Di Alessandro Perelli
La questione palestinese è sempre al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo, con i commenti più svariati. Da un’accettazione a spada tratta delle ragioni di Israele, che deve difendersi dagli attacchi terroristici, a quella di un popolo che reclama il diritto di salvaguardare l’integrità del proprio territorio e di avere uno Stato.
Le cronache sono giornalmente piene di nuovi particolari che riguardano ulteriori vittime da una parte e dall’altra, che nei giorni scorsi hanno purtroppo annoverato anche un turista italiano di 36anni, travolto da un assalitore che si è lanciato con la sua auto contro le persone che affollavano il lungomare di Tel Aviv.
Netanyahu ha mobilitato i riservisti e il suo recente ordine di fare irrompere l’esercito in una moschea, alla ricerca di terroristi ha profondamente offeso il mondo arabo. Questo episodio ha fatto seguito a una serie di attentati che si sono aggiunti ai razzi sparati da Hamas dalla striscia di Gaza, che hanno provocato una dura risposta militare israeliana.
Israele deve proteggersi anche dall’operatività di cellule terroristiche iraniane che soffiano sul fuoco delle tensioni fra palestinesi e Tel Aviv. Sul fuoco giocano anche i coloni che hanno occupato un vasto territorio della Cisgiordania, e che cercano di ampliare ulteriormente i loro insediamenti con l’appoggio soprattutto dei tre partiti religiosi di estrema destra, indispensabili al mantenimento della maggioranza per l’Esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu.
Uno stato di cose che sta peggiorando in maniera preoccupante, compromettendo le speranze di convivenza civile tra arabi e israeliani. Le ripercussioni potranno riguardare la stabilità di tutto il Medio Oriente in un momento già particolarmente difficile per l’ Occidente a causa della guerra in Ucraina provocata dall’aggressione di Putin.
Cosa fare? Innanzitutto è opportuno fare un po’ di ordine. C’è un riferimento preciso da cui partire per analizzare quanto sta accadendo, e per cercare una soluzione. Il 13 settembre1993, Yitzhak Rabin, Yasser Arafat e Bill Clinton firmarono a Oslo uno storico accordo, che sembrava aprire le porte a un processo di pace tra Palestina e Tel Aviv.
Una prima conseguenza fu che l’ Autorità Nazionale Palestinese ebbe il compito di governare una parte della Cisgiordania. L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) fu riconosciuta come partner di Israele per i futuri negoziati sulle questioni in sospeso. Nel 1995 al cosiddetto accordo di Oslo 2 furono fatti ulteriori passi avanti nella prospettiva di dare origine a uno Stato palestinese.
Non erano stati risolti però alcuni problemi importanti, come quello dei confini, degli inserimenti israeliani e della presenza militare di Tel Aviv nel territorio palestinese. Da allora la situazione si è progressivamente sfarinata a causa di tre cause principali. La prima determinata dalla vittoria di Hamas nelle elezioni sulla Striscia di Gaza.
Gli estremisti sono diventati l’interlocutore al posto di un OLP ridimensionata e indebolita e hanno fatto prevalere la logica degli attentati su quella del dialogo. In Israele poi nelle ultime elezioni politiche nei è verificato l’avvento di un Governo che guidato dal leader del Likud, il più volte premier Netanyahu, si regge con l’apporto essenziale dei partiti religiosi di estrema destra che portano avanti una politica di odio verso gli arabi .
Per finire con gli Stati Uniti che, in era Trump con gli Accordi di Abramo, avevano ripristinato le relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e alcuni Paesi arabi, con la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, avevano suscitato la reazione unitaria del malcontento arabo.
Quello che sembra oggi inarrestabile è l’aumento progressivo dei temi che dividono, e che lacerano i rapporti favorendo la violenza. Riprendere una trattativa dagli accordi di Oslo pare l’unica strada percorribile per evitare il baratro.