di Caterina Cazzato.
Si fa un gran parlare di “riformismo”, attribuendo al termine pesi e misure diverse.
Il riformismo è una nota culturale distintiva o un metodo?
Per i socialisti liberali è sicuramente un metodo per incidere nel tessuto sociale attraverso le riforme ritenute utili alla società, con concretezza: “…Non ho tempo da perdere in dispute teoriche o filosofiche, devo impegnarmi nella valutazione dei bilanci degli EE.LL. e dello Stato, esaminare gli atti di chi ci mal governa ed il merito delle loro nefandezze…”, era uso ad affermare Giacomo Matteotti, rivolgendosi a collaboratori e seguaci.
Appellarsi al concetto di “riformismo” per mutuare, ammantati di maggiore autorevolezza, una qualsiasi iniziativa politica è una manovra comunicativa propagandistica e populistica.
Lunghe e inutili dispute teoriche riempiono pagine che dovrebbero riportare progetti politici coerenti con un disegno riferito a valori di riferimento riconoscibili e caratterizzanti il particolare pensiero di riferimento:
libertà, legalità, uguaglianza per la difesa dei diritti e, in particolare, i diritti alla salute e al lavoro nell’ intendimento di un socialista, oggi come ieri; oggi, con i mezzi e le prospettive attuali e con la volontà di far seguire alle parole le azioni, i fatti.
Il “pragmatismo”: fiumi di parole sul concetto…tutti abbiamo bisogno di realizzare i nostri progetti, è umano ma quanti hanno voglia di realizzarli e che impegno comporta…Anche questo termine viene usato, in politica, per indicare che “altri” non dicono che parole e che “qualcuno” invece pensa ai fatti: peccato che, spesso, i fatti siano frutto dell’opportunità contingente e non conseguano ad azioni o a scelte finalizzate a realizzare un disegno che rifletta una visione utile per il Paese probabilmente perché tale visione e i conseguenti progetti semplicemente non ci sono.
Come si può aderire ad un programma che non ha contenuti chiari? Eppure, in politica, accade. Negli ultimi anni, in particolare dalla discesa in campo del compianto Silvio Berlusconi, si aderisce ad un movimento o ad un partito più che altro perché il suo/la sua leader ha più o meno appeal, poi la società contemporanea incoraggia in senso lato le persone a concentrarsi su se stesse, esacerbando le ossessioni identitarie, chirurgiche e, talvolta, anche quelle politiche. Le riflessioni espresse sul tema dal docente di psicologia prof. Vittorio Lingiardi mi inducono a pensare che, sempre più spesso, i politici siano affetti da una forma di narcisismo patologico che li porta all’ossessione di riscuotere facile apprezzamento (rappresentato dai likes) o alla compulsiva necessità di presenzialismo iterativo (rappresentato dai selfie): sarà pure per le logiche di mercato che governano la competizione politica e per i consigli dei professionisti della comunicazione finiscono per essere vittime di se stessi e certamente il fenomeno nuoce gravemente alla salute dei partiti e della Nazione.
Ecco che, invasi da polemiche vanesie, gli “elettori residui” vengono veicolati, sembrerebbe ad arte e senza scrupoli, alla lettura di dettagliati papielli dedicati a criticare usi, costumi e scelte di vita privata altrui piuttosto che a riflettere sulla necessità di regole di partecipazione democratica all’interno dei partiti (come ad esempio, regole per il coinvolgimento delle strutture territoriali nella selezione dei candidati, in caso di elezioni politiche) o di rigore e serietà all’interno degli organi istituzionali (come ad esempio, dimissioni del ministro o parlamentare indagato- senza che alcuno lo richieda) o di dibattiti serio su questioni fondamentali (come le proposte di revisione costituzionale – leggasi deriva presidenzialistica in atto – e spese pubbliche – leggasi uso delle risorse da PNRR); i “mancati elettori”, pragmaticamente, si godono le meritate vacanze estive.