Era accaduto anche durante il nazismo e per molti aspetti anche durante il fascismo, quando i libri di testo fin dalle elementari erano scritti dai rispettivi regimi. In Italia ad esempio si esaltava il ruolo sacro dell’impero romano, si leggeva il Risorgimento secondo una logica puramente nazionalista, si esaltava l’interventismo bellico e gli storici più arditi paragonavano Mussolini a Cesare o a Napoleone, mentre i più moderati solo a Francesco Crispi, anche lui estremista e garibaldino da giovane e reazionario da vecchio. In Russia la riscrittura, secondo quanto afferma nel suo bell’editoriale Paolo Mieli sul Corriere, é anche più radicale. La guerra all’Ucraina sarebbe in atto per denazificarla, Gorbaciov sarebbe stato un vecchio arnese nelle mani degli americani, la fine dell’Urss, secondo quanto già affermato dallo stesso Putin, la più grande tragedia del novecento. Fin qui si può pensare a una rilettura in chiave paleo comunista. E invece niente Lenin e gloria agli zar e all’impero russo. Da Caterina II ad Alessandro III. La dimenticanza di Lenin sta proprio nel non aver valorizzato il nazionalismo russo e troncato con gli zar. Come invece ha fatto Stalin con l’eroica resistenza all’invasione tedesca. Nella rivalutazione di Stalin si nascondono gli orrendi crimini compiuti, le fucilazioni dei dissidenti (eliminò i 2/3 del Comitato centrale del Pcus), non v’é cenno all’Holomodor, la strage a milioni dei contadini ucraini lasciati morire di fame per procedere alle nazionalizzazioni delle terre e all’industrializzazione forzata. E Mieli aggiunge: “Tutti i riconoscimenti delle responsabilità staliniane in piccoli e grandi misfatti (tra cui le fosse di Katyn, la repressione dei dissidenti, e l’«arcipelago gulag), tutte queste ammissioni di colpa in alcuni tra i più efferati crimini del XX secolo, sono scomparse nei manuali di storia che approderanno nelle scuole della Federazione russa. Questi sono poi i vergognosi fatti di cui parlò Kruscev al XX congresso del Pcus nel gennaio del 1956. Vorrei per un momento intrattenere i lettori su quest’ultima questione. E’ vero che Putin non é ispirato da un’ideologia precisa, se non dal più ottuso nazionalismo, anche se il suo trascorso ruolo nel Kgb non é trascurabile. Ma che un regime, quello russo, attuale, rinneghi perfino il revisionismo kruscioviano e rivaluti Stalin al pari degli zar russi, riportando l’interpretazione della storia a settanta e anche a duecento anni fa, questo non lo si può oggi tralasciare. Qualcuno può pensare: un criminale che rivaluta un altro criminale. E invece si tratta di una autentica e coerente ispirazione politica. Stalin, secondo i testi putiniani, avrebbe concesso alla Polonia i suoi confini orientali, e invece il Patto Ribbentrop-Molotov impediva di fatto alla Polonia di esistere, Stalin permise all’Urss di ampliare i suoi territori. Sì ma sottomettendoli. Qui c’é evidente la vocazione putiniana: ampliare i territori della Federazione russa, annettendo la Cecenia, due repubbliche georgiane, e oggi l’Ucraina. E anche il Niger, uno stato ricchissimo di materie prime, prima tra tutte il plutonio, mentre la quasi alleata Cina ha tra le sue mani il dominio su mezza Africa. Silenti i partiti, silenti i pacifisti, silenti le organizzazioni umanitarie e anche gli uomini di cultura. E soprattutto silenti gli storici. Non riusciamo a comprendere che sta cambiando il mondo? E anche le interpretazioni del suo passato. Generalmente quando si intende compiere un’azione bellica imprevedibile e ingiustificabile é proprio la storia che bisogna manomettere. Avrà ragione Federico Rampini a sottolineare come la crisi della Cina potrebbe rilanciare le economie occidentali. Ma il pericolo Putin non può e non deve permettere a Xi, sia pure in difficoltà, uno stretto legame con lui. Ci mancherebbe solo che alla rivalutazione di Stalin corrispondesse analoga rivalutazione di Mao, del suo libretto e della sanguinosa rivoluzione culturale…
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Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un’intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all’ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l’Avanti online.
2 commenti
Purtroppo è ora di prendere atto che la decantata “fine delle ideologie” non è mai avvenuta.
La mia modestissima lettura, anzi, è che siamo ancora (e non “di nuovo”) nel mezzo di quel pantano.
Così come non si è fatto mai fino in fondo i conti col fascismo (semplificazione) non si è mai purtroppo fatto i conti col comunismo in questo paese. La svolta culturale che ciò necessariamente implicava è morta con mani pulite, l’unica area politica che aveva maturato un pensiero funzionale di maturità politica ed umanitaria è stata distrutta e delegittimata.
Attualmente la realtà ci dice che purtroppo non sembra essere una storia riscattabile.
Come spiegare altrimenti l’ondata di pensiero aprioristicamente ed in assoluto antioccidentale/antiscientifico?
Lo svolgimento e le dinamiche fideistiche/emotive di questo pensiero sono già state magnificamente analizzate dal compianto Luciano Pellicani.
Anni e anni orsono. Decenni.
C’è mai stata una maturazione sociale e politica in questo senso? In tutti questi anni? No, semplicemente la brace ardeva sotto la cenere della storia.
D’altronde trent’anni sono un battito di ciglia della storia, la ritirata strategica della Politica europea ed internazionale in nome dell’economia ha ucciso qualunque processo di maturazione culturale e pragmatica.
La rivalutazione di Mao? Non l’hanno mai dismessa.
Valutiamo come normale che nelle città autodefinitesi progressiste ci siano Via Stalingrado (neanche in Russia Stalingrado si chiama più così), Viale Lenin? I continui tentativi sempre più attuali di riscattare la storia fascista?
E però di PSI non si può parlare senza essere insultati od ostracizzati, dedicare una via a Craxi è come celebrare una messa nera.
No, più che riscritta la storia a me sembra mai letta.
Scusate la lunghezza del commento
Sono assolutamente daccordo.Siamo un popolo politicamente immaturo e volutamente ignorante.