Cari compagni, vorrei riflettere con tutti voi. Se escludiamo le realtà virtuali, dobbiamo ammettere che ci vediamo poco e ci parliamo anche meno. Siamo presi dalle nostre vite e, come me, credo che in molti si trovino a sbracciare affannati, travolti dai cavalloni che ci sovrastano in questo mare in tempesta, con questo vento che soffiando porta crisi, guerre, disoccupazione… e che non sembra volersi placare. I pensieri che andrò a condividere potranno non essere di interesse per alcuni, per altri risulteranno stupidi, per certi financo blasfemi, però da qualche parte si dovrà pur iniziare. Riflettendo, leggendo, ascoltando e osservando, ho finito per individuare due “trappole” in cui siamo caduti e da cui fatichiamo a liberarci: prigioni dorate che ci intrappolano, rendendoci ancora più faticoso agire nel rispetto dei nostri valori e dei nostri ideali.
La prima trappola, che vedremo fondersi perfettamente con la seconda, è la resilienza: un termine che, affrancato dal suo significato originale, ci sottopongono con sempre maggior frequenza: una parola che ci rassicura, assorbita per osmosi l’abbiamo fatta nostra permettendole di penetrarci e dominarci. Non ho esperienza nelle discipline della fisica, della psicologia o della sociologia, pertanto mi redimo dall’esprimere un giudizio sull’efficacia della resilienza in questi settori. Di contro mi allarma il diffondersi di questo principio nell’ambito della politica
Il concetto di resilienza muove dall’assunto che vedrebbe tutti i fatti, tutti gli avvenimenti di questo nostro mondo, quali fenomeni naturali che l’essere umano non può cambiare e che deve pertanto accettare e accogliere, attraverso una profonda presa di coscienza di sé stesso, del proprio io interiore, al fine di non soccombervi. È un ritorno al fatalismo di matrice marxiana, all’ambito del naturale che non ha futuro ma che vive in un eterno presente, santificato e cristallizzato per come ci si presenta. Esso cancella ogni idea di possibilità. La possibilità è motore propulsivo nell’universo socialista, che sempre ha rifuggito fatalismo, magia e religiosità. Non possiamo accettare, né tantomeno supportare un principio che, per sua stessa natura, annichilirebbe la nostra esistenza e la nostra missione. Non c’è determinismo, non c’è ineluttabilità, pena l’inibizione dell’azione politica.
La resilienza invita l’individuo a intervenire su sé stesso, così da sviluppare quelle capacità che permettono di far fronte alle difficoltà sia dal punto di vista emotivo, sia dal punto di vista mentale. Lo slittamento dello sguardo dall’esterno verso la propria persona o, in ogni caso, l’ambito personale, incrementa individualismo e personalismo. La conseguenza che ne deriva è un crescente disinteresse nei confronti di tutto ciò che non riguarda la propria realtà e le istanze individuali, a scapito della coralità caratteristica della lotta per le rivendicazioni; nonché una frammentazione della società che, in taluni casi, può sfociare in settarismo e antagonismo.
La seconda trappola è la presa di distanza dalle ideologie e da quelli che oggi vengono indicati come -ismi. Al netto delle varie e personalissime interpretazioni del termine, su cui non mi soffermerò, ed evitando di associarvi i vari e demenziali cretinismi -terrapiattismi, antivaccinismi- negazionismi-rettilianismi, etc., l’allontanamento e la critica progressiva alle ideologie, altro non è che uno strumento funzionale all’allontanamento delle masse sociali dall’attività politica, diretta o indiretta che sia. Questo distaccamento, recentemente riscontrato dalla risibile affluenza alle urne durante le ultime Elezioni politiche e regionali, è allarmante e funge da ennesimo segnale rispetto alla crisi dei sistemi democratici.
Inseguendo le tendenze del momento, anche noi socialisti abbiamo via via limitato il dibattito rispetto le palesi criticità che si registrano nel campo dei diritti sociali, vero motore del sistema democratico, prediligendo la sfera dei diritti civili. Questi ultimi stanno assumendo un carattere strumentale più funzionale alle destre che alle sinistre, sempre più petalose e sempre più incapaci di leggere e interpretare i mutamenti della società.
Le forze capitaliste e i partiti liberisti, ovunque in ascesa, hanno tutto l’interesse a fomentare derive xenofobe, omofobe, misogine, transfobiche etc., che occupano le masse, distraendole dalle reali emergenze e le allontanano da rivendicazioni di carattere economico. I grandi poteri finanziari, sostenitori di uno sfrenato liberismo, hanno compreso il potenziale che, a loro favore, scaturisce dall’individualismo estremo che si va affermando grazie all’irrefrenabile frammentazione del corpo sociale, sempre più contraddistinto da atteggiamenti ostili e conflittuali.
Le sinistre, d’altro canto, stanno vivendo una profonda crisi, nata dall’esaurimento del tradizionale campo di intervento rappresentato dalle masse operaie, nonché dall’incapacità di individuare risposte e soluzioni adeguate al mutato assetto del mondo del lavoro. La classe operaia non tutelata è oggi ampiamente composta da forza lavoro non italiana, spesso operante in condizioni di illegalità e prossimità al sistema schiavista dominato dall’azione delle mafie.
Il numero degli inoccupati è allarmante, così come lo sono i dati relativi al mondo del lavoro nero, che i più si trovano nella perentorietà di accettare pena la sopravvivenza personale e della famiglia. Nel rispetto della nostra storia e delle nostre idee, non possiamo soprassedere dalla ricerca di una soluzione valida, di ampio respiro e lungo termine, che non lasci indietro precari e partite Iva. Lo studio del fenomeno deve portarci a una proposta organica e non al sostegno di timidi ammonimenti che, se non inseriti in un progetto a lungo termine, possono rivelarsi financo dannosi.
I socialisti hanno il dovere di prendere atto dell’evoluzione della società e trarne le dovute considerazioni, piuttosto che ripiegare unicamente sulla questione dei diritti civili, cadendo nella trappola tesa da resilienza e “fine dell’ideologia”. I diritti civili possono tradire la possibilità di una risposta positiva in visibilità mediatica e ritorno elettorale. Alla luce dell’evoluzione in corso all’interno di questi gruppi, dediti alla ricerca di una “storia comune” che li identifichi, pare difficile la traduzione delle istanze particolari in un’azione di comune rivendicazione.
Il rischio è di segno opposto, ovvero la probabilità che queste fazioni non accettino di essere supportati, nella lotta per le rivendicazioni, da gruppi di persone o partiti politici che a loro volta non abbiano attuato una scelta chiara e ufficiale rispetto un gruppo particolare. Questo porterebbe alla snaturalizzazione del nostro metodo di azione politica, che da sempre si basa sull’unione delle forze al fine di perseguire un obiettivo che porti giovamento al più alto numero di persone. Dobbiamo promuovere un nuovo processo di secolarizzazione rispetto queste “nuove religioni”.
L’individualismo è il cardine dell’ordine liberista e capitalista che si sta imponendo quale unico sistema possibile, attraverso la naturalizzazione dello stesso. La riduzione del tutti all’io sta avvenendo grazie alla penetrazione del principio di resilienza, il quale è supportato dalla demonizzazione del pensiero ideologico. Non a caso il mondo del partitismo politico va via via svuotandosi di riferimenti all’ideale animatore; ad esclusione del Partito socialista e dei Comunisti italiani, entrambi detentori di percentuali più che irrisorie, nei partiti politici del nostro tempo non troviamo più riferimento ai principi politici fondanti: Partito Democratico, Fratelli d’Italia, Azione, Italia Viva, Forza Italia, Articolo Uno etc. lo stesso Partito Radicale ha abbandonato la sua storica denominazione preferendo la più indefinita +Europa.
Se inseriamo queste riflessioni nel più ampio contesto globale, diviene fattuale la repentina disgregazione del concetto di unione (fraternité) e comunione tra i popoli. Lo scoppio della guerra in Ucraina, che ci vede co-partecipi ma al contempo subordinati alle scelte dell’alleato d’oltre oceano, non sta accelerando né incoraggiando la repentina conversione dell’Unione europea in quegli Stati Uniti d’Europa pensati a Ventotene, che agirebbero da deterrente verso ogni forma di violenza, sopruso e /o conflitto, facendosi dunque garante di una pace duratura.
Mi auguro che questo piccolo contributo possa stimolare un dibattito interno non più procrastinabile. Se la resilienza abbraccia il nichilismo che divaga incontrollato, i fenomeni di Cancel culture contribuiscono in maniera non superficiale alla condanna tout-court del mondo occidentale e della sua evoluzione storica. Entrambi questi processi si inseriscono nel disegno che punta alla disgregazione della società atta ad impedire la formazione di masse critiche potenzialmente in grado di rivoltarsi contro il sistema. Sistema che si vuol rendere dato di fatto attraverso la santificazione dell’esistente per come si presenta. È il ritorno all’ambito del naturale, del fatale non alterabile e non criticabile.
Alla luce di quanto enunciato mi domando e chiedo: la diffusione e la condanna delle ideologie o meglio, la negazione dell’ideologia non è forse un’ideologia anch’essa. La storia tende a insegnarci che tanto più un principio è negato, tanto più se ne determina e comprova l’effettiva esistenza.
1 commento
Non so più come dirlo. Nessuno raccoglie un invito che rivolgo da anni: vediamoci e parliamoci e smettiamo di parlarci come cani e gatti. Ormai non siamo più quattro gatti, ma due. A Roma ho raccolto una certa consapevolezza. Siamo morti ormai. Non proviamo a risorgere come fece Gesù di Nazareth? Ritorniamo ad incontrarci in tempi brevi e parliamo di noi, della nostra storia, delle tante conquiste. E parliamo agli italiani della politica internazionale che sempre più assomiglia a quella degli anni ottanta quando lottavano per la libertà nei paesi dell’URSS. Parliamo della Grande Riforma che lanciammo nel lontano 1979. Solo noi possiamo parlare di continuità di una storia perché siamo gli unici a non averla mai abbandonata. I socialisti aspettano di essere convocati da qualche parte e vogliono insieme costruire un nuovo futuro.