Il Federalismo fiscale non c’è e si vogliono dare alle Regioni poteri differenziati.
L’attuazione del Titolo V°della Costituzione può svilupparsi compiutamente, se contestualmente al processo di attuazione del federalismo fiscale avviato dalla legge n. 42/2009, si procede con altrettanta coerenza all’attuazione degli articoli 114, 117 e 118 della nostra carta fondamentale garantendo la necessaria armonia tra i due provvedimenti. Il ddl di individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni e la Carta delle Autonomie rappresenta un elemento essenziale per dare attuazione alla riforma del Titolo V° e per avviare il federalismo fiscale. Ancorché i provvedimenti di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 prevedano un regime transitorio entro cui realizzare, a regime, il federalismo fiscale, è necessario mettere in parallelo la definizione delle funzioni e le modalità per il loro finanziamento, cosa che oggi è lontanissima dall’esserlo ! Ma è proprio il problema delle funzioni dei Comuni e delle Provincie che merita particolare attenzione tra le altre numerose perplessità, incertezze, contraddizioni che si rinvengono in questo panorama così confuso. E’ fuori dubbio che la tipologia, la dimensione, il contenuto concreto delle funzioni da attribuire agli enti locali caratterizzano l’effettiva sfera di autonomia istituzionale dei medesimi. E’ altrettanto evidente che la possibilità di esercitare dette funzioni attraverso l’adeguata dotazione di risorse finanziarie rappresenta l’altro aspetto dell’autonomia che è appunto l’autonomia finanziaria. Ciò premesso, l’articolo 119 della Costituzione, nella nuova versione introdotta dalla legge costituzionale, 3/2001, assicura la piena coerenza del rapporto funzioni-finanza. Esso infatti stabilisce con chiarezza, oltre al principio dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni applicano tributi ed entrate propri, dispongono
di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio e ricevono una quota di un fondo perequativo, qualora si trovino in territori con minore capacità fiscale per abitante. Queste tre tipologie di entrata devono consentire agli enti suddetti di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Dal dettato costituzionale appare pertanto evidente che l’individuazione delle funzioni da attribuire ai Comuni e alle Province
si pone come un’operazione indispensabile di carattere preliminare per determinare l’ammontare delle risorse finanziarie complessive di cui i medesimi enti devono poter disporre. La strada tracciata dalla Costituzione per il federalismo nel nostro paese indica che i livelli essenziali delle prestazioni devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Ma i “livelli essenziali” devono ancora essere definiti e le manovre economiche degli ultimi
anni hanno come effetto sia tagli diretti ai Comuni sia tagli indiretti provenienti dalle Regioni, con evidenti ripercussioni sulla capacità dei comuni di salvaguardare un “sistema minimo” di servizi, a fronte di un bisogno crescente. Quello che sta accadendo, mentre si discute di federalismo differenziato, rappresenta il più forte attacco all’autonomismo comunale e locale dai tempi del centrismo degli anni cinquanta. L’impennata centralista è dimostrata da numeri e percentuali inequivocabili che dimostrano la compressione dell’autonomia finanziaria, dalla manovra ingiusta e costosa sull’IMU, all’applicazione delle addizionali, alla gestione del Patto di stabilità. Ci si è mossi, infatti, in un quadro sovrastante di controllo della spesa e di riduzione dei costi della pubblica amministrazione di dubbia e ridotta efficacia e comunque con scelte fortemente lesive di peculiari competenze regionali e locali, non da ultimo contenute anche nella recente manovra economico-finanziaria. Si tratta di un modo di procedere che considera le autonomie locali una variabile dipendente delle scelte del Governo centrale e non un interlocutore paritario ed affidabile con cui pattuire misure e scelte di finanza pubblica che devono essere adottate con spirito di responsabilità e nell’interesse della Repubblica nel suo insieme. Si è attaccata l’autonomia statutaria, con imposizioni irragionevoli quali quelle sui consigli circoscrizionali; e quella amministrativa, con prescrizioni irricevibili, regressive, quali quella sui Direttori. C’è un contenzioso presso l’Alta Corte che ha fondatissime ragioni. Però, dobbiamo dirlo, il colmo si è toccato, per certi versi, con la diminuzione dei
consiglieri comunali e provinciali e con la sterilizzazione dell’ente provincia. Una chiamata demagogica a concorrere ai sacrifici necessari. Voglio dire questo: attenzione ! Perché sulla strada della perdita d’autonomia e di dignità, della de-responsabilizzazione e dei tagli indiscriminati, cioè volutamente ingiusti, si possono bruciare l’esperienza politica migliore e provocare un’ulteriore involuzione dei sistemi politici locali: ciò che ha rappresentato per tanti versi la tenuta del paese, la rinascita di tante città, la vitalità nuova di tanti territori, il
mantenimento di coesione sociale. Molti Comuni e Province si sono caratterizzati in questi anni per aver messo in campo istituti di rendicontazione della propria attività ai cittadini, come il bilancio sociale o il bilancio di fine mandato. Hanno anche attivato istituti di intervento diretto per la formazione delle decisioni pubbliche, come il bilancio partecipato, e alimentato diversi canali di rendicontazione trasparente del proprio operato. Il Governo
centrale non smette mai di dare lezioni agli altri livelli costituzionali della Repubblica e pensa di sostituirsi al giudizio vero che in ogni democrazia spetta al cittadino. E’ il segno inequivocabile di una piega autoritaria e la conferma che il federalismo fiscale non è altro che una ristrutturazione della finanza pubblica nel segno della centralizzazione della risorse, contro i territori. Di certo, dunque, non ci sottraiamo alla sfida del federalismo. Ma
denunciamo la contraddizione evidente tra il percorso di attuazione e i provvedimenti che incidono negativamente sulla vita dei Comuni, delle famiglie, delle imprese. Nonostante il Titolo V°e la tanto sbandierata riforma della finanza pubblica il rapporto tra entrate proprie e entrate derivate si è invertito. Sostanzialmente spostando il confronto su un terreno sempre più arretrato – la negoziazione di risorse derivate – rispetto agli equilibri raggiunti in passato. Si rischia di tornare a un meccanismo totalmente deresponsabilizzante e frustrante
che inquina il corretto rapporto tra sindaci ed elettori. Perché espone i sindaci e gli amministratori locali alle pressioni delle proprie collettività, che chiedono adeguati livelli di efficacia dei servizi e nello stesso tempo li lascia senza strumenti per intervenire. Mentre i cittadini sono portati a caricare di eccessive aspettative il mandato elettorale conferito ai sindaci, creandosi così disillusione e insofferenza che alimentano i già forti egoismi e
particolarismi. E’ una spirale perversa che va invertita. I Decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale presentano molte carenze o sono delle scatole ancora vuote. Essi rinviano a successivi studi ed elaborazioni che li sottraggono sostanzialmente ad ogni controllo politico e parlamentare; quindi sono pieni di incognite. In sostanza, non vorremmo che su questo terreno si alimentasse una pericolosa tensione tra Regioni del Nord e regioni del Sud; oppure, al contrario, che non cambi nulla perché si allarga il numero delle Regioni prese a riferimento fino al punto che il parametro standard si avvicina alla media nazionale. Sul piano del federalismo, un intervento poco coerente non in grado di garantire programmabilità del bilancio, con elementi di ambiguità rispetto alle modalità della perequazione e soprattutto che non ricostruisce la necessaria corrispondenza tra beneficiari della spesa pubblica e cittadini chiamati a sostenerne i costi. Ma il vero problema è la ulteriore assenza della riforma in senso territoriale della seconda Camera, fondamentale per il riassetto complessivo di cui il nostro Paese ha bisogno. Non basta infatti aver proceduto ad un trasferimento di competenze legislative (riforma del Titolo V°), al tentativo di trasferire quelle amministrative e all’avvio del federalismo fiscale(con la legge delega 42 /
2009 e i primi decreti attuativi). Senza una seconda Camera federale all’interno della quale trovare una sintesi fra le istanze locali e quelle nazionali attraverso una ricomposizione degli interessi e degli eventuali conflitti fra i diversi livelli interessati, nella migliore delle ipotesi si rischia di procedere con un neo-centralismo di fatto che violenta e umilia qualsiasi velleità da parte delle autonomie locali e delle regioni. Se la struttura ordinamentale è così debole quello che rischiamo di vedere attuato è un federalismo fiscale dei forti in barba all’equilibrio fra diversi livelli istituzionali. Un federalismo fiscale in cui vedremo applicato un “altro articolo quinto”, quello per cui chi ha i soldi vince sempre. Siamo ad un passaggio decisivo per il sistema delle autonomie e per l’Italia nel suo complesso. A questo punto, per il bene del Paese, è responsabile chiedersi se continuare su questa strada il gioco vale la candela.
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