di Fabrizio Montanari
Con la fine della guerra, grazie anche alla vittoria conseguita, tutto sembra dover iniziare di nuovo e tutto sembra possibile. Anche la crisi economica e la disoccupazione, nel 1919, appaiono problemi risolvibili. Cresce anzi l’insofferenza verso il sistema di sfruttamento umano e materiale borghese. Oltre al lavoro si chiede una retribuzione più consistente, orari di lavoro di otto ore, maggiori tutele della salute. La rivoluzione russa diventa un esempio da imitare per il proletariato, mentre i ceti medi, impauriti, si irrigidiscono nel loro nazionalismo. La polemica tra socialisti riformisti, massimalisti o comunisti si fa ogni giorno più aspra. Prampolini polemizza con il segretario del partito Costantino Lazzari, sostenitore di un’imminente rivoluzione proletaria. Egli infatti ritiene le suggestioni provenienti dall’est come “teoricamente antisocialiste e praticamente disastrose”.
L’euforia postbellica ha come conseguenza l’aumento degli iscritti al partito e l’avvio di una intensa opera di riorganizzazione delle strutture del partito, del sindacato e delle cooperative. I collegi più determinati e organizzati sono quelli di Reggio e Montecchio. Fanno eccezione i comuni della Bassa (Guastalla, Reggiolo, Brescello e Luzzara), dove, rispetto al partito, prevale la forza della Camera del Lavoro.
Zibordi così interpreta la situazione: “La bassa ha trent’anni di socialismo ed ha anche un temperamento diverso. Voi li trovate compatti nel giorno delle elezioni, in uno sciopero, in un comizio con grandi nomi.
Ma il lavoro modesto di propaganda non lo sentono. Credono in parte di aver superato, in parte la loro psicologia non li rende inclini a questo lavoro”.
Più forte ancora dell’attività organizzativa è il dibattito ideologico. In occasione della assemblea della Federazione reggiana convocata nel mese di febbraio 1919, vengono presentati tre ordini del giorno, che in sostanza rispecchiano le due anime che focalizzano il dibattito interno al partito: l’anima riformista e quella massimalista.
Si fronteggiano Il gruppo di Prampolini e Zibordi e quello di Piccinini e Simonini. Il congresso si apre in un clima generale di entusiasmo e d’attesa rivoluzionaria senza precedenti. Tutto è talmente confuso e confidente nelle prossime vittorie del movimento socialista, che già al congresso provinciale del 28-29 giugno 1919, alla presenza di Bombacci e Barabino della Direzione nazionale, diverse sezioni che avevano votato a febbraio per Zibordi, vedi la sezione di Montecchio, si schierano con i massimalisti.
Il fatto è clamoroso anche perché per la prima volta Prampolini, “l’apostolo socialista”, va in minoranza.
Nel corso del dibattito congressuale i riformisti riaffermano la validità dei sistemi di lotta fin qui seguiti, e cioè la graduale elevazione, culturale, economica e politica delle masse al fine di gestire collettivamente la nuova società. I massimalisti rivoluzionari ritengono invece che sia giunto il tempo per dare la spallata finale al sistema e proclamare l’avvelarsi della società socialista.
In un suo intervento Prampolini cerca invano di mostrare i pericoli incombenti sul proletariato. Egli invita i congressisti a non valutare l’ipotesi di una rivoluzione ormai alle porte, quanto il rischio della minaccia reazionaria che incombe sul movimento operaio. Il corso degli eventi, a suo dire, vanno in direzione esattamente contraria. Prampolini continua a sostenere che la guerra ha creato dei ribelli, dei malcontenti, ma non delle “coscienze nuove”.
La votazione congressuale finale registra: 1733 voti per l’o.d.g. massimalista di Cavecchi e 1675 per l’o.d.g. riformista di Zanazzi-Zibordi. Segretario viene nominato Antonio Piccinini, il giovane referente della frazione massimalista reggiana. Piccinini purtroppo verrà prelevato dalla sua abitazione e assassinato dai fascisti nel 1924.
La situazione di lacerazione interna al partito durerà a lungo, anche se già al Congresso provinciale del 25-26 gennaio 1920 torna a prevalere la frazione riformista con 2.527 della mozione Storchi contro i 2.268 di quella di Piccinini. Appena 259 voti di differenza che, oltre a fotografare una netta spaccatura tra gli iscritti, ne prefigura un’altra nazionale ben più grave nel gennaio 1921: la scissione di Livorno e la nascita del P.C.d.I., che darà campo libero al fascismo.
Come ha scritto Renato Marmiroli nella sua biografia di Camillo Prampolini il 1919 è stato in sostanza “l’anno delle grandi illusioni e inizio del grande dramma”.
Fabrizio Montanari