di Maurizio Ballistreri
Il I maggio è una giornata importante, intrisa di valori, ricca di storia e di simboli, che negli anni hanno riaffermato il valore del lavoro ed i suoi significati per le persone e per la società.
Nella storia del movimento dei lavoratori, il Primo maggio riporta alla memoria, ad un tempo immagini di lotte sociali e democratiche sostenute per rivendicare quanto il fondatore del primo partito operaio in Italia, il socialista Andrea Costa, rivendicò all’alba del Novecento “A tutti i figli degli uomini lavoro, libertà, giustizia, pace” e quelle drammatiche di dolore, “i maggi italiani di sangue” per le repressioni anti-operaie, come li definì Claudio Treves sulle colonne della “Critica sociale”, la rivista storica del riformismo socialista italiano fondata da Filippo Turati, che tornarono drammaticamente a riproporsi nel dopoguerra con la strage di Portella della Ginestra nel 1947.
In questo I maggio 2023, non si può non registrare, non solo in Italia, l’assenza di una forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo. L’idea prevalente nella sinistra italiana è quella di una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario è il “politicamente corretto” e il radicalismo cosmopolita, relegando il conflitto sociale a fini redistributivi e di potere tra le classi sociali, negli scantinati della Storia. Quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo va tosato e non ucciso”.
Nella sinistra europea ed internazionale non mancano fermenti: i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez e quelli portoghesi di Antonio Costa al governo dei rispettivi Paesi con un programma dai forti connotati sociali, con posizioni che pongono al centro i diritti sociali, il lavoro e il contrasto al potere della finanza globale.C’è l’esigenza in Italia di guardare ad esse, per ricostruire la fondamentale dialettica democratica tra schieramenti alternativi, partendo dai contenuti e non dalle sigle, espungendo il politicismo e affrontando la vera grande questione dei nostri giorni: la diseguaglianza.
Per questo servono all’Italia la tradizione e la cultura del socialismo riformista e liberale, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica, “prigioniera” del mercato, facendo del lavoro, della giustizia sociale e della Costituzione le bandiere della ricostruzione democratica.
Ma al nostro Paese serve anche un rilancio dell’azione sindacale, con una modernizzazione della sua capacità di interpretare il nostro tempo difficile, con un salto di qualità culturale, a petto della fine del fordismo-taylorismo e delle stesse gerarchie e valori sociali del ‘900, poiché crollate le vecchie solidarietà di classe, di ceto, di gruppo o di comunità si è sviluppato un veloce processo di segmentazione dell’identità sociale, con la spersonalizzazione dei soggetti del mondo del lavoro e la smaterializzazione di alcuni lavori, nel mentre l’intero catalogo dei diritti sociali è stato significativamente ridimensionato.
E’ necessario che il sindacalismo – in cui pure esistono fermenti innovativi, come il comunitarismo della Confial, guidata da Benedetto Di Iacovo – superi l’attuale ripiegamento, sovente burocratico, con regole non più attuali in materia di rappresentanza, rappresentatività ed efficacia dei contratti collettivi che confliggono con i principi di libertà e pluralismo sindacali sanciti dall’art. 39 della nostra Costituzione.
Il sindacalismo italiano, se intende accettare la sfida dei cambiamenti, deve dotarsi di nuove competenze e interagire con tutti i soggetti che sono produttori di processi di innovazione e di cambiamento delle regole che sorreggono i modi di produrre, l’economia, la società che insieme a forme di lavoro dignitoso e regolare, che richiedono nuovi sistemi di welfare e nuove forme di rappresentanza sociale, politica, istituzionale con una visione culturale adeguata ai cambiamenti in essere.
Come scrisse per il I maggio del 2021 sulle colonne dell’Avanti! – al tempo diretto da Mauro Del Bue – uno dei leader storici del sindacalismo italiano – Giorgio Benvenuto, grande e autentico erede della tradizione riformista di Bruno Buozzi: “Dai sindacati nel passato si è avuto un contributo decisivo per salvare il Paese, dal terrorismo, dalla recessione, dalle crisi. Questo è oggi nuovamente il loro compito. Un piano che ha l’ambizione di costruire un futuro non per pochi ma per tutti non può decollare senza un ampio confronto ed un solido consenso sociale”.
1 commento
Sempre di grande interesse gli articoli del prof. Ballistreri. Grazie. Alessandro Bravi, operaio, socialista!