Di Mattia Carramusa
Scontri a Palermo il 23 maggio, tra memoria di Falcone e giovani pestati. Nella giornata in cui tutte le reti civiche, sociali, politiche, partigiane si uniscono alle istituzioni per commemorare e per dichiarare come necessaria l’attenzione alla lotta alle mafie, qualcuno ha voluto mettere cappello. E qualcuno si è fatto male.
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Scontri Palermo: le celebrazioni “rituali”

Ogni anno a Palermo il 23 maggio si celebra il ricordo di Giovanni Falcone e della strage di Capaci. Ogni volta, la mattina ci sono più iniziative, che confluiscono, di pomeriggio, nella celebrazione unica all’albero Falcone.
Il grido all’albero Falcone è sempre lo stesso: all’unisono e nell’unità, no alle mafie. A cospetto di autorità istituzionali, tutti e tutte a Palermo si uniscono per ricordare che è necessaria un’attenzione istituzionale forte nel contrastare i fenomeni di devianza mafiosa. Anche e soprattutto quando i governanti sono disattenti.
Così, di mattina, Polizia di Stato e ANPS depongono una corona per gli uomini e le donne della scorta dei giudici Falcone e Morvillo. Scuole di Palermo e di tutta Italia svolgono attività di memoria e sensibilizzazione e attività all’aula bunker con le istituzioni. Associazioni di quartiere svolgono le loro attività, come per esempio l’associazione “A Strummula” ha fatto alla Noce.
Nel pomeriggio, invece, tutti uniti all’albero Falcone. Per gridare all’unisono il proprio no alla mafia e richiedere, tutti uniti, un impegno sempre costante nella lotta contro la criminalità organizzata. Attività che, sicuramente, dovrebbe avere ben altra impostazione, ma che è quantomeno unitaria.
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Scontri Palermo: i fatti del 23 maggio 2023

A trentuno anni dalla strage di Capaci, però, qualcuno ha voluto rompere questa unità. La “resistenza popolare per un’antimafia intersezionale” ha organizzato un corteo che ha, nei fatti, rotto quell’unità. A farne parte, a quanto noto, pezzi dell’ANPI, la CGIL e una rete di associazioni, politiche, giovanili e civiche, che hanno preferito disunire il fronte sociale anti-mafia per mettere cappello.
Così CGIL, pezzi dell’ANPI, alcuni dirigenti e militanti del PD, UDU, associazione OurVoice e altre sigle marciavano per i fatti loro al grido di “Non siete Stato voi, ma siete stati voi” e “Fuori la mafia dallo Stato“.
Dall’altro lato, in via Notarbartolo e senza mettere cappello c’erano tutti gli altri. Senza bandiere o striscioni, senza sfidare apertamente le istituzioni ma chiedendo, con la propria testimonianza, un maggiore impegno alle istituzioni.
C’erano i partigiani della FIAP, i giovani della FGS e dell’associazione universitaria ReAzione l’Associazione Socialista Liberale, i Reds, rappresentanti delle varie altre sigle sindacali. La FUCI, pezzi dei GD, i radicali, c’erano 5stelle, Azione, Italia Viva, alcuni residui di Articolo Uno. C’erano le scuole, studenti universitari, comunità religiose, lavoratori eccetera eccetera eccetera.
Sulle testate giornalistiche le immagini di quanto accaduto al corteo di “resistenza popolare”. Il contro-corteo ha cercato di forzare il blocco (così si legge) in viale Notarbartolo per arrivare all’albero Falcone con striscioni e bandiere. Cosa che, già sapevano, non era possibile.
Il contro-corteo si è quindi trasformato in una carica.
Atto assolutamente evitabile da parte delle autorità, a mio giudizio. Non c’erano pericolosi rivoltosi armati, dall’altro lato. E invece no. Immagini di giovani caricati e pestati nel giorno in cui si celebra la memoria di Giovanni Falcone. Necessario è stato l’intervento di membri della prefettura per dire di non usare i manganelli!
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Scontri Palermo: le (s)ragioni del “contro-corteo”

Orbene, condannando fermamente quanto successo ai manifestanti, non posso non pensare che anche questa volta la “ragione laica”, manifestata nel comunicato del 22 maggio di FGS, Reds, Fiap, Associazione Socialista Liberale e altri, aveva ragione.
Volere a ogni costo mettere cappello di parte su una lotta che riguarda tutti e che rende necessaria la collaborazione tra società e istituzioni dello Stato ha “rotto” idealmente il fronte sociale dell’antimafia.
Peraltro, con la scusa di una “intersezionalità” tradita contraddittoriamente già da chi ha organizzato l’evento. Quale maggiore “intersezionalità” se non compenetrazione tra società unita e istituzioni dello Stato? Ed è, se non altro, sospetto che le “ragioni” di questa rottura del fronte unitario della società antimafia vengano fuori solo nel 2023. Cioè solo alla presenza dell’ennesimo governo “disattento” in questi ultimi anni.
E invece gli organizzatori del contro-corteo hanno voluto creare due fazioni. Da un lato chi incolpa lo Stato e vuol mettere cappello. Dall’altro tutti quelli che sanno che l’unione tra le parti, senza mettere cappello, è l’unica via per sconfiggere questa “montagna di merda”.
La lotta alla mafia dev’essere come la lotta del CLN: nessuno a mettersi in mostra, tutti uniti per un unico fine.
Ciò ricordando proprio le parole di Giovanni Falcone. Contro la mafia “si può vincere pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando tutte le forze migliori delle istituzioni”. Zero retorica, zero cappelli, zero sigle.
L’appello che la società unita e senza distinzioni muove ogni anno, con la sola presenza, all’albero Falcone è questa. Perché, allora, disunirci?