Appena il 59%. Due punti in meno rispetto alla precedente tornata.
Non una catastrofe come le recenti regionali di Lazio e Lombardia ma quanto basta per marcare una tendenza irreversibile.
Non una catastrofe perché le comunali, si sa, con tutti quei candidati in lizza e con quel gioco di parenti, clienti, amici e amici degli amici, dei parenti e dei clienti, sono le elezioni più partecipate.
Più per costrizione che per devozione, ma non tanto per arrestare il declino, la vertiginosa discesa che scava il baratro tra paese reale e paese legale, tra eletti ed elettori, tra cittadini e politica.
Un baratro che nemmeno i neo-populismi degli ultimi tempi sono riusciti a colmare.
Non sono bastati i video-spot-demagogici della Meloni e di Salvini, ma neanche le favolette di Conte a frenare quella disaffezione dilagante della gente dalla politica. E dire che di cavolate, tra il taglio delle accise e quello del cuneo fiscale i ragazzi, quando giocavano a fare gli oppositori a prescindere, ne hanno dette, per non parlare della abolizione della povertà di pentastellata memoria.
Tutta roba che alla gente sarebbe dovuta piacere. Ma non è bastata.
E se Atene piange Sparta non ride, perché a sinistra, pardon nel PD, (i Dem. hanno di fatto egemonizzato tutto ciò che è a gauche) non è valsa quella ventata di rinnovamento, quella fresca brezza di primavera politica che avrebbe dovuto rappresentare la Schlein fermatasi ai profumi levantini e ai colori mediterranei e perdendosi la politica per strada: il grande bluff.
Tutta roba che non è servita a niente perché gli italiani evidentemente si sono rotti i maroni anche delle storielle facili e digeribili. Perché forse gli abitanti del bel paese sono stufi di guitti e ciarlatani e vorrebbero essere governati da gente che sa quello che si deve andare a fare.
Riprendere in mano una economia, realizzare strutture e infrastrutture, rendere efficienti e funzionali i servizi pubblici della sanità, giustizia, istruzione, università, ripopolare di servizi i territori e le aree interne, dove vivono 50 milioni di italiani totalmente abbandonati e derubati.
Insomma roba da prima repubblica che ahimé non c’è più, sostituita da incapacità, pressapochismo e inettitudine.
Ecco chi è il vincitore: chi è rimasto a casa.
E allora è del tutto indifferente chi vince a Massa, ad Ancona o a Brindisi. Perché tanto chiunque vince è eletto perché la legge vuole che ci sia per forza un sindaco e un consiglio comunale eletto, pure se andiamo a votare io, mammeta e tu, ma non certo perché hanno rappresentato la espressione di una volontà popolare così nutrita da esser degna di essere chiamata “volontà politica”.
E sarà sempre peggio in attesa del momento catartico, del caos che darà origine alle “metamorfosi” di ovidiana memoria, del fondo senza fondo da cui far partire la risalita.
Non saremo noi a governarlo, non lo sarà né la politica né la gente, si governerà da solo e arriverà quando vorrà.
Ma come nel film Armageddon la questione non sarà “se accadrà”, ma solo “quando”.
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.
1 commento
Io non riesco a spiegarmi il non voto soltanto come espressione di delusione e sfiducia verso i partiti, e la politica, perché se così fosse le elezioni amministrative dovrebbero invertire in certo qual modo detta tendenza, posto che riguardano le questioni locali e i candidati sono solitamente figure del luogo – ossia ben conosciute, e non “paracadutate” eventualmente da fuori – e non di rado sono anche a “tinta” civica, nel senso di non essere strettamente organiche all’una o altra formazione politica.
Spero di sbagliarmi, ma temo che la disaffezione al voto possa dipendere pure dal fatto che siamo entrati mano a mano in una sorta di zona grigia, che ci ha via via disabituato ad assumere posizione riguardo alle varie problematiche in atto, riguardo alle quali udiamo abbastanza spesso dei “NI” tra la gente comune (ovvero né SI’ né NO), che possono poi tradursi nel non voler prendersi la responsabilità di indicare, nell’urna, l’uno o altro partito o candidato, preferendo piuttosto astenersi dal compiere una tale scelta.
In ogni caso decidono alla fine quanti si recano alle urne, e occorre dunque far conto proprio su di loro, e giusto in rispetto di questo loro impegno io andrei a prevedere soltanto il primo turno, riservando semmai il ballottaggio soltanto alla eventualità che il candidato più votato non raggiunga almeno il 30% dei consensi (rispetto alla attuale soglia del 50% nei Comuni al di spora dei 15.000 abitanti), e del resto, se non erro, il sistema di voto vigente nelle Regioni a statuto ordinario credo essere quello a turno unico.
In buona sostanza, non mi sembrerebbe giusto che il ballottaggio possa cambiare e ribaltare il risultato del primo turno, e che ciò possa casomai succedere perché al voto del ballottaggio partecipa anche chi non lo ha fatto al primo turno, e non mi torna neppure la logica secondo cui al ballottaggio vada soltanto il candidato Sindaco, mentre le liste rispettivamente collegate restano quelle del primo turno, salvo poi il premio di maggioranza per chi esce “vincitore” (forse il metodo funziona così per via del voto disgiunto, altro meccanismo che non riesco a spiegarmi, ma per verosimile limite mio).
Paolo Bolognesi 16.05.2023