Dunque é accaduto in Liguria, ma potrebbe accadere anche altrove. Anzi, é già accaduto un po’ ovunque. Un folto gruppo di dirigenti (consiglieri comunali e regionali) hanno lasciato il Pd, dopo che un senatore piemontese Enrico Borghi, pochi mesi dopo la sua elezione, aveva abbandonato il partito per aderire a Italia viva, dopo che l’ex presidente del Gruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci aveva sbattuto la porta, dopo che uno dei fondatori, Giuseppe Fioroni, punto di riferimento per l’area cattolica del Pd, aveva deciso di uscire per finire in braccio a Renzi e che, soprattutto, il candidato governatore del centro-sinistra alla Regione Lazio D’Amato aveva scelto Azione. Come risultava evidente fin dall’inizio la segreteria Schlein, spostando l’asse del Pd sui Cinque stelle e sulla Cgil poteva certo ringalluzzire qualcuno che concepiva il partito alla stregua di un clan di nostalgici della lotta dura e senza paura, ma finiva per disorientare quanti avevano pensato al Pd come a un moderno partito riformista di chiara matrice liberal socialista o a quanti avevano scommesso sul Pd come partito democratico all’americana. Oggi la Schlein ha così commentato le uscite: “Spiace per chi va via, ma forse l’indirizzo lo avevano sbagliato prima”. Secca la risposta di Piero Fassino: “Ci si rallegra di chi arriva non di chi parte”. Ma allegra, per gli arrivi, la Schlein non può proprio essere. E credo che, dal suo punto di vista, dato il suo atteggiamento politico, si potrebbe anche rallegrare di più se si sfilassero tutti gli esponenti di Base riformista. Un tempo Berlinguer definí il Pci come un partito di lotta e di governo, ma anche come conservatore e rivoluzionario, come laico e cattolico. Sempre duale, insomma, capace di abbracciare larga parte della società. In nessun caso solo di lotta, rivoluzionario, laico. Il tema dei cattolici é sempre stato centrale nella sua strategia e il superamento della sua identità storica un problema da risolvere in un’unione nazionale e non in un’alternativa della sola sinistra. La Schlein non appartiene a questa storia ma una parte non trascurabile del suo partito sì. E non v’é dubbio che costoro, più dei vari Franceschini, sentano il peso di una svolta “di piazza”. Il caso del referendum annunciato da Landini, che dovrebbe contenere anche il quesito sull’abrogazione del Jobs act, é eloquente. La Schlein pare che dica: “Mi avete voluta? Sapevate chi ero”. Lei era per la maternità surrogata, era contraria al Jobs act. Perché stupirsi della sua coerenza? Anche la Cgil dovrebbe pensare alla sua splendida storia. A quella di Luciano Lama, del suo fervore patriottico col quale elaborò la svolta dell’Eur lanciando la politica dell’austerità. Certo il mondo cambia. E il problema di fondo, oggi, é quello di alzare salari, stipendi e pensioni che sono congelati da trent’anni, al contrario di quelli degli altri paesi europei. E’ un bene che si punti al salario minimo, ma il sindacato quale politica salariale ha fatto in questi trent’anni? Non ha finito per occuparsi un po’ troppo di sé e un po’ meno degli altri? Ma restiamo alla politica. Se la svolta, anzi lo strappo, in chiave grillina e landiniana della Schlein ha destato un mezzo terremoto, non si capisce perché Renzi intenda costruire un centro puntando agli elettori berlusconiani. E’ una contraddizione, a mio avviso, questa. Si apre un’emoraggia a sinistra e Renzi guarda al centro del centro-destra? A un elettorato che sta bene dov’é e che non viene dato dai sondaggi in calo? Difficile per Elly non pensare che tutto si giocherà alle europee della prossima primavera. I dati diffusi ieri danno il suo Pd sotto il 20%. Ancora lontano dal risultato che ottenne Zingaretti alle precedenti consultazioni e troppo vicino alla sconfitta delle politiche. A quale percentuale sono appese le sorti della sua segreteria non é concesso sapere. E’ vero che se il Pd non avesse conosciuto questa bruciante sconfitta Elly non avrebbe mai vinto le primarie. Lo ha ammesso lei stessa. Ma se con la sua segreteria ne conoscesse un’altra di certo non le vincerebbe più.
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.
1 commento
Allorché, dopo gli anni di Tangentopoli, ebbero a fondersi le due culture politiche provenienti rispettivamente da DC e PCI, in più d’uno parlò di innaturale “fusione a freddo” destinata ad essere effimera, ma poi non è avvenuto così, e quella previsione è stata sostanzialmente smentita, posto che tale “amalgama” è durata a lungo, per una forte affinità “ideologica” a detta di qualcuno, o per gestione del potere stando al parere di altri.
La seconda tesi sembrerebbe essere più realistica, dal momento che le incrinature all’interno del PD sono intervenute dopo che detto partito pare aver perduto la sua centralità nella guida del Belpaese, ma potrebbe trattarsi di pura e semplice coincidenza, e in ogni caso fenomeni come questo sono sempre difficili da decifrare, come del resto mal si spiega che una componente socialista si sia avvicinata al PD nel dopo Tangentopoli.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, io continuo a non capacitarmi del fatto che tra i socialisti potesse esservi chi – dopo averne conosciuto e sperimentato all’epoca l’ostilità nei nostri confronti – giungesse a veder il PD quale “moderno partito riformista di chiara matrice liberal socialista”, il che mi è parso una grande ingenuità, senza offesa per alcuno, visto che da tempo era ben noto l’interesse del PD a trovare intese con la sfera cattolica.
Sono personalmente alquanto lontano dalle posizioni della Segretaria PD, ma alla pari del Direttore la trovo anch’io piuttosto coerente, tanto da segnare comunque un utile momento di chiarezza, che induce gli aderenti a detto partito, o suoi simpatizzanti, a decidere come muoversi, problema che riguarda innanzitutto la componente cattolica la quale, se si orienterà verso IV, dovrà poi affrontare verosimilmente un altro passaggio.
Quanti scommettono sul Centro io non credo possano contare sui voti di Forza Italia, come mi sembra dire anche il Direttore, ma in ogni caso, se il Centro dovesse decollare, difficilmente, c’è da supporre, raggiungerebbe dimensioni tali da poter far giungere un proprio candidato alla Presidenza del Consiglio, se si dovesse arrivare alla elezione diretta di detta figura, obiettivo che il sen. Renzi condivide col centro destra, se non vado errato.
Il tale evenienza, i “fuoriusciti” dal PD si troverebbero a cercare intese col PD stesso, il che rappresenterebbe già di per sé una palese contraddizione, ulteriormente acuita dal fatto che, da quel che ne so, la sinistra resta contraria all’elezione diretta, mentre l’alternativa sarebbe il “venire a patti” con l’avversato centro destra (porto questo es. per significare che detti fuoriusciti dovranno forse “disdire” più d’una delle proprie .convinzioni)
Paolo Bolognesi 10.09.2023