questo torno di tempo si può essere solo entusiasti nell’accogliere una nuova testata dall’impegnativo nome “La Giustizia”, non solo nell’attesa della sua venuta ma anche, pensando al suo fondatore storico, nello sperare di imparare a riconoscere e a riconoscerci, rimuovendo inutili sensi di colpa e difendendo parole e azioni che ci appartengono.
Lo scenario politico attuale ci aiuta grazie alla resa dei conti nel Partito Democratico, alla nascita del Terzo Polo e alla forza di governo che nonostante i goffi imbellettamenti è e rimane di destra.
Non è assolutamente vero che oggi non ha più senso parlare di destra e di sinistra, né sostenere che i partiti siano solo un retaggio del 900 e nemmeno affrontare temi come il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla conoscenza e alla salute, ridotti a sopiti slogan che volano di bocca in bocca nelle populiste trasmissioni televisive o peggio, anestesie di eruditi salotti sedentari.
La globalizzazione ha fallito, le ingiustizie sociali aumentano inesorabilmente e il post capitalismo avvia la stagione del Metaverso, nella speranza di un nuovo corso di interessi economici e profitti.
I repentini e incessanti cambiamenti che promettono innovazione tecnologica, stili di vita green-life e smart city, lasciano dietro sé contraddizioni e moltitudini di povertà che differendo tra loro, reagiscono in modo scoordinato sviluppando antagonismi laddove l’imperativo odierno è la solidarietà. Prima ancora di essere “homo sapiens”, creatura che pensa, affermava Ernest Bloch, aggiungo io “homo tecnologicus”, l’uomo è una creatura che spera, e così come è il mondo la fuori a dover dimostrare la propria innocenza di fronte al tribunale dell’etica, è la realtà che viviamo quotidianamente a dover spiegare per quale motivo non si sia elevata ai criteri di dignità definiti dalla speranza.
Per tali ragioni, oggi più di ieri, ha senso essere socialisti e avere contezza dei centotrent’anni di storia coerente, seppur articolata, che ci connota, senza complessi né timidezze e con le opportune attualizzazioni che i tempi richiedono.
Si abbia il coraggio di abbracciare chi parla di socialismo seppur limitandosi a un uso generico del sostantivo, e magari soffermiamoci a illustrargli la fondatezza e sostanza; non si creda ai millantatori del rinnovamento, intergenerazionali epigoni del Signor Tentenna disposti a tutto pur di perseguire un risultato.
Habermas scriveva (Feltrinelli 2002) della necessità “della politica che si rimetta al passo con i mercati globalizzati”; a distanza di vent’anni noi avvertiamo, intuiamo, sospettiamo ciò che occorre fare, ma non possiamo conoscere i contorni e la forma che assumerà e forse, non ci apparirà familiare.
Potrà essere una forma diversa da tutto ciò che è per noi consueto, le solide fondazioni che ci testimoniano però, sapranno sopportare il necessario restauro critico aperto al nuovo che avanza perché certe della propria identità e storia, ben radicate nella geografia del nostro territorio.