di Michele Chiodarelli
Nella mattinata di lunedì 8 maggio in occasione della giornata inaugurale, con le qualificazioni, dell’ottantesima edizione degli Internazionali d’Italia di tennis è stata intitolata la sala stampa del Foro Italico a Gianni Clerici, scomparso nel giugno scorso: “quello del tennis” dal titolo della sua “bio-eterografia”. Nel settembre di qualche anno fa atteso a Mantova per un evento del Festivaletteratura, Clerici, proveniente da Como, si era perso per le strade della bassa padana già pervase da una precoce nebbia quasi autunnale, ed era giunto nella mia città quando tutti i ristoranti erano già chiusi a parte una pizzeria dove aveva trovato ospitalità, e dove era stato riconosciuto dal cameriere del locale che in dialetto gli aveva chiesto “Lù l’è quel del tenis? “Alla toccante cerimonia, tra gli altri, sono intervenuti Nicola Pietrangeli, Vito Cozzoli (presidente a ad di “sport e salute”), Giuliano Amato che ha sottolineato come “Gianni Clerici è stata una figura poliedrica: studioso, giornalista, commentatore, atleta e anche poeta. Ha incarnato la dimensione del tennis come elemento insito nella cultura del nostro Paese. A questo sport ha dato tanto non solo nel racconto e nella cronaca, ma anche nella ricerca storica“.
Indiscutibilmente, come detto, Gianni Clerici, che Italo Calvino definì “uno scrittore prestato allo sport”, è stato molto altro che un cronista della racchetta, lo testimoniano i ventitré libri pubblicati tra romanzi, testi teatrali, raccolte di poesie, saggi e le tantissime ore di tv con il suo inseparabile compagno di telecronache Rino Tommasi.
Clerici nasce a Como nel 1930, il nonno era un commerciante di vini mentre il padre Luigi, soprannominato Garibaldi dai concittadini per la spericolatezza con cui correva in moto, fondò la Rifornimenti Automobilistici S.A., azienda che in breve divenne leader del settore. Gianni ben presto però abbandonerà la florida attività famigliare per dedicarsi al tennis conquistando due titoli italiani di doppio juniores in coppia con Fausto Gardini e partecipando sia a Wimbledon nel 1953 che a Parigi l’anno successivo. Quando ancora giocava, Clerici, inizia a collaborare con la “Gazzetta dello sport”, guidata dal trentenne Gianni Brera (il più giovane direttore nella storia del giornalismo italiano) e al loro primo incontro, in Galleria a Milano, Gianni si presenterà con una fiammante racchetta Dunlop Maxply sotto braccio, tanto per essere chiari. Poi abbandonata la carriera agonistica e laureatosi in “Storia delle religioni” dal 1956 sarà a “Il Giorno” come inviato ed editoralista per passare a “Repubblica” nel 1988 dove ha lavorato, praticamente, fino all’ultimo dei suoi giorni, in entrambi i casi con Gianni Brera a fianco. In oltre seimila articoli ha raccontato agli aficionados, come il sottoscritto, il tennis come un’arte minore, una filosofia quotidiana, un modo di vivere diversamente con una passione che consumandosi a fuoco lento si trasforma in cultura. Con il suo stile inimitabile, lo “Scriba”, come Clerici amava autodefinirsi, ha narrato oltre mezzo secolo di tennis, assistendo ai trionfi di Laver e Borg, alle sfuriate di McEnroe, ai record di Federer, Nadal, Djokovic, alle “veroniche” di Panatta, passando dal dilettantismo delle racchette di legno, dei gesti e degli abiti bianchi, agli attuali tornei dai premi multimilionari. E intrecciando ai margini dei court le vicende di questo sport con la propria straordinaria immaginazione letteraria fino a coltivare il gusto della divagazione senza però mai trascurare di offrire al lettore il significato del gioco.
Delle tante opere di Clerici non si può non citare la biografia, prima in assoluto, della francese Suzanne Lenglen (1899-1938) forse la più forte tennista di tutti i tempi e comunque l’unica a non aver mai perso un match in carriera se non per ritiro. In questo libro, a cui si dedicherà totalmente per un anno sospendendo ogni altra attività professionale, Gianni tratteggia in modo sublime la figura di una donna che diviene campionessa mondiale a soli quindici anni, pochi giorni prima della grande Guerra, vince sei volte Wimbledon, essendo nel contempo più famosa di Eleonora Duse, più desiderata di Josephine Baker, più elegante di Anna Pavlova. Insomma, il personaggio femminile più ammirato dell’epoca, mentre il tennis cessava di essere un divertimento aristocratico per ricchi che le dame affrontavano con guanti e gonne lunghe, si allenava come un uomo e nel ’26 diveniva la prima sportiva professionista destando non poco scandalo. A lei è stato di recente intitolato il nuovo campo A (capienza 10.000 spettatori) dello Stadio Roland Garros sede degli Open di Francia.
Detto della “Divina” menzione speciale merita il monumentale “500 anni di tennis”, il libro italiano più conosciuto internazionalmente dopo Pinocchio e la Divina Commedia secondo Enzo Biagi; vero e proprio best seller che detiene il primato di vendite per un testo sul tennis. Dopo aver frugato sottotetti e cantine, consumato una scrivania del British Museum, intervistato più di 700 addetti ai lavori nel 1974 Clerici, per Mondadori, riesce a dare alle stampe il suo riassunto di ben 5 secoli di tennis; una fatica tradotta in inglese, francese, tedesco, spagnolo, giapponese in cui in cinque sezioni viene documentata la storia e l’evoluzione del gioco dagli antenati ai pionieri fino ai fuoriclasse immortali di ieri e di oggi. Un accenno, ovviamente, poi, si deve fare alla carriera di commentatore televisivo di Clerici dato che in coppia con Rino Tommasi ha rivoluzionato, a Mediaset, Capodistria, Tele+ e Sky, il modo di raccontare lo sport: tanto era rigoroso, preciso, didascalico nei numeri e nelle statistiche Rino, tanto era fantasia, talento, svolazzo impertinente Gianni; apparentemente lo yin e lo yang in realtà due entità perfettamente complementari, tra l’altro unite da una sincera amicizia, accomunate da profonda conoscenza dell’argomento trattato, da una competenza tecnica magistrale e una padronanza del lessico fuori dall’ordinario. Pertanto non stupisce che “Time”, un paio di lustri fa, con un ampio reportage li abbia celebrati come i fautori di un rinnovato “italian style” tennistico.
Nel 2005 Clerici è stato nominato professore ordinario di Ironia e Classe dell’Università di Pavia e l’anno successivo è stato ammesso dal Newport Tennis Club nella ristrettissima categoria delle Hall of Fame del tennis insieme alle grandi leggende di questo sport (unico giornalista non anglosassone e secondo italiano a farne parte dopo Nicola Pietrangeli).
Quando ero dirigente della Federazione Tennis ho avuto il privilegio di incontrare alcune volte Gianni Clerici, rimanendo sempre incantato dal garbo, la signorilità, l’intelligenza, il senso dell’umorismo con cui si poneva di fronte ai suoi interlocutori sia che si trattasse di occasioni istituzionali sia che provasse a convincere due attoniti soci dell’Harbour Club a rinunciare al loro match di singolare per disputare un doppio con lui e il suo partner; oppure tentasse di persuadere le recalcitranti monache che lo custodivano a consentirgli di visitare fuori orario il museo Aloisiano nel collegio delle Vergini del Gesù a Castiglione delle Stiviere dove è esposto un dipinto raffigurante Luigi Gonzaga bambinetto con in mano una racchettina. Concludo con questa lirica, tratta dalla raccolta “Postumo in vita”, nella quale Gianni Clerici racconta sè stesso molto più efficacemente di ogni mia altra parola:
“Ho passato una vita/a guardare una palla/divenuta nel tempo/da bianchissima gialla/rimbalzava leggera/lungo i prati di Wimbledon/risaliva dorata sopra i tigli di Auteil/nei tramonti vermigli /di stati affascinati/ che credevano che fosse/il campione il re/ma cosa resterebbe/della Divina e Tilden/di McEnroe e Martina/senza quella pallina/mi dicono persone/affaccendate colte/come hai fatto/a sprecare le tue doti native/per una vita vana/avranno ragione forse/ma a ciascuno tocca una sua religione”