di Aldo Repeti.
“Vogliamo chiarezza e responsabilità perché tragedie del genere non si ripetano mai più, perché non si può morire di lavoro, non si può morire lavorando. L’esatta ricostruzione dell’accaduto vuole dare seguito alla richiesta arrivata anche ieri dai cittadini e dai sindacati scesi in piazza a Vercelli per chiedere di non caricare mai più sulla pelle dei lavoratori tempi ristretti e risorse ridotte degli appalti e per cambiare il sistema delle manutenzioni”.
Come una filastrocca, di quelle che si raccontano ai bambini prima di addormentarsi, all’indomani di un evento tragico sul lavoro si ripete ridondantemente questa “filastrocca”, col solo scopo di addormentare le coscienze!
Non è compito né dei sindacati né tantomeno della politica baloccarsi su vuote affermazioni e sulla ricerca delle colpe.
Parlare da subito, ad inchiesta in corso con elementi ancora da verificare, di responsabilità circoscritta ai “tempi ristretti delle manutenzioni o alle risorse ridotte degli appalti” o ancora, come taluni fanno, mettere nel mirino i subappalti, significa ritenere esaurito il proprio compito politico e sindacale nell’individuazione delle “colpe”. Detto che tale compito è nella disponibilità della magistratura che accerterà i fatti ed individuerà il “nesso causale” che ha determinato l’infortunio mortale, ridursi a queste affermazioni presupporrebbe che, “allungati i tempi delle manutenzioni e date le risorse agli appalti” o ancora eliminati i subappalti, si risolverebbe in un colpo la questione degli infortuni sul lavoro!
Vuota illusione! Nessuno nega che questi aspetti sollevati presentino concrete criticità, ma la superficialità di analisi non può e non deve fare da velo a comprendere la tematica alla sua base.
Studi e statistiche ci dicono che l’80% degli infortuni sono attribuibili ad aspetti comportamentali.
La normativa vigente, di recepimento europeo, è una buona normativa. Di più, il D.lgs. 81/2008 ricomprende fra i propri allegati normative degli anni cinquanta (DPR 547/55 e DPR 303/56) in quanto già allora all’avanguardia ma a lungo disattesi ed inapplicati e tutt’oggi ancora pregnanti!
Quindi non è un problema di normativa. Di controlli? Certo, ma non solo!
Dobbiamo andare più a fondo ed analizzare cosa significa “aspetti comportamentali” che certamente non equivale alla ricerca del “di chi è la colpa”!
Significa comprendere, capire ed agire sul “perché” vengono messi in atto comportamenti che non sono coerenti con la sicurezza del lavoro e quindi con la tutela dell’integrità fisica delle persone. Capiremmo allora che l’assenza di sicurezza nei luoghi di lavoro risiede, preliminarmente, nella scarsa o mancante “cultura della sicurezza” da parte di ogni soggetto coinvolto.
Siamo sicuri che quanto previsto dal D.lgs. 81/2008 articolo 20 comma 1 “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.” sia un “aspetto comportamentale” praticato con coscienza e convinzione nei posti di lavoro?
Ora qualcuno si soffermerà sulla superficie e mi accuserà di puntare il dito contro i lavoratori. Perché nella sintesi degli slogan fa più “like” guardare il dito e non la luna indicata, finendo per deviare rispetto al senso di quanto si vuol significare!
Niente di più lontano dai miei convincimenti proprio perché parto dal presupposto che gli attori in campo, politica e sindacato, non hanno nella propria disponibilità quella del potere/dovere ricercare i colpevoli, che attiene esclusivamente alla magistratura!!
Il passaggio essenziale di questo articolo, accanto al “prendersi cura della propria e altrui sicurezza e salute”, quale assunto culturale fondamentale nell’esercizio di ogni attività della persona, risiede in un altro assunto: “conformemente alla sua formazione”!
Qui dobbiamo intenderci e qui aprire un confronto anche nei livelli territoriali, se effettivamente vogliamo affrontare e risolvere il tema alla radice. Cosa si intende per formazione?
Letteralmente la formazione è “l’insieme di attività didattiche che sono tese a preparare una persona a svolgere un’attività, una professione o molto più semplicemente a vivere.”
Ecco il punto “preparare una persona semplicemente a vivere”. Quindi la formazione non è e non può essere solo quella che per la normativa deve essere erogata dai datori di lavoro “per preparare a svolgere una attività”, ma anche e soprattutto “quell’attività didattica per preparare una persona a vivere”.
Ovvero quella formazione necessaria per formare l’individuo quale persona inserita in un contesto sociale, soggetto partecipe ed attivo del quotidiano sociale che lo circonda. Si comprende quindi che per creare una coscienza ed una cultura della sicurezza occorre partire più in basso e prima, ovvero dalla scuola.Dove la persona viene formata come individuo, dove deve acquisire con forza la coscienza della propria integrità fisica quale valore assoluto.
Per esperienza posso affermare che nell’ambito lavorativo è molto più complesso riuscire con assoluta efficacia a creare questa cultura. Convinzioni, esperienze, consuetudini radicate, prassi e presunzioni personali spesso fanno da freno verso questo obiettivo. Quanti sono i casi in cui lavoratori e lavoratrici con sufficienza indossano, se indossano, i dispositivi di protezione personale? Quanti sono i casi di riluttanza di lavoratori e lavoratrici che si conformano al principio “ho sempre fatto così e non è mai accaduto niente”? Quante volte lo stesso principio “facendo così faccio prima” è più un modus operandi piuttosto che una direttiva?
Comprendere il perché di questi “aspetti comportamentali” permette di focalizzarci non già sull’individuazione delle colpe, ma sul terreno su cui politica e sindacati debbano intervenire con efficacia per trovare soluzioni.
Investire nella scuola è essenziale, aumentando qualità ed importanza sociale. Acquisire consapevolezza di sé non può limitarsi alle cosiddette soft skills o agli aspetti tecnici, ma capire che tutelare la propria integrità fisica è un valore nel proprio esclusivo interesse!
Affrontare di volta in volta la ragione che ha determinato il singolo evento mortale non serve a dare una risposta compiuta.
In particolare i sindacati hanno un ruolo preminente su questo terreno. Occorre investire anche nella qualità degli impegni, a partire dagli ambiti lavorativi, in modo che le rappresentanze sindacali, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) in particolare, siano non gli attori esclusivi della “rivendicazione” ma gli attori protagonisti della sicurezza come “dovere da praticare”.
Il cosiddetto triangolo della sicurezza, noto anche come piramide di Heinrich, ci dice per ogni infortunio mortale ci sono circa 300 mancati incidenti e circa 30 infortuni con lesioni lievi.
Stimolo i sindacati ad intervenire attivamente e con convinzione su tre fronti: analisi delle ragioni alla base degli eventi come mancati incidenti ed infortuni lievi; monitoraggio dell’efficacia ed efficienza della formazione erogata dai datori di lavoro; rafforzare il ruolo degli RLS come “diffusori della cultura e coscienza della sicurezza” sul posto di lavoro. Parliamo di questo, confrontiamoci, diveniamo parte attiva!
La politica apra un tavolo convinto per investire nella scuola in modo che si promuova anche la cultura della sicurezza sin da bambini. Noi socialisti su questi aspetti siamo disposti al confronto a partire dal livello regionale sia con la parte sindacale che politica.
Aldo Repeti
Segretario Regionale PSI Toscana