“A volte ritornano” è un modo di dire sempre di grande attualità. In questo caso parliamo di scuola e del ciclico tentativo di “regionalizzare il sistema d’istruzione”. Accarezza questo obiettivo da sempre la Lega in particolare, ma il timore è che dietro le quinte ci siano altri. Nel novembre 2022, il ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, ha presentato una bozza di DdL inerente le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata (art.116 comma ter della Costituzione) con l’intento di porre fine al sistema nazionale della scuola, affidando alle regioni come è avvenuto per la sanità, l’istruzione scolastica oltre che professionale. Periodicamente si è tentato di disgregare il sistema scolastico italiano e per fortuna sino ad oggi non si è andati oltre le proposte. Sarà così anche per il futuro?
Certamente con la modifica del titolo V si è aperta una strada che va in questa pericolosa direzione e che potrebbe portare alla nascita di ben venti sistemi scolastici con tutte le conseguenze dl caso: diversi programmi, diversi sistemi di reclutamento del corpo docente, metodologie e contenuti ecc. Insomma una formazione culturale differenziata da cittadino a cittadino in base alla regione di provenienza, con il risultato di aumentare le diseguaglianze in un Paese già provato che non ha mai raggiunto la vera unitarietà.
Per i Socialisti la scuola rappresenta da sempre un pilastro fondamentale su cui poggiano identità culturale e crescita del Paese, perché crea quel capitale umano in grado di promuovere benessere sociale e tracciare i percorsi di vita alle future generazioni. Un Paese che non investe in istruzione è un Paese destinato al regresso, ed è quanto purtroppo è successo per tanto tempo in Italia.
Per tali ragioni, rilanciare la centralità della scuola nello sviluppo e riequilibrare i divari tra i territori è una sfida che non possiamo più perdere.
Per difendere il carattere unitario e nazionale del sistema pubblico d’istruzione, le parti sociali si sono mosse fin da subito, ma dalle opposizioni al Governo non abbiamo sentito battere un colpo. Noi siamo consapevoli della necessità di una riforma organica vera del sistema di istruzione italiano, che, al di là di qualche restyling parziale non ha più approvato riforme innovative dal secolo scorso, mentre la società ha subito cambiamenti di grande complessità. Mettere in campo una proposta complessiva, che tenga conto dell’evoluzione dell’organizzazione sociale e del lavoro che oggi presuppone maggiore flessibilità e programmi adeguati è quindi una priorità, altro è fare con la scuola quanto è stato fatto con la sanità, con tutti i limiti che il sistema ha mostrato, durante la pandemia.
Se com’è vero, la scuola ha il compito di sostenere i giovani nell’acquisizione di conoscenze e nello sviluppo di competenze che permettano loro di realizzare il proprio modello di vita, le proprie aspirazioni e di partecipare in maniera efficace alla vita della collettività, allora non si può pensare ad una riforma che acuisca i divari tra i territori.
Certamente un forte cambiamento è necessario: mettere in campo un diverso sistema di reclutamento e formazione, prevedere un innalzamento dei livelli culturali e scientifici, un riordino dei cicli in un’ottica di valorizzazione delle differenze, del pluralismo e della libertà. Valorizzazione e giusta motivazione per il personale della scuola, eliminazione degli insopportabili carichi burocratici, premiare il merito e ridare dignità al corpo docente, sono solo alcuni degli aspetti sui quali occorre lavorare, ma sempre in un’ottica di unità del sistema. L’auspicio è che il Parlamento ritrovi uno spazio d’azione politica e il ruolo che gli competono. Noi, su questo tema abbiamo le idee chiare.