di Giovanni Franco Orlando
Tra pochi giorni, il 24 febbraio, ci sarà il triste anniversario dell’invasione della Russia di Putin all’Ucraina.
È passato ormai un anno da quel giorno scellerato in cui Putin ha sferrato la sua cosiddetta “operazione speciale” che altro non è che l’aggressione ingiustificata di un territorio e di un popolo.
Da quel giorno tanti bombardamenti, tanta distruzione e tante morti (molte, troppe anche tra i civili) che ci hanno fatto ripiombare nel dramma di una guerra in Europa dopo più di 75 anni di pace, se si escludono le guerre jugoslave (tra guerra civile e conflitti secessionisti) che hanno coinvolto diversi territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia tra il 1991 e il 2001.
Oltre alle bombe e alle morti, in questo lungo anno abbiamo assistito qui, nel nostro Paese, ad un continuo dibattito sulle presunte ragioni degli uni (aggressori) e degli altri (aggrediti), sull’opportunità di aiutare (con l’invio delle armi) o non intervenire (se non con la diplomazia, senza però le armi), se sono più importanti le ragioni della pace o le ragioni della guerra.
Immagino che tutto questo si riproporrà ancora e con più forza in occasione del triste anniversario e in concomitanza con l’ormai prevedibile nuova offensiva che Putin sta preparando: ormai infatti è quasi certo, a parere degli analisti esperti, che i russi preparano una nuova e ancor più decisa avanzata appena le condizioni anche climatiche lo consentiranno.
Prima che questo inevitabilmente accada alcune riflessioni mi sento di farle prendendo lo spunto da un interessante presentazione del libro di Vittorio Emanuele Parsi, dal titolo “Il posto della guerra”, avvenuto ieri a Modena con il patrocinio del Comune di Modena e su iniziativa della Cooperativa “Germano de Pietri Tonelli”.
Per “posto della guerra” l’autore indica la nostra Europa che è ritornata ad essere (dopo appunto la parentesi che ricordavo all’inizio di 75 anni di relativa pace) il luogo in cui nei secoli sono avvenuti la maggior parte dei conflitti ed eventi bellici tra comunità, città, stati, imperi. Guerre di tutti i tipi, nate e consumate sul territorio europeo o esportate anche in altri territori del mondo.
L’Europa in sé non è stata sempre terra di pace, purtroppo, ma piuttosto terra di guerre.
I 75 anni di pace sono la grande e incredibile eccezione e non la regola della storia europea e purtroppo questa lunga parentesi eccezionale (che poi riguardava solo il territorio europeo e non tutto il mondo dove invece le guerre hanno continuato a insanguinare Paesi e popoli) sembra terminata.
Interessante è cercare di capire come si è riuscito a ricavare questa lunga e incredibile “parentesi di pace” almeno in casa nostra, se non altro.
Una delle letture interessanti rispetto a questo è sicuramente il fatto, e questo ci interessa molto da vicino in quanto socialisti e liberali, che la guerra tra i diversi Stati europei e occidentali si affievolisce o termina quando prevale il occidente il sistema liberale e democratico rispetto a quello totalitario e nazionalistico: abbiamo costruito una situazione di pace quando il singolo Stato, pur perseguendo propri interessi di parte, a volte anche egoistici, non ha più visto negli altri Stati un nemico pregiudizialmente ostile, ma semplicemente il possibile concorrente o controinteressato con cui confrontarsi oppure, meglio, un alleato con cui collaborare per crescere e meglio difendersi quando si sono create storicamente le condizioni per allearsi a difesa di comuni valori e principi.
Questo è avvenuto appunto quando, al di là degli interessi, c’è stato una progressiva costruzione di un percorso di condivisione del sistema dei valori fondamentali di libertà e di democrazia, iniziato all’indomani del primo cruento conflitto mondiale e ripreso con più forza e con più soddisfacenti risultati dopo il secondo conflitto mondiale: davanti all’immensità del costo di quei conflitti e al rischio della guerra totale atomica i Paesi che si richiamavano a comuni valori e principi di libertà e di democrazia hanno voluto costruire un sistema comune per evitare e scongiurare nuovi conflitti.
Se si è d’accordo su questo, come credo che sia ampiamente probabile ed auspicabile, diventa evidente a tutti che quello per cui bisogna lottare oggi, assieme al popolo ucraino, è non solo e soltanto la difesa a tutti i costi di un popolo aggredito o il contrasto a tutti i costi delle pretese espansionistiche di uno Stato su un altro; la lotta cruciale, che interessa tutti noi occidentali, europei, italiani è salvare la libertà e la democrazia in Europa intanto, a partire dall’Ucraina, e poi nel mondo, se ci riusciamo, ma questo è ancor più complicato, perché senza libertà e senza democrazia avremo più guerre, più morti e più barbarie.
L’imperativo che oggi abbiamo e prendo ancora una volta a prestito il libro di Parsi non è quello, solo, di fermare la guerra, ma di salvare la democrazia in quanto questo ci potrà consentire di guardare con più fiducia ad un futuro di pace.
Questo, come ogni cosa umana, ha dei costi. Anche la libertà ha un costo. Perché nessuno, in questo mondo e anche in altri tempi e mondi, ti regala la libertà, come sappiamo bene, e nessuno si adopera a prescindere per la democrazia se non ne è profondamente convinto e non è disposte a combattere per difenderla.
Aspettiamoci nelle prossime settimane e nei prossimi mesi il riacutizzarsi dei dibattiti, mai a dire il vero sopiti, sulla pace e sulla guerra; aspettiamoci le iniziative dei pacifisti a senso unico in contrasto con i presunti guerrafondai nemici della pace.
Proprio in previsione di tutto questo, visto che noi siamo per la difesa dei diritti, della democrazia e della libertà e non certo per la guerra, sarà utile, tenere a mente queste riflessioni.