di Fabrizio Montanari.
All’inizio del primo conflitto mondiale il Governo italiano si dichiara neutrale, sostenuto in questa decisione dai giolittiani, da diversi radicali e democratici, ma soprattutto dal Partito socialista italiano, unico tra quelli analoghi europei a votare contro l’ingresso in guerra. Prampolini, pur soffrendo nel vedere disintegrarsi l’alleanza internazionale, non demorde e si dimostra uno dei dirigenti più convinti di questa posizione. Lo è per ragioni di ordine morale, umano ed ideologico. Non crede affatto che la guerra possa risolvere contesi internazionali, né quelli interni ai singoli stati, anzi si dice certo che la guerra finirebbe per aggravarli tutti per un tempo indefinito.
Nelle riunioni di partito e nelle pubbliche conferenze affronta l’argomento con passione e determinazione. Non di meno, come afferma in un discorso alla Federazione socialista reggiana nel dicembre 1914, lo si può considerare un neutralista assoluto anche in caso di aggressione perché: “il socialismo è qualcosa che spinge l’individuo a ribellarsi a tutto ciò che sa di prepotenza, di sopraffazione…il principio morale che spinge ad abbracciare il socialismo è l’avversione alle ingiustizie sociali, a tutte le ingiustizie”.
Si dice infine convinto che senza “questo ideale di giustizia si è borghesi e non si potrà mai essere socialisti”.
Comprende tuttavia che la comprensione di questi concetti non è scontata e richiede pazienza e fermezza da parte del gruppo dirigente. Le richieste di chiarimenti politici diventano, infatti, sempre più pressanti, specie dopo il clamoroso caso Mussolini, conclusosi con l’espulsione del direttore de L’Avanti!. In seno al partito emergono, infatti, altre posizioni, che pur restando del tutto minoritarie possono minare la determinazione e l’unità del partito. Esse spaziano dall’insurrezionalismo contro la guerra all’indifferenza assoluta del ruolo dell’Italia e di quello che accade in Europa.
La formula né aderire né sabotare adottata dal partito risulta d’altra parte a molti ambigua e contraddittoria, non in grado cioè di svolgere un ruolo decisivo contro la guerra. Lo stesso Turati in seguito avrà modo di precisare: “Era chiaro che quel precetto era un’intima contraddizione immanente e beffarda, poiché il non aderire era già in qualche modo un inizio di sabotare, e il non sabotare era anche un po’ un aderire”.
Il socialismo pacifista di Prampolini, Zibordi, e Roversi non si scoraggia nemmeno con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915. Nell’intento d’alleviare i disagi della popolazione i socialisti partecipano attivamente a tutti gli enti di assistenza, creano l’Ente autonomo provinciale dei consumi con lo scopo di difendere i meno abbienti dalla morsa del mercato nero e dagli speculatori di ogni sorta e impegnano i loro amministratori pubblici a creare occasioni di lavoro. Le cooperative, il sindacato, le leghe, i compagni delle sezioni, tutti coloro che possono dare il loro apporto perché il popolo soffra il meno possibile, sono sollecitati a mobilitarsi per fare la loro parte. I socialisti in sostanza non restano inermi ma si mobilitano per rafforzare il “fronte interno”, che soffre la fame, la disoccupazione e ogni tipo di privazioni.
Nonostante tanti sforzi, quando giunge l’ora più buia di Caporetto i socialisti italiani sono additati, a causa del loro neutralismo, come corresponsabili del crollo del fronte sull’Isonzo, causato anche dalle molte diserzioni dovute alla propaganda pacifista. Si tratta di una accusa pesante, ingiustificata, che deve essere subito smontata perché non serva da giustificazione per il Governo, per i vertici militari e le forze politiche interventiste. Tutti i dirigenti socialisti sono dunque in prima fila per difendere la scelta neutralista del partito, che nulla ha a che fare con il disastro militare.
Il segretario della Confederazione Generale del lavoro Rinaldo Rigola nel suo intervento nel corso di un’assise della sua organizzazione afferma: “…possiamo respingere ogni e qualunque solidarietà con coloro che hanno voluto la guerra, ma quando il nemico calpesta il nostro suolo abbiamo un solo dovere: quello di resistergli. E questo dovere lo devono sentire i socialisti contrari alla guerra, prima ancora di tutti gli altri, poiché purtroppo, chi ne va di mezzo durante le invasioni militari, sono le popolazioni proletarie in primo luogo…”.
Gli stessi concetti sono svolti, il 14 novembre 1917, nell’intervento pronunciato da Camillo Prampolini alla Camera dei Deputati a nome del gruppo parlamentare, nel quale, oltre a respingere le accuse rivolte ai socialisti, chiede un’indagine parlamentare per l’attribuzione delle responsabilità dell’accaduto. Prampolini, pronuncia un discorso tanto chiaro, quanto fermo e coraggioso, che anche i più ostili accusatori non possono che ascoltare in silenzio e rispetto.
Rivolgendosi al presidente della Camera dice: “Non è il giorno questo di spalleggiarsi le responsabilità e di recriminare sulle colpe, ma niuno speri di trarre amnistie seppellitrici precisamente dalle conseguenze più tragiche della sua politica; niuno si illuda di profittarne per aggredire settariamente la parte avversaria!
Non chiamateci, in quest’ora d’angoscia, alla riaffermazione di un concetto che il socialismo non rinuncia: il concetto della difesa territoriale, della indipendenza dei popoli…Noi non abbiamo atteso egoisticamente la violazione del suolo d’Italia, per riaffermare questo principio…Noi respingiamo la leggenda infame, che vuol imputare alla nostra propaganda la responsabilità dei tristi eventi dei giorni passati. Pur essendo risolutamente avversi alla guerra, ed invocandone la più prossima fine, com’era e com’è nostro diritto e dovere; noi però abbiamo avuto il senso esatto del mondo e dell’ora in cui viviamo, e non abbiamo né disconosciuto né taciuto la inesorabile necessità di sottostare, durante la guerra, alle sue esigenze militari e civili.
La disciplinata fortezza dinanzi a tutte le imposizioni della realtà è frutto della nostra dottrina. Il socialismo non è dottrina di viltà…Quanto a voi, noi intendiamo tutte le ragioni per cui, al vostro sentimento e nella situazione presente, ogni voce di pace può suonare voce di resa. Ma anche nei giorni della maggior fortuna noi rivolgemmo a tutti i governi l’appello alla superiore ragione umana e civile, contro le infatuazioni di guerra senza fine, che traggono alimento dalle più opposte vicende militari, dimenticando quanto la guerra costi ai popoli d’ogni nazione…Signori del Governo: neppure la delicatezza della vostra, della nostra situazione crescente, vi trattenga dal considerare con chiara coscienza della realtà universale la condizione della patria e delle patrie- di oggi e di domani- per trarne monito e luce sulla via della rivincita della umanità che si svena!”.
La vittoria dell’Italia e dei paesi dell’Intesa, come aveva “profetizzato” Prampolini, non risolse i problemi, ma li aggravò ancora per lunghissimo tempo, regalandoci il fascismo e una seconda guerra mondiale.
1 commento
e poi dicono che la storia non è maestra di vita, siamo noi ignoranti che continuiamo a non conoscerla