E quindi è braccio di ferro. Manco fosse Ancellotti o Guardiola.
Invece è Lucianone Spalletti, curriculum un solo scudetto in tutta la carriera anche se altisonante, e poi una serie inesauribile di piazzamenti pagati al prezzo di liti varie e spaccature dello spogliatoio. Il tutto nonostante avesse rose di tutto rispetto.
E ormai c’è una sorta di guerra tra ADL, come ormai si fa chiamare il patron biancoazzurro manco fosse un personaggio della serie tv Dallas, e il povero Gabriele Gravina, sulmonese di adozione, al momento occupato alla Presidenza della Federazione del Calcio, al secolo chiamata FIGC e che ai tempi della scuola ci divertivamo a confondere con la FGCI (Federazione Giovani Comunisti Italiani) movimento giovanile del PCI.
Casus belli è il pagamento della clausola per liberare il toscanaccio di Certaldo, divenuto famoso per le liti con Totti e per quel mancato saluto da parte del pupone giallorosso il giorno del suo addio, pretesa da Don Aurelio il quale è talmente attaccato ai soldi che se lo avesse conosciuto Walt Disney avrebbe ridisegnato la figura di Paperon de’ Paperoni in salsa San Marzano e con il Vesuvio come sfondo.
E volano gli stracci, che non sarebbe male se fosse una scena di qualche film di Salemme, ma che fa rizzare i capelli in testa, pure a chi come me non li ha, per il fatto che una delle due comari in lite è il massimo organo rappresentativo dell’arte pedatoria nazionale che scatena le passioni italiote da Vipiteno a Lampedusa.
Da un lato sta storia un po’ di indignazione la suscita, che è come se l’Enel facesse resistenza alla Presidenza della Repubblica per la nomina del suo amministratore delegato a giudice del Consiglio di Stato.
Indignazione aggravata dal fatto che c’è il sospetto che ADL voglia vendicarsi per il trattamento subito dal Napoli nella famosa vicenda del rinvio della partita con la Juve, causa Covid.
Perché il senso è che, nonostante la lettera di puntualizzazione annunciata e letta urbi et orbi da Aurelio che parla di “questioni di principio”, con i colori del tricolore non si litiga e non si tratta e tanto meno con la squadra che rappresenta l’Italia e il calcio italiano.
Ma la perplessità nasce anche dall’incaponimento della Federazione perché non si può pensare che Spalletti sia l’ultima spiaggia se non per ragioni di risparmio di denari.
Anche perché siamo sicuri che Luciano sia un ottimo selezionatore (perché tanto questo fa il CT azzurro e non certo allenare) e siamo certi che nel team azzurro non riproponga quello che sino a due anni fa era la sua specializzazione migliore e cioè creare malumori e liti interne e spaccare lo spogliatoio? Siamo certi che al secondo raduno a Coverciano non si sentano le pistolettate?
Anche da parte di Gravina sembra una impuntatura e il sentore è che si sia imbarcato in una sfida che ha molto più il sapore del duello personale piuttosto che la difesa istituzionale dei sacri confini della patria (a no quello è Salvini scusate mi correggo) dei sacri interessi della maglia azzurra.
È vero che Gravina è rimasto scioccato dalle dimissioni di Mancini e che gli stracci sono volati anche con lui, è vero che c’è un po’ di fretta perché gli impegni azzurri incombono, ma una girata di orizzonte val pure la pena di esser data.
Tanto poi i nomi altisonanti non sempre servono che Mancini è riuscito a far peggio di Ventura, dando alla vittoria dell’Europeo più il sapore della botta di culo che quello del merito sportivo e le nazionali più belle della storia furono quelle di Vicini che non aveva né allenato in serie A né vinto scudetti.
E poi non dimentichiamo che, per gli stessi motivi, anche Tavecchio, oltre che Ventura, fu cacciato a pedate nel sedere.