di Fabrizio Montanari
Il 25 febbraio 1915 è una giornata umida e fredda, la città è ricoperta dalla neve e la tensione politica ha ormai raggiunto il suo apice. L’ingresso dell’Italia in guerra sembra scontato, anche se i socialisti continuano a battersi contro quella nefasta prospettiva. Prampolini, come tutto il partito, è in prima fila, tiene discorsi e conferenze pacifiste in molte città e in ogni comune della provincia reggiana.
La Seconda Internazionale, riunita a congresso a Bruxelles, celebra il suo ultimo rito unitario, prima che i vari partiti socialisti nazionali, specie quelli di Francia e Germania, scelgano d’appoggiare le scelte dei rispettivi governi. L’Italia, pur essendo aderente alla Triplice Alleanza fin dal 1882, dopo un periodo di neutralità, sceglie di schierarsi con i paesi dell’Intesa. Il clima di mobilitazione nazionalistico-patriottica divide l’Italia in due: da una parte gli interventisti che schierano liberali conservatori, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, nazionalisti, irredentisti, associazioni studentesche e mussoliniani. C’è chi vede nel conflitto la prosecuzione del Risorgimento e chi intende abbattere lo strapotere degli imperi centrali. Dall’altra parte ci sono i neutralisti che contano sui socialisti, i giolittiani, gli anarchici e qualche democratico di sinistra.
Si arriva così al 25 febbraio 1915 quando un Comitato interventista locale invita l’irredentista Cesare Battisti a Reggio per una conferenza privata su invito e a pagamento presso il Politeama Ariosto. Nei giorni precedenti si era già notato in città un insolito fermento. Nei caffè del centro non si parlava d’altro e la forza pubblica sorvegliava attentamente le mosse degli opposti schieramenti. I socialisti, in verità, non fanno nulla per esacerbare gli animi. Invitano anzi a non ostacolare in alcun modo la conferenza. Battisti in fondo, pur manifestando idee diverse, è pur sempre un deputato socialista trentino al parlamento di Vienna.
Nonostante ciò la piazza antistante il Politeama si riempie di manifestanti, molti dei quali sono giovani operai, contrari all’evento. Al grido di Abbasso la guerra! Evviva il Socialismo! si schierano all’ingresso del Politeama Ariosto per impedire l’accesso agli invitati. Con Prampolini a Roma, spetta al sindaco Roversi, a Zibordi e al segretario provinciale del partito Bonaccioli cercare di placare gli animi e contenere la collera dei più scatenati contestatori. Ben presto si capisce però che lo scontro fisico è inevitabile. La polizia e i carabinieri a cavallo, respingeno l’assalto al teatro e, quando ritengono di non reggere l’urto dei contestatori, sparano sulla folla. Alla fine si contano due giovani morti, diversi feriti, compresi alcuni carabinieri. Le vittime sono il diciassettenne Mario Baricchi e il diciottenne Fermo Angioletti, entrambi operai. La notizia dell’eccidio di Reggio ottiene risonanza nazionale e offusca l’immagine della mitezza del socialismo umanitario prapoliniano.
Appresa la notizia, Camillo, che è a Roma, non perde tempo e rientra nella notte, non prima però d’aver rivolto con gli on.li Ruini, Berenini e Turati una interpellanza al Presidente Salandra per capire cosa intenda fare il governo per punire i colpevoli e riportare la pace. Il governo risponde che sarà aperta una scrupolosa e imparziale indagine affidata all’Ispettore generale di P.S. Trigalli. Il giorno 27 si tiene una imponente manifestazione in Piazza Grande nel corso della quale parlano il sindaco Roversi, i dirigenti socialisti Zibordi, Bellelli, il rappresentante dell’USI (Unione sindacale italiana) Nencini e lo stesso Prampolini. Quando Camillo prende la parola, dopo un prolungato applauso, la piazza si fa muta per ascoltare il suo vate. Il discorso del leader socialista è quanto mai franco e diretto.
Nelle sue parole risuonano i concetti di sempre: tolleranza, pace e libertà. Condanna ogni forma di violenza da qualunque parte essa provenga. Invita tutti ad astenersi da forme di protesta violente e potenzialmente generatrici di altri lutti. “La calma-a suo dire- significa ragionevolezza e non può essere intesa come atto di viltà…Amiamo la libertà e sia libertà per tutti. Amiamo la vita e quindi non provochiamo ed allontaniamo quanto possa offendere o distruggere l’esistenza umana”. Prampolini invita infine tutti a “commemorare i morti con opere buone che tendano a realizzare l’ideale socialista che significa innanzi tutto libertà per tutti”. La cronaca della manifestazione viene ripresa il giorno dopo, 28 febbraio, dalla Giustizia settimanale.
Mussolini coglie immediatamente l’occasione per deridere Prampolini sul Popolo d’Italia per le sue raccomandazioni rivolte al popolo di mantenere la calma e tenere alla larga ogni tentazione di vendetta. La risposta di Prampolini non si fa attendere ed è affidata a un articolo della Giustizia del 7 marzo, nel quale dimostra come “socialisticamente” la vendetta, la violenza proletaria fossero un “errore ideale e un errore pratico” e lo inducessero a mettere in guardia il proletariato verso “i moti convulsivi, i gesti d’ira e d’impulso, l’insurrezionalismo che a fronte di attimi di soddisfazione per qualcuno, provocano più spesso lutti e danni al proletariato nel suo complesso”.
I solenni funerali si svolgono alla presenza di tutti i circoli socialisti provinciali. Oltre ventimila persone accompagnano le salme al cimitero. I ringraziamenti delle famiglie sono affidate a La Giustizia del 2 marzo.
La moglie di Cesare Battisti, Ernesta Bittanti, nel suo libro di memorie Con Cesare Battisti attraverso l’Italia, pubblicato nel 1938, dopo aver ricordato il dolore provato dal marito per quelle due giovani vite stroncate, scriverà: “L’opposizione neutralista di Reggio apparve, fra quelle manifestazioni nelle altre città italiane, la più nettamente operaia, socialista, idealista, ispirata ai principi dell’Internazionale della pace”.
1 commento
grazie della bella pagina di storia italica e socialista