di Enrico Maria Pedrelli
Care compagne e cari compagni,
vi comunico la mia uscita dal Partito Socialista Italiano e le mie dimissioni dalla carica di membro del Consiglio Nazionale.
Questa decisione è il frutto di una riflessione molto lunga, che parte da lontano, mentre tentavo di cambiare le cose, e non ci sono riuscito. Molti conoscono questo percorso, altri saranno sorpresi da queste mie parole; mi dispiace non aver potuto avvisare tutti, siete tanti, troppi, per cui affiderò anche ai social questo messaggio.
Scrivo queste parole, che mi sono pesanti, da Fratta Polesine, paese di Giacomo Matteotti. Sono tornato a visitare la sua casa e reso omaggio alla tomba, assieme ai compagni della FGS. Dopo ormai 100 anni, il messaggio di Matteotti è ancora potentissimo, e venire qui da socialisti significa rinnovare un impegno. Decidere, schierarsi, non starsene zitti.
Io ho deciso di non tollerare più la dissociazione che c’è tra il nostro grande ideale e le piccolezze della classe dirigente del PSI. Ho sopportato troppo e la situazione non è più dignitosa.
In questi anni ho assistito a prepotenze di ogni genere: diversi tentativi (tutti falliti) di creare un dipartimento giovani per sostituire la FGS, consigli nazionali senza regole e dove si alzano le mani a chi contesta, la cancellazione di compagni che hanno fatto la storia del Partito, il commissariamento vergognoso di Palermo, il trattamento miserabile nei confronti di una giovane lavoratrice scaricata dall’oggi al domani… potrei andare avanti a lungo, ma l’ultima, insopportabile, infamia è il commissariamento imposto al Veneto. Comunicato il giorno del delitto Matteotti, con motivazioni che giudico pretestuose e inconsistenti, nei confronti di una Federazione regionale viva e dinamica, con l’unico difetto di dissentire.
È palese che non sia possibile alcuno spazio di democrazia interna. A quelli che dicono “prendetevi il partito”: non è tecnicamente fattibile. E questa è solo la prima parte del problema.
La seconda parte, più evidente agli osservatori, è che il PSI ha perso la sua autonomia dopo il disastro elettorale e manca gravemente di una funzione politica. Quest’ultimo però non è certo un problema recente, ma finché c’era quel guizzo corsaro nel fare proposte in Parlamento, quel clima culturale vivo, il PSI aveva una dimensione dignitosa e interessante. Oggi non c’è più niente di tutto questo.
Me ne sono accorto quando mi sono confrontato con tanti compagni nel tentativo di dare uno scossone al partito dopo il disastro elettorale.
Non c’è voglia di far politica.
Dobbiamo essere sinceri. Il motivo per cui tanti compagni prendono la tessera non è perché, come un secolo fa, il partito rappresenta uno strumento di emancipazione della classe lavoratrice: la maggior parte prende la tessera per un fatto meramente nostalgico, altri perché glielo dice l’amministratore locale di riferimento (sono buono), altri ancora perché il partito è l’hobby perfetto, dove giocare un gioco di ruolo molto appagante. Sentirsi come Nenni con pochi spicci, mentre il tuo impegno politico non serve a nulla e nessuno.
I compagni che fanno politica con senso di missione per gli altri ci sono. Ho sempre cercato di circondarmene, ma sono sempre meno dentro il Partito, dove manca questa sensibilità all’utilità e alla funzione politica, mentre si pensa esclusivamente all’apparire – salvo non rendersi conto del brutto spettacolo offerto quando si fanno iniziative con quattro gatti e zero contenuti.
Ho 26 anni e sento una grande responsabilità addosso. Abbiamo visto il covid, vedo la guerra, il cambiamento climatico, gli scioperi, il mondo che ribolle e la mia generazione che ha iniziato a rendersi conto che si deve impegnare.
Io non posso più impegnarmi qui, perché non c’è più niente da fare. Lo sfregio al messaggio di Matteotti è pensare che contino di più le medagliette ai fatti. Il PSI non è uno strumento utile per la classe lavoratrice, per i giovani e le donne, i precari e i lavoratori migranti. È utile solo per chi vuole continuare a giocare quel gioco in santa pace. Io a quel gioco non ci voglio più giocare.
Abbiamo già detto come FGS che ci vuole un congresso costituente per un soggetto nuovo e più largo. Che si fondi su una solida funzione politica. Fin quando non succederà, la mia strada si separerà da compagne e compagni a cui voglio infinitamente bene, ma verso cui ho deciso di mandare questo messaggio forte perché così non va più.
Di questo ne ho parlato con la Segreteria FGS a cui ho chiesto di non seguirmi, non perché il malumore non sia condiviso e diffuso, ma perché questa mia azione vuole essere l’estremo segnale.
L’ultimo pensiero lo voglio rivolgere alle compagne e i compagni della Federazione di Cesena, e nello specifico alla compagna Anna Maria Bisulli. Ho iniziato i miei primi passi in quella biblioteca di sezione, e voglio ripetere che per loro ci sarò sempre. Sia come giovane socialista sia come Vicepresidente della Cooperativa Matteotti.
Il mio impegno politico, oltre che da Segretario Nazionale FGS, continuerà in altre maniere. Raccogliere strumenti, tenere contatti, ampliare la rete, unire i nuovi socialismi. È una cosa che avevo già iniziato a fare.
Sarà più utile e sarà più bello.
1 commento
Ogni scelta va ovviamente rispettata, insieme alle ragioni che l’accompagnano, ma nella storia socialista ogni qualvolta ci si divideva per prendere strade diverse, o anche per continuare a stare insieme ancorché su posizioni un po’ differenziate, lo si faceva, che io ricordi, sull’onda della rispettiva linea politica (non mancavano talora, come è fisiologico, anche le motivazioni personali, ma si trattava comunque di eccezioni rispetto alla norma, stando sempre ai miei ricordi).
Volendo semplificare, anche se lo schematismo, di sovente, è giocoforza approssimativo e un po’ generico, una linea politica puntava decisamente al riformismo, mentre l’altra risentiva ancora di qualche tentazione massimalista, due orientamenti che sono riusciti spesso a convivere, ma quando diventavano incompatibili si separavano, mi verrebbe da dire in maniera consensuale, e responsabile, perché reciprocamente consapevoli che la coabitazione si era resa impraticabile.
Anche negli anni di Tangentopoli, e immediatamente successivi, dopo lo scioglimento del PSI di allora, prendemmo strade diverse, sempre per discordanti visioni sulla rotta politica da intraprendere, e lo facemmo comunque con reciproco rispetto, pur nelle forti difficoltà e anche incertezze di quei momenti, e qui mi fermo per concludere che, al di là della delusione che può aver provato Enrico Pedrelli, sarebbe interessante capire se ci sono state dissonanze sulla linea politica.
Paolo Bolognesi 14.06.2023