Rinasce con “La Giustizia” un giornale storico che fu protagonista fondamentale di quel riformismo socialista che, nella lunga storia del Socialismo Italiano, si è rivelato vincente, perché ormai a dire che “Turati aveva ragione” sono anche gli ex comunisti, e di lunga data. Ma non è per ribadire torti o ragioni che si ha bisogno di un giornale come questo, e tanto meno per fare da contraltare alla storica testata del Partito Socialista Italiano che resta L’Avanti! oggi on line.
IL Socialismo Italiano che ha animato, nelle sue varie stagioni e purtroppo anche innumerevoli diatribe fratricide interne, la storia d’Italia, legandosi indissolubilmente al suo progredire in ambito civile e sociale, dagli inizi del secolo alla affermazione del centrosinistra degli anni sessanta e ottanta del secolo scorso, non ha bisogno di voci che lancino acuti fuori dal coro, ma piuttosto di una sinergia e coralità polifonica. Tale cioè da saper dare fiato, speranza e voce in capitolo a tutte le anime disperse di questa grande componente politica che ha perso la sua rilevanza parlamentare ma che conserva ancora una efficacissima forza morale, civile e politica.
I socialisti italiani hanno animato trasversalmente tutte le stagioni politiche italiane, anche dopo la fine, nella metà degli anni ’90, del PSI che riuniva tutte le anime del Socialismo Italiano sotto la conduzione di Bettino Craxi, dal centrodestra al centrosinistra e tuttora in parte è così.
Forse da un punto di vista civile e morale è un bene che il socialismo continui a contaminare in senso positivo tutto il panorama politico italiano, però sul quel piano politico che si esprime con la indispensabile rappresentanza parlamentare e con il suo voto, è sicuramente un male
E’ un bene che i socialisti si esprimano con più voci, ma è un male se queste voci diventano dissonanti, stonate o addirittura contrastanti tra loro.
Perché quello che manca tuttora e pesantemente ai socialisti italiani è la loro unità da cui deriva necessariamente quella forza in grado di determinare l’autonomia necessaria per non essere vassalli o valvassini di altra forze politiche nella ricerca della rappresentanza parlamentare.
Ora è evidente che questa unità non si può né cercare né trovare a tutti i costi, mettendo tutte le componenti sotto una unica guida che sia o la riesumazione di un passato impossibile, ormai pressoché secolare, oppure blindando una segreteria di partito o un suo gruppo dirigente ed epurando dissensi e voci anche minimamente fuori dal coro. Se questo si è fatto negli ultimi anni, i risultati sono penosamente sotto gli occhi di tutti.
Eppure, nonostante ciò, il proliferare di associazioni e di organi di comunicazione, specialmente telematica, negli ultimi tempi, ci dà anche un quadro chiaro della vitalità e continuità di un ideale e di valori che, nonostante tutto, restano non solo attuali nel tempo, ma che producono, a dispetto delle perduranti divisioni delle varie componenti socialiste, grande fermento e notevole elaborazione di quella cultura politica che è il vero convitato di pietra nella compagine dei partiti odierni. I quali crescono o stanno assieme, o si dividono, più per interessi convergenti o per demagogia elettorale che per solide radici consolidate nella storia e nella geografia non solo italiana, ma anche europea.
Una voce in più quindi, nella coralità socialista, non vuol dire rafforzare una componente di sinistra, di destra o di centro nella galassia dispersa del socialismo italiano, ma arricchire di contenuti quella cultura che dovrebbe essere tuttora la base fondante di un partito che ambisce ancora ad essere protagonista della storia e della civiltà italiana.
Perché sarà bene non dimenticare che tutta la storia del XX secolo in Italia è stata segnata dal protagonismo del Socialismo Italiano, dai primi del secolo quando il riformismo turatiano animò le riforme giolittiane che garantirono una maggiore equità sociale ad un paese ancora in cerca di una sua identità unitaria e di una stabilità economica, al primo dopoguerra, quando il PSI ottenne una percentuale di consensi mai più eguagliata e che sprecò nelle sue divisioni interne, persino agli anni di quel fascismo che ambiva ad essere una sorta di “socialismo nazionale” poi sprofondato nel suo fanatismo, imperialismo e nella sua deriva liberticida presto trasformatasi in razzista, xenofoba e guerrafondaia. Ma soprattutto nella stagione della Lotta di Liberazione, della Costituente in cui le forze socialiste ancora prevalevano nella sinistra italiana.
Fu solo l’errore colossale di porle sullo stesso piano frontista di un Partito Comunista allora stalinista che le rese minoritarie e da allora perdenti e incapaci di rappresentare la sinistra tutta.
Né la breve e complessa stagione del craxismo ha saputo rimetterle al centro di una vera e concreta alternativa politica riformista di stampo europeo, sia perché troppo legate al carisma di un leader politico, sia perché ancora prigioniere di un rancore e di una dicotomia scissionista che ormai risale a più di un secolo fa.
Oggi la crisi della sinistra è palese e rovinosa, il PD non sa più quale sia la sua identità dopo avere ostinatamente perseguito la volontà politica di coniugare a tutti i costi l’essere postdemocristiani con l’essere postcomunisti, mettendo da parte ogni tentativo di assumere una piena identità socialista europea, democratica e liberale. Le forze massimaliste sono condannate, per mancanza di consensi al permanente extra parlamentarismo, sono apparse forze populiste che hanno dimostrato di volere in maniera ondivaga restare al potere governando sia con la destra che con la sinistra, tanto che ormai, nel trasformismo autoreferenziale a cui abbiamo assistito di recente, questa dicotomia ha assunto una fisionomia persino ridicola e, come unico risultato, ha portato al potere una destra identitaria che non ha mai voluto collaborazioni né compromessi con la sinistra.
Direi che abbiamo raschiato abbondantemente il fondo della sinistra fino a sfondarne il barile vuoto.
Ma proprio quando si è toccato il fondo e si ha la percezione netta di quanto sia il valore perso, si può finalmente pensare in modo diverso rispetto al passato.
Si può cioè trovare la forza e l’unità necessaria per costruire finalmente un partito non più ostaggio di culture politiche contrastanti o di diatribe interne, dovute in gran parte a contrasti tra capicorrente, ma fondato finalmente su valori comuni e su una solida cultura politica unitaria.
E quale, se non quella del Socialismo Democratico e Liberale ha più capacità di proporsi tuttora come efficace e vincente? Quale è riuscita ad attraversare indenne, nei suoi valori fondanti, più di un secolo e a riproporsi efficacemente con le sue istanze di libertà e di giustizia sociale, con il suo garantismo efficiente, con il suo pacifismo intelligente e non succube dell’arrendismo, con la sua attenzione costante ai beni comuni essenziali, come la scuola, la sanità, i trasporti, e al mondo del lavoro e dei diritti ad esso connessi, se non quella radicata nel Socialismo?
Tutto questo si esprime come sintesi perenne in questo passaggio di “Socialismo Liberale” di Carlo Rosselli ed è tuttora la risposta più efficace e netta a chi confonde il liberismo con il liberalismo socialista:
“Il Socialismo colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva della idea di libertà e giustizia tra gli uomini: idea innata che giace, più o meno sepolta dalle incrostazioni dei secoli, al fondo di ogni essere umano; sforzo progressivo di assicurare a tutti gli umani una eguale possibilità di vivere la vita che sola è degna di questo nome, sottraendoli alla schiavitù della materia e dei materiali bisogni che oggi ancora domina il maggior numero; possibilità di svolgere liberamente la loro personalità, in una continua lotta di perfezionamento contro gli istinti primitivi e bestiali e contro le corruzioni di una civiltà troppo preda del demonio del successo e del denaro”
Non c’è nulla di meglio di questo brano essenziale per delineare il fondamento e la base incrollabile su cui va riedificato oggi un Partito Socialista degno di tale nome, che non sia perenne ostaggio di diatribe interne, di scontri di potere sul nulla, di permanenti e asfittiche scissioni, di ridicoli personalismi, di affannose quanto inutili rincorse di vassallaggi politici.
Ma che abbia ancora una identità sua, magari plurale e pluralista al suo interno, e che però sia capace ancora di parlare a voce alta e chiaramente distinguibile con i suoi contenuti ed il suo esempio, non per sopravvivere di piccole clientele elettorali, ma per un concreto impegno di promuovere una “crescita progressiva” di civiltà nel Paese.
Per fare “Giustizia” sulla sua storia e sul futuro dell’Italia.
Carlo Felici