In questi giorni di grande afa, il dibattito politico si infuoca sulla questione del Reddito di Cittadinanza.
Più di 170 mila nuclei familiari, percettori del RdC, sono stati “liquidati” dall’INPS che li ha informati, attraverso un sms, sulla sospensione della misura di sostegno al Reddito. Panico e momenti di tensione si sono registrati e continuano a registrarsi negli Uffici dei Servizi Sociali dei Comuni del Paese – da Nord al Sud – frutto di un mega deficit comunicativo, innanzitutto inter-istituzionale, in quanto, tutti gli attori coinvolti (INPS, Centri per l’Impiego, Comuni e Caf) non hanno “viaggiato” sincronicamente ed, in secondo luogo, l’assenza di una adeguata informazione ha generato il caos verso tutta quella platea di ex beneficiari che, privati del contributo economico, hanno affollato gli Uffici dei Servizi Sociali degli Enti Locali per eventuali prese in carico al fine di mantenere, temporaneamente, attivo il beneficio sebbene i Comuni non detengano alcun strumento e non abbiano facoltà alcuna di riattivare il sussidio sospeso dall’ Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.
Non entro nel merito tecnico sull’efficacia del Reddito di Cittadinanza, sono state tante le défaillance censite in questi anni. In primis, non è stata una misura idonea di politica attiva volta all’inserimento lavorativo per rapporto a quanto avviene in altri modelli europei ed è stato, molto spesso, epicentro di una caterva di truffe, considerata l’assenza di controlli ferrati sui beneficiari.
Ma sarebbe intellettualmente disonesto non ammettere che, in taluni casi, è stato un utile strumento di contrasto alla povertà, fenomeno che in Italia, sta divenendo sempre più dilagante.
Fin quando non saranno attive le nuove misure varate dal Governo in sostituzione del Reddito di Cittadinanza, vale a dire l’Assegno di Inclusione e l’Assegno di Supporto alla formazione e al lavoro, si temono forti reazioni di chi, ad oggi, vive un grave disagio economico innescando una vera e propria bomba sociale.