Di Massimo Tosini
Il Servizio sanitario nazionale (d’ora in poi Ssn) nasceva sul finire del 1978: il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il 23 dicembre dello stesso anno, promulgava la Legge 833 la quale, esordendo con le parole dell’art. 32 Cost., sanciva il principio di universalità del diritto alla salute. I suoi pilastri fondamentali sono: l’uguaglianza, la solidarietà, l’equità e, su questi pilastri si è inteso superare le ineguaglianze del sistema mutualistico.
La prevenzione, la cura e la riabilitazione rappresentavano le strade lungo le quali si doveva procedere per assicurare ai cittadini servizi adeguati ai bisogni di salute. Un altro nobile obiettivo era rappresentato dalla necessità di qualificare la spesa e formare sempre meglio il personale sanitario.
Ministro della Sanità dell’allora governo Andreotti IV, era Tina Anselmi alla quale succedeva, dopo la caduta del governo, Renato Altissimo, Segretario del Partito Liberale Italiano chiamato ad applicare una riforma alla quale aveva votato contro.
Negli anni ‘90 del secolo scorso, si apriva una nuova stagione di riforme che, con riferimento al Ssn, portava alla nascita delle aziende socio-sanitarie e, in tal modo, riconoscendo i limiti della 833/78. La domanda che dobbiamo porci oggi è: la L. 833/78 è stata applicata in modo corretto?
Anche le riforme successive alla legge istitutiva del Ssn, si ponevano quali priorità il risanamento dei conti pubblici e la riqualificazione del personale e, tuttavia, se sul secondo punto si sono raggiunti buoni risultati, con riferimento alla dimensione economica, non possiamo dire altrettanto.
Il problema vero è rappresentato dal fatto che, nel corso di questi 45 anni, è prevalsa la cultura economicistica e ospedalocentrica procedendo sempre più verso la medicalizzazione della società. Se la L. 833/78 fosse stata applicata nel rispetto della volontà del legislatore, si sarebbe dovuto privilegiare il territorio e la prevenzione globalmente intesa, ma così non è stato. A parere di chi scrive, le riforme successive (502 e 517 del 1992 e 1993 e la 229/93) hanno fatto anche peggio!
Se, come ho già detto, la prevenzione e il territorio rappresentano la via maestra da seguire, significa che diventa indispensabile fare un salto di paradigma sia sul piano culturale, sia organizzativo: dalla patogenesi alla salutogenesi.
Sarà mia cura, nel prossimo articolo darne conto.
Sociologo della Salute
1 commento
“Il diritto alla salute, la più socialista delle battaglie” titola il bellissimo articolo, qui sopra, di Maria Rosaria Cuocolo. Dà piacere che si parli così spesso, su La Giustizia, di un argomento così importante. Grazie!