di Leonardo Raito.
In questi giorni tiene banco la proposta delle riforme istituzionali promesse dalla maggioranza che governa il paese. In particolare, è il presidenzialismo la bandierina scelta da Meloni e company per dare un tocco di originalità all’impostazione, in senso dirigistico, del governo del paese, anche se la prospettive, per molte ragioni, pare impraticabile. Perché? Perché l’elezione diretta del presidente della repubblica, in un sistema bicamerale paritario come il nostro, non risolve i problemi che la premier e i suoi ci dicono di voler risolvere e perché con la mediocrità della classe politica attuale e l’immaturità di un elettorato volatile o poco partecipe, si rischierebbe di vedere eletto un presidente (figura di assoluta garanzia) di assoluta minoranza, caricato poi di quali poteri non lo si capisce. Questa democrazia ha problemi di stabilità e di governabilità? Non ne sono convinto, ma tuttavia, anche ammesso che ci fossero, le soluzioni a questi problemi sono state studiate, sviscerate e proposte nelle massime sedi dalla Commissione dei Saggi che nel 2013 volle Napolitano, rieletto per un primo storico doppio mandato, per proporre correttivi a quella che sembrava una democrazia bloccata e da riossigenare. A quella commissione, partecipata da alcune delle più straordinarie teste pensanti del paese, spettò il compito di studiare e ipotizzare scenari, e la relazione finale, presentata dal ministro Quagliariello, fu foriera di punti fermi e di proposte. Partendo dalla consapevolezza che occorreva uscire dal bicameralismo paritario e di differenziare il ruolo di Camera e Senato, si esaminavano le proposte di sistemi elettorali possibili: collegio uninominale; collegio plurinominale di dimensioni ridotte nel quale venisse eletto un numero ristretto di deputati; circoscrizione, (nel senso proprio della legge elettorale in vigore sino al 1994); proporzionale con circoscrizioni ampie e voto di preferenza.
Tra i saggi era poi emersa la consapevolezza del necessario taglio dei deputati (da 630 a 450) e dei senatori (da 310 a un numero variabile tra 150 e 200), a seconda dell’estensione della popolazione delle Regioni. Anche sul tipo di governo erano emerse diverse proposte: la prima riguardava un Governo parlamentare del primo ministro, con una coerente legge elettorale. In particolare il presidente della Repubblica avrebbe nominato il premier sulla base dei risultati delle elezioni per la Camera, per le quali occorreva indicare il candidato alla presidenza del Consiglio. Il primo ministro, ottenuta la fiducia, poteva proporre nomina e revoca dei ministri; poteva chiedere il voto a data fissa sui disegni di legge del Governo; e poteva essere sostituito solo dopo l’approvazione di una mozione di sfiducia costruttiva. Al presidente del Consiglio veniva riconosciuto il potere di chiedere lo scioglimento della Camera, ma i componenti della commissione divergevano sulle conseguenze della richiesta: da un lato i fautori del modello tedesco, con possibilità appunto di sfiducia costruttiva; dall’altro i sostenitori del sistema spagnolo, per cui di fronte alla scelta del premier il ricorso a elezioni è inevitabile.
Con un sistema di premierato forte si sarebbe invece potuta applicare una legge elettorale che prevedeva un secondo turno di ballottaggio se nel primo nessuna lista avesse raggiunto la soglia per far scattare il premio di maggioranza. Questo sistema sarebbe «simile» all’elezione dei sindaci, rendendo il premier come una sorta di sindaco d’Italia. Questo sistema avrebbe consentito di avere un premier forte, una maggioranza forte e di sapere il giorno dopo del voto chi sarebbe stato il presidente del consiglio e con quale maggioranza.
La relazione finale della Commissione prevedeva poi tutta una serie di soluzioni al problema del conflitto di poteri, alla rivalutazione degli istituti di partecipazione popolare, a tante altre problematiche che ostacolo il pieno dispiegarsi delle potenzialità della nostra Costituzione.
Insomma, gli strumenti esistono già. Alla premier consiglio di non inventare, ma di limitarsi a studiare e scegliere le opportunità già vagliate e solo da applicare.
1 commento
E’ probabile, o possibile, che non ci sia nulla da inventare bensì, piuttosto, “limitarsi a studiare e scegliere le opportunità già vagliate e solo da applicare”, ma quanto a precedenti cui poter far riferimento per ricavarne utili indicazioni, io includerei pure la Riforma costituzionale concepita e votata allora dal centrodestra, e che nel 2006 non ebbe tuttavia a superare il relativo Referendum.
Qui si dice che l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, in un sistema bicamerale paritario, non risolverebbe i problemi, almeno i nostri, il che può avere anche un qualche fondamento, ancorché nel nostro caso l’elezione diretta di cui si parla riguarderebbe semmai il Primo Ministro, ossia la guida del Governo, mentre nulla cambierebbe per quella del Capo dello Stato.
Circa il sistema bicamerale paritario, vedo che in generale gode di poca simpatia, ma mi sembra essere tuttora in vigore negli USA, sia a livello Federale che di ogni Stato dell’Unione, forse all’infuori di uno soltanto, ed è stato verosimilmente mantenuto quale contrappeso al potere dei Presidenti, e pare aver dato buoni risultati, tanto che non ho sentito voci che lo si vorrebbe cambiare.
Potrebbe anche mutuarsi la formula del voto regionale, dove il candidato Presidente – che porta con sé una rosa di nomi in caso di elezione – è sostenuto da una lista o da più liste in coalizione, ognuna col proprio simbolo. elette in modo proporzionale, cui aggiungerei il restare nella coalizione per i voti della lista che non raggiungesse la soglia utile per ottenere un proprio rappresentante
Paolo Bolognesi 10.05.2023