Il mondo delle specializzazioni mediche si dissangua: i neo-immatricolati sono solo 10 mila sui 16 mila predisposti. E si registra una fuga costante dai settori della MEU (Medicina di Emergenza-Urgenza) e dalla Radioterapia. Avremo 128 specializzandi MEU in meno rispetto all’anno scorso. In totale sono stati banditi 855 contratti statali per la medicina d’urgenza, costati allo Stato quasi 110 milioni di euro, per avere poi un quarto dei posti assegnati, e i dati storici dicono che tra cinque anni avremo meno di due nuovi specialisti MEU per ogni provincia italiana (esattamente 1 solo specialista MEU ogni 125.000 abitanti). L’Associazione Liberi Specializzandi e l’Anaao Giovani hanno confrontato i dati delle effettive immatricolazioni registrate a ottobre 2023 al concorso di specializzazione d’area medica rispetto a quelle del 2023: quest’anno sono 6.123 i contratti rimasti liberi (di cui 5.095 statali) su 16.165 contratti banditi; si tratta del 38% del totale. E ben 1.648 contratti che erano già stati assegnati non hanno portato ad alcuna immatricolazione.
Sulla grave situazione in atto l’Associazione Liberi Specializzandi e l’Anaoo Giovani hanno raccolto oltre 5.000 firme, del tutto ignorate a livello politico. Eppure, davanti al disastro delle cifre, entrambi i gruppi propongono già da tempo alcune soluzioni: riformare la formazione medica post-laurea; archiviare l’impianto formativo attuale al posto di un vero contratto di formazione-lavoro; istituire i Learning Hospital, con specializzandi che abbiano i medesimi diritti e i doveri dei dirigenti medici; assicurare loro un contratto incardinato nel Ccnl, con retribuzione e responsabilità crescenti. Proposte che, insieme, formano una soluzione che “stranamente non comporta alcun aumento di spesa, perché abolirebbe non il numero chiuso ma la figura dei gettonisti, visto che nella sola Lombardia per loro si spendono ogni anno 27 milioni di euro. Inoltre, si risparmierebbero centinaia di milioni di euro di contratti di formazione non assegnati, che non si sa che fine facciano“.
Basterebbe, dicono le associazioni, creare in tempi rapidi un tavolo interministeriale con il mondo associativo, sindacale e accademico. Bisognerebbe ”predisporre tutte le necessarie azioni legislative per contrastare una carenza che si sta irrimediabilmente ripercuotendo sulla qualità dell’erogazione del nostro SSN“. Anche se da qualche settimana è attivo un mini-gruppo di lavoro composto da soli membri del ministero dell’Università, le associazioni ribattono: “abbiamo seri dubbi che il mondo accademico abbia la volontà di riformare pienamente se stesso“. Parole spigolose, che però non sembrano fuori luogo se si osserva da vicino il fenomeno dei “gettonisti”. Basta leggere un qualunque annuncio di lavoro a loro rivolto: “Contratto partita IVA in collaborazione, in libera professione, compenso di euro 800 per turno. Orario festivo, diurno e notturno”.
Come riporta Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao Assomed, “lavorare come gettonisti conviene al medico che fa qualche turno sporadico, non vuole essere integrato, vuole tempo a disposizione e vuole guadagnare di più. Ma di certo non conviene ai pazienti, specie quelli che si recano al pronto soccorso“. La convenienza del gettonismo è, quindi, esclusivamente economica e vantaggiosa per il professionista. E tra i medici a gettone ci sono molti neolaureati: “Le cooperative non effettuano alcuna selezione a monte“, spiega ancora Di Silverio. “Ci sono quelli non specializzati, o quelli specializzati in altre branche, e molti neolaureati. Si pone il problema della formazione di questi medici, anche dal punto di vista di erogazioni di cure e di responsabilità. Molte volte questi medici non sono neanche specialisti di medicina d’urgenza”. Uno scenario da brividi per i pazienti. E il futuro è grigio per tutto il Servizio Sanitario nazionale.
Nei pronto soccorso la metà dei medici è già a gettone, e i gettonisti sono sempre di più: un vero e proprio esercito, ma sono proprio loro a garantire la tenuta della medicina d’urgenza. Fabio De Iaco, Presidente della Società Italiana di Medicina d’Emergenza e Urgenza, sostiene che “la portata del fenomeno varia da regione e regione: in Piemonte il 65-70% dei pronto soccorsi è gestito da cooperative, ma il dato è addirittura più alto in Veneto”. De Iaco assicura che tra i gettonisti “ci sono dei professionisti bravissimi che hanno deciso di lavorare con le cooperative, ma la loro provenienza è varia, incontrollata e improbabile: dai neolaureati che non hanno alcuna esperienza fino ai pensionati che vogliono rimettersi in gioco”. E continua “Noi vorremmo una nuova regolamentazione sulle scuole di specializzazione, così da poter avere gli specializzandi accanto a noi”.
Ma cosa dicono i gettonisti? “Da quando ho mollato il SSN, mi sento più libero – afferma uno di loro – oggi guadagno più di un medico del SSN, semplicemente perché lavoro di più. Certo, rispetto a loro ho meno tutele, come le malattie, gli infortuni, le ferie. E devo pagarmi l’assicurazione, ma posso portarmi a casa fino a 100 euro l’ora“. Le statistiche affermano che sono 4 su 10 i medici pronti a lasciare il posto fisso in ospedale per lavorare come gettonisti. Lo dice l’ultimo sondaggio condotto dalla Federazione Cimo-Fesmed su un campione di 1.000 medici: di questi, il 37,6% dichiara di essere pronto a dimettersi dal SSN per lavorare con una cooperativa. Ma la percentuale sale tra i camici bianchi più giovani (è disposto a lavorare per le coop il 50% di chi ha meno di 35 anni, ed il 45% dei medici tra i 36 e i 45 anni), e si riducono tra i medici più anziani, che sono più prossimi alla pensione. “Da una parte – spiega Di Silverio – ci sono i tetti di spesa alle assunzioni, e dall’altra la mancanza di attrattività della professione, che rende impossibile altre soluzioni”. E continua: “Siamo in una condizione professionale disastrosa. Nella Sanità il lavoro si è ormai destrutturato. Siamo arrivati a un punto di non ritorno, è necessario riorganizzare completamente il sistema“.