di Fabrizio Montanari.
La prima pagina dell’Avanti! del I° Maggio 1918 raffigurò un gigante incrollabile nella furia degli elementi, con lo sguardo rivolto al futuro. Quello del 1918 fu l’ultimo I° Maggio che l’Italia trascorse in guerra. Il morale delle truppe faticò a risollevarsi dopo la disfatta di Caporetto, anche se il nuovo comandante in capo, generale Diaz, impresse un cambiamento radicale nella strategia e nell’organizzazione militare.
L’offensiva austro-ungarica sul Piave e dell’Isonzo con l’obiettivo di guadagnare la pianura veneta presto svanì. Il fuoco di sbarramento delle artiglierie italiane infatti trasformò il piano austriaco in un deciso insuccesso. Anche i successivi tentativi austriaci non riuscirono a scardinare le difese italiane, che alla fine respinsero il nemico. Poi l’esercito italiano entrò a Vittorio Veneto e il 3 novembre a Trento. Si raggiunse così l’armistizio di Villa Giusti e dal 4 novembre cessò ogni ostilità sul fronte italiano.
Nel mese di maggio però tutto era ancora in divenire e la tensione era altissima. Nessuno allora poteva immaginare quando la guerra sarebbe finita e quale potesse essere il suo esito. Lutti, sconfitte, miseria, contrasti all’interno delle forze armate, continuavano a indebolire il morale del paese e dei combattenti. La festa del I° Maggio fu dunque celebrata in tono minore, quasi in sordina.
I temi e gli interrogativi sottoposti all’attenzione dei lavoratori nelle poche conferenze che si svolsero non si differenziarono molto da quelli dell’anno prima: gli accadimenti russi, la fine della guerra, la crisi economica. Ciò accadde anche in Francia e in Germania dove le speranze rivoluzionarie degli spartachisti erano state frustrate. Nella stessa Russia mancò l’entusiasmo dell’anno precedente. La grande parata militare sulla Piazza Rossa e il comizio di Lenin non bastarono a eguagliare le manifestazioni del 1917.
Stando a quanto riferito da La Giustizia, a Reggio e provincia si svolse una sola conferenza presso una scuola cittadina. Presentato da Giuseppe Soglia, l’on cesenate Umberto Brunelli parlò a un pubblico quasi esclusivamente femminile. Brunelli si disse deluso dalla rivoluzione russa che, contrariamente alle aspettative, non rispettava i principi socialisti. Difese i socialisti italiani dalle continue accuse d’essere i responsabili della disfatta di Caporetto, dilungandosi a ricordare quanto fatto per alleviare i disagi della popolazione e preservare il tessuto economico e produttivo creato in tanti anni di sacrifici.
Il manifesto pubblicato dal municipio del comune di Reggio in occasione del I° Maggio risulta l’unico a non essere stato sequestrato o censurato e ad essere esposto in città.
In esso si poteva leggere. “Quali parole può indirizzarvi la vostra civica Rappresentanza, che già non vi abbia detto in queste ultime ricorrenze del Primo Maggio, in ognuna delle quali, col dolore della perdurante strage umana era la speranza che un nuovo anno ne avesse vista la fine”.
Alla propaganda anti-disfattista del governo, si aggiunse anche quella degli interventisti di estrazione socialista e non solo, secondo i quali alla riconciliazione del proletariato con il paese non avrebbe corrisposto l’adesione al regime esistente; al contrario, la solidarietà delle classi lavoratrici alla causa nazionale avrebbe fornito il presupposto per una nuova guida alternativa a quella esistente nell’organizzazione della società e della nazione.
Il PSI, illudendosi che bastasse rivitalizzare le conquiste passate per riprendere il cammino interrotto dalla guerra, mancò di riflettere sulla nuova realtà socio-politica, tanto da presentarsi impreparato a rispondere alle nuove domande e ai nuovi bisogni sorti con la fine della guerra. La guerra, infatti, aveva cambiato tutto e nulla era più come prima.
Mentre l’estremismo di sinistra, inseguendo il mito sovietico, darà vita al biennio rosso e alla nascita del PCdI, quello di destra, foraggiato dagli industriali e dagli agrari, sosterra’ Mussolini e la presa del potere del fascismo.
Fabrizio Montanari