Poveri uomini, sono sempre colpevolizzati e accusati di qualsiasi cosa, soprattutto di quello che non fanno.
Quando una donna affronta il tema della violenza, puntualmente spunta l’uomo che sente la necessità di specificare che lui non è un violento, che non tutti gli uomini sono violenti. Grazie, Graziella e grazie al sushi. Questa affermazione ha la stessa utilità di un materassino bucato.
Gli uomini che esordiscono con queste affermazioni ricordano molto quelli che nel Giorno del ricordo della Shoah hanno bisogno di domandare in maniera provocatoria “e allora le foibe?“. Spiace dirlo, ma spesso i due individui sopracitati combaciano, con la differenza che oltre a quelli “delle foibe”, al coro del “non tutti” se ne uniscono molti altri, di qualsiasi livello di istruzione, di qualsiasi livello sociale.
Un’affermazione di questo tipo denota un’assoluta mancanza di interesse per la questione, un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti delle donne vittime di violenza e il maldestro tentativo di non riconoscere che il problema della violenza, cari maschietti, vi riguarda eccome.
Se una donna su tre ogni anno, in Italia, è vittima di violenza, potenzialmente un uomo su tre rientra nella categoria del maschio maltrattante. Signori miei: se voi non siete violenti, di uomini che rientrano nella categoria ne conoscete sicuramente qualcuno. La vostra responsabilità non finisce qui: oltre alla violenza -fisica, sessuale, psicologica, economica- esiste tutta una serie di atteggiamenti che avallano questi comportamenti o che, ad ogni modo, non li condannano.
Immaginando i visi di molti di voi portatori sani di pene che, leggendo queste righe, avrete già raggiunto un buon grado di irritazione, sempre che non abbiate chiuso la pagina alla seconda riga, provo a fare un esempio che esuli dal mondo donne e violenza – due parole che vi mettono subito sulla difensiva e, per quanto intelligenti, vi conducono a sortite indegne- : non vi sareste sentiti responsabili del razzismo e dello schiavismo qualora vi foste trovati a vivere nell’Alabama del 1920, con una servitù di colore (per quanto trattata con rispetto), scuole e mezzi pubblici divisi, il vicino che frusta la governante e ridendo alle battute e alle offese sui neri?. Pensateci e datevi una risposta onesta, interiorizzando che questa risposta deve valere anche per la questione che sto affrontando.
I dati statistici ci ricordano ogni giorno che nel nostro paese la questione violenza, abusi e molestie è una questione urgente, data la gravità. Se qualcuno di voi non può vivere senza che venga messo per iscritto che non avete mai mosso violenza, posso anche farlo ma a che pro? Affermare che “non tutti gli uomini sono/fanno così” in che modo sarebbe funzionale alla soluzione del problema? A mio avviso questo mettersi sulla difensiva, oltre a tradire una certa coda di paglia- excusatio non petita accusatio manifesta- aggrava il problema, perché porta la discussione su un differente livello e la sminuisce, spesso pubblicamente, non mettendone in risalto la gravità.
Per affrontare un problema, in questo caso una vera emergenza sociale, è fondamentale innanzi tutto portarlo in superficie, alla luce del giorno. Conoscerlo per riconoscerlo. Va da sé che come sei tu, nello specifico, spiace fartelo sapere, è irrilevante. Per permettere una migliore comprensione del concetto, provo a rivolgervi una domanda retorica: sostenere che non tutti gli italiani (piuttosto che io) siano affiliati alle mafie, risolve il problema della malavita organizzata di stampo mafioso presente sul nostro territorio?. Un atteggiamento di questo tipo si dimostra non solo inutile, ma addirittura controproducente.
Soprassedendo in questa sede, dall’ inoltrarmi nella specificità della violenza tout court, vi faccio una breve carrellata di tutti i vostri atteggiamenti che contribuiscono in maniera non secondaria a incrementare, o addirittura motivare il maschio maltrattante:
- Girarsi dall’altra parte quando si è fisicamente testimoni di una violenza, soprattutto quando il violento è un conoscente, un amico o un parente.
- Mettere in dubbio la testimonianza, rilasciata con immenso dolore, dalla vittima. Se volete contestare questo punto, fatevi un giro sul web, provate a tornare al caso Harvey Weinstein, oppure alle recentissime testimonianze della ragazza che denuncia lo stupro da parte del giocatore del Livorno, e leggete i commenti.
- Mettere in dubbio gli stupri o mettere i like al demente che sotto notizie di questo genere puntualmente scrive “bisogna vedere se è vero, lo sapete che potete rovinare la vita di un uomo così?” . Cretinetti, una volta ogni tanto pensa a quanto può essere stata rovinata l’esistenza della donna abusata. Un bel tacer non fu mai scritto.
- Affermare “ma che esagerazione!”, sminuendo la violenza subita.
- Fare battute sessiste e riderne con gli amici
- Mostrare eccessiva foga e interesse per i casi di Revenge porn, contribuendo alla divulgazione del materiale.
- Sostenere “se l’è cercata“. Oltre a essere una vergognosa falsità, facendo anche finta che sia vero, una sortita simile distrugge definitivamente la vittima e lava la coscienza e la responsabilità sociale dell’uomo violento.
- Continuare a foraggiare la retorica dello stereotipo di genere (“sei acida hai il ciclo?; le donne vere mettono la famiglia al primo posto, “donna al volante…” etc)
Prevenendo l’appunto che sta già per attraversarvi la cavità orale, posso confermare che molti degli atteggiamenti sopra elencati, sono assunti anche da alcune donne, anche se -provate ad ammetterlo – in numero decisamente minore.
Questa tipologia di donne, come quelle che sostengono rispetto a uno stupro il “se l’è cercata“, si narra, che pronuncino queste frasi per auto-rassicurarsi, per cullarsi nell’illusione che “se non mi vesto così, se non assumo questo genere di atteggiamenti a me non succederà“. Che lo facciano per questo, sono d’accordo solo parzialmente. Questa tipologia di donne sono le stesse che, quando trovi la forza di parlare della violenza, ti chiedono come sia possibile tu ci sia cascata, quelle che ti raccontano cosa avrebbero fatto loro al posto tuo, quelle che demonizzando completamente gli uomini, li allontanano dalla discussione su una problematica di cui sono direttamente responsabili; quelle che affermano di essere a loro volta delle vittime, anche quando palesemente non lo sono – chi ha subito realmente violenza lo capisce nell’immediato- quelle che in una parola possono a ragione essere chiamate emerite stronze.
Citando un vecchio modo di dire “educa il bambino e non dovrai punire l’uomo“, concludo ribadendo l’urgenza di un immediato ritorno, nelle scuole, dell’educazione sessuale e sentimentale e del tentativo di recupero degli uomini maltrattanti: anche se fosse uno solo, sarebbe comunque meglio di nessuno. A questo riguardo, anticipo l’intervista che, a breve, verrà pubblicata su questa mia rubrica: affronterà la questione la dottoressa psicologa Stella Cutini, responsabile del Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti. Il CAM è stato il primo centro di questo tipo a nascere in territorio italiano, nel 2009; è partner del Progetto Europeo ENGAGE, cofinanziato dalla Commissione Europea (2017-2019), è attivo nell’ascolto di donne e uomini, è promotore di campagne di sensibilizzazione e progetti. Tra le molte attività è riferimento per i tribunali, che indicano il percorso di recupero come primo tentativo di intervento sull’uomo maltrattante.
Rossella Pera
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