Di Alessandro Perelli
L’ennesimo incidente tra Serbia e Kosovo è avvenuto una settimana fa quando l’alta tensione non ha risparmiato neppure i militari del contingente internazionale Kfor, missione a guida NATO. Almeno 34 soldati, di cui 14 italiani, sono stati feriti (per lo più non gravemente) durante le manifestazioni dei serbi a Zvecan, uno dei quattro comuni a maggioranza etnica serba nel nord del Kosovo .
In queste municipalità, nonostante gli appelli di Ue e Usa a Pristina di fare un passo indietro, erano stati insediati sindaci di nazionalità albanese dopo elezioni farsa che avevano visto una percentuale di votanti di circa il 3,5%. Ciò aveva causato la dura reazione dei serbi che aveva determinato la trasformazione dei municipi in vere e proprie caserme, circondati da blindati e filo spinato e sorvegliati dalle forze speciali kosovare e dai soldati della NATO.
Per la verità non ci si poteva aspettare altro dopo il voto amministrativo del 23 aprile, boicottato dai serbi e dopo che in questi quattro comuni era stata issata la bandiera kosovara rimuovendo il tricolore serbo recando uno schiaffo alla popolazione locale. E così mentre la polizia di Pristina con i lacrimogeni cercava di disperdere le manifestazioni serbe nei tafferugli ci sono andate di mezzo le forze della Kfor che presidiavano gli edifici.
Il Ministro degli Esteri Tajani e la Premier Meloni hanno immediatamente espresso la loro vicinanza ai militari italiani feriti (nessuno in pericolo di vita) ma l’ episodio resta significativo per capire quanto la situazione possa ulteriormente deteriorarsi e quanto le parti in causa possano giocare sulle rispettive provocazioni per far fallire i tentativi dell’ Unione Europea di assicurare una convivenza civile in quella che sembra essere rimasta (forse insieme con la Bosnia) l’unica questione ancora aperta dopo la dissoluzione dell’ ex Jugoslavia.
In questa occasione, forse per la prima volta Europa e Usa, rappresentati dal quintetto ( Germania, Francia, Italia e Regno unito con gli Stati Uniti) non hanno usato mezze misure e hanno condannato la decisione del Premier kosovaro Albin Kurti di schierare le forze speciali per permettere ai sindaci albanesi di entrare nei municipi dei quattro comuni del nord. Lo stesso Ambasciatore americano a Pristina aveva manifestato alla Presidente della Repubblica del Kosovo Vjosa Hosmani il proprio disappunto per le azioni del Governo di Pristina recanti un ‘ escalation della violenza.
Ma le parole dell’ Ambasciatore Usa sembrano essere cadute nel vuoto. Kurti ha infatti ribadito le accuse alla Serbia e al suo Presidente Vucic di fomentare gli scontri e ha condannato l’ ammasso di truppe dell’ esercito di Belgrado ai propri confini. Del deteriorarsi della situazione ne ha approfittato anche Mosca. Il Ministro degli Esteri Lavrov si ei espresso in difesa dei diritti dei serbi del nord Kosovo con il chiaro intento di minare la stabilità dei Balcani occidentali. E’ questo un punto ulteriormente delicato dei rapporti tra Belgrado e Pristina.
Il Presidente serbo Vucic, infatti, pur condannando l’ aggressione di Putin all’ Ucraina, non ha aderito alle sanzioni contro Mosca. Di questo ne ha approfittato Albin Kurti per cercare di forzare un atteggiamento totalmente favorevole di Washington e Bruxelles alle sue ragioni. Ma e’ difficile pensare a isolare la Serbia e lasciarla nelle mani di Putin soprattutto dopo che Vucic ha riconfermato la scelta del suo Paese di voler aderire all’ Unione Europea e ai valori occidentali.
Anche il Governo italiano, pur riconoscendo l’ indipendenza del Kosovo ha riaffermato, nella recente Conferenza sui Balcani, la necessità di procedere sulla strada dello integrazione europea della Serbia. Lo sforzo comune, anche dopo l’ ultimo incidente di Zvecan,che ha coinvolto militari italiani, deve essere improntato alla massima prudenza e vigilanza con una politica dei piccoli passi che permetta di raggiungere l’ obiettivo finale di una convivenza pacifica tra serbi e kosovari.