Di Edoardo Crisafulli.
Perché ricordo con orrore gli ignavi che, negli Anni di piombo, dicevano “né con lo Stato democratico, né con le Brigate Rosse”. Oggi i loro eredi dicono “né con Israele, né con Hamas”. Oppure, ancor peggio, c’era chi diceva che i brigatisti erano “compagni che sbagliano”. Oggi i loro emuli giustificano Hamas. La violenza terroristica rianima, in me, un imperativo etico e politico: schierarmi con le liberal-democrazie e le organizzazioni politiche che hanno bandito la lotta armata – beninteso: nel caso in cui si fronteggia uno Stato democratico qual è Israele.
Perché Sandro Pertini, ex partigiano ed antifascista come ce ne sono stati pochi, divenuto Presidente, quando seppe che fra i camalli genovesi c’erano simpatizzanti delle Brigate Rosse, salì su un palco a Genova e disse loro: “Anch’io ho combattuto nelle Brigate Rosse, ma contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”
Perché Israele è l’unica liberal-democrazia in Medioriente; lì si svolgono regolarmente elezioni politiche, lì il maschilismo patriarcale è residuale, in via di scomparsa; lì i diritti LGBT sono tutelati e quelli delle minoranze religiose pure. In Israele vivono pacificamente quasi due milioni di cittadini di etnia araba, i quali votano e possono candidarsi alla Knesset, mentre a Gaza (e in vari Paesi arabi) gli ebrei dovrebbero girare con la scorta armata.
Perché Hamas e la jihad islamica hanno dichiarato una guerra totale ai valori libertari della società aperta e tollerante che abbiamo edificato in Europa dopo dittature e guerre fratricide. Valori, questi, sposati in pieno da Israele e ripudiati dai jihadisti. E infatti gli islamisti radicali vedono Israele come uno scandalo intollerabile, nel cuore del Medioriente: le sue leggi laiche sono sacrileghe, eppure la Stella di David troneggia a Gerusalemme, città santa. Diritti civili, matrimoni omosessuali, gay bar, donne libere? Aberrazioni sataniche! Se vincesse Hamas il popolo palestinese sarebbe il primo a soffrire ulteriormente sotto il tallone e gli artigli di una organizzazione criminale che ha in mente uno Stato islamico simile a quello dei talebani in Afghanistan: legge del taglione, lapidazioni, torture, carcere e uccisioni sommarie degli oppositori, diritti negati alle donne ecc.
Perché se è vero che nella questione arabo-israeliana le ragioni non sono tutte da una parte, è altrettanto vero che è da folli equiparare una democrazia liberale e una tirannide, per giunta di stampo teocratico. Gli americani bombardarono Dresda, Hiroshima e Nagasaki. Ma, a differenza dei sovietici e dei nazisti, non pianificarono genocidi, non eressero Lager o Gulag per rieducare i dissenzienti, né schiavizzarono i vinti: a guerra conclusa, aiutarono tedeschi e giapponesi a risollevarsi dalle macerie, in un clima di benessere e di libertà. Ne potete esser certi: se vincerà Israele vi saranno le condizioni per una pace onorevole, in una cornice democratica.
Perché se è vero che Israele talora ci va giù pesante nelle sue reazioni militari, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza degli israeliani desidera un Medioriente democratico, privo di fili spinati. Israele ha una società civile dinamica, capace di insorgere contro le leggi liberticide emanate da chiunque governi. Come è avvenuto di recente. E l’Israel Defense Force o Tsahal combatte terroristi e miliziani armati: in Israele la vita è sacra. Hamas, all’opposto, uccide di proposito donne e bambini ebrei. Hamas ama al tal punto i propri correligionari e connazionali che li usa come scudi umani ovvero carne da macello.
Perché Hamas e Jihad islamica agognano una sola cosa: cancellare dalla mappa lo Stato democratico ed ebraico, che è pienamente legittimo secondo il diritto internazionale: Israele fu riconosciuta dall’ONU nel 1947. La risoluzione dell’ONU prevedeva la spartizione, e quindi anche uno Stato arabo palestinese. Ma le nazioni arabe rifiutarono questa soluzione equilibrata. Hamas e i suoi sponsor internazionali hanno un obiettivo demenziale: ridurre la presenza ebraica in Medioriente a comunità-monadi soggiogate, rinchiuse in ghetti, prive di un barlume di identità nazionale.
Perché la strategia criminale di Hamas non ha nulla a che fare con i legittimi interessi palestinesi: Hamas e i suoi sponsor internazionali non si accontentano di una Palestina indipendente. Hamas conduce una guerra per procura e, pur di avvinghiarsi al potere, non esita a destabilizzare il Medioriente. Il terrorismo di Hamas, nella sua versione “pragmatica”, mira ad impedire la normalizzazione dei rapporti diplomatici fra Stati arabi ed Israele. Nella sua versione ideologica, folle, punta a instaurare – su tutta la Palestina storica – uno Stato totalitario retto dalla Sharia islamica.
Perché gli errori o le violazioni dei diritti umani commessi da governi democratici non giustificano reazioni ancor più sanguinarie da parte di chi quegli errori e quelle violazioni subisce. Se così non fosse, lunga sarebbe la lista di leader criminali – Lenin, Stalin, Hitler, Pol Pot ecc. – che potrebbero addurre scusanti di fronte al Tribunale della storia e della coscienza morale collettiva (la servitù della gleba o lo zarismo in Russia, il trattato di Versailles che punì la Germania, il colonialismo europeo ecc.)
Perché credo nel libero arbitrio: le persone non sono automi in balia di circostanze e fattori materiali. Senza un’ideologia che esalta la violenza, predicata da persone in carne e ossa, il terrorismo non esisterebbe. Hamas e la Jihad avrebbero potuto rispondere alle politiche israeliane con un ramoscello d’ulivo, e invece hanno scelto il kalashnikov, i razzi e le bombe umane. Non era, quella, una scelta obbligata. E infatti Gandhi, in una situazione ben peggiore di quella in cui trovano i palestinesi oggi, rifiutò la violenza. E vinse contro il colonialismo britannico. Vinse moralmente, oltreché sul piano politico. Vinse perché non si fece accecare dall’odio e dal desiderio di vendetta.
Perché già Bettino Craxi, “il leader di Sigonella”, convinse l’amico Arafat e la dirigenza dell’OLP a rinunciare alla lotta armata, avviando così un processo politico che portò ai negoziati di pace: se c’è un Paese contro cui funzionerebbe la lotta pacifica, non violenta, gandhiana quello è proprio Israele. Anche il Sudafrica post-apartheid è un esempio nobile: Nelson Mandela, dopo decenni di carcere, volle la riconciliazione nazionale in Sudafrica, in nome della convivenza pacifica.
Perché chi vuole bene al popolo palestinese, e io sono fra questi, può dialogare solo con leadership laiche o con religiosi modernisti aperti al dialogo: Yasser Arafat non era uno stinco di santo, ma lottava per un ideale nazionale e realistico: l’autodeterminazione della Palestina, mica la Sharia islamica. E, alla fine della sua militanza, rinunciò all’uso delle armi. Finita la guerra, bisognerà mettere fuorilegge Hamas e organizzazioni jihadiste consimili, seguendo l’esempio dei tedeschi e degli italiani che hanno proibito la ricostituzione del partito nazista e fascista. Zero tolleranza con gli intolleranti fanatici.
Perché sono un menscevico, un democratico, un libertario. Mi sono abbeverato alla filosofia greca e all’illuminismo. E amo troppo l’umanità per voler trascinare i miei avversari di fronte a un plotone di esecuzione (così Turati). Se accettassi l’insurrezione violenta in linea di principio, dovrei giustificare la rivoluzione bolscevica e dar torto a Filippo Turati, il più visionario leader socialista, il quale ammetteva la lotta armata in circostanze eccezionali, ovvero la perdita della libertà politica ad opera di tiranni o l’invasione da parte di Stati imperialisti (come quella dei russi in Ucraina oggi). I palestinesi a Gaza, semmai, hanno diritto alla lotta armata contro Hamas. Questa sì che sarebbe una sacrosanta lotta di liberazione!
Perché anche quando la lotta armata è giusta e necessaria vi sono limiti da rispettare: i nostri partigiani, nella guerra civile del 1943-45, non piazzavano bombe nelle scuole tedesche, non sgozzavano donne e bambini, né sparavano come cacciatori eccitati a ragazzi e ragazze che ballano a una festa: conducevano azioni di guerriglia contro soldati tedeschi e fascisti conclamati, in divisa. Hamas spara razzi e missili a casaccio, se potesse attuerebbe uno sterminio.
Perché il terrorismo jihadista è per natura aggressivo e non già reattivo. La violenza cieca e assassina squalifica qualunque causa, anche la più nobile. Il terrorismo stragista è geneticamente reazionario: non è l’arma dei poveri e dei frustrati, è il metodo teorizzato e messo in atto da individui disumani, che trattano l’umanità come mezzo e non già come fine. Il terrorismo non è solo un metodo aberrante: è la finalità di nichilisti che agognano la distruzione dell’esistente in nome di distopie aberranti. Jihadismo radicale, bolscevismo e nazismo hanno lo stesso patrimonio genetico: sono reazioni ferocemente zelote all’Occidente “impuro”, che si fonda sulle libertà e sui diritti dell’individuo.
Perché questa è l’ennesima dimostrazione che i rivoluzionari di professione sono carichi d’odio e bramano vendetta. La rivoluzione salvifica – marx-leninista, nazista o jihadista – mira all’annientamento del diverso di turno. I rivoluzionari si “autoinvestono” di una missione religiosa: purificare la società dagli esseri impuri, considerati alla stregua di cimici, scarafaggi, vermi: ebrei, illuministi e libertari, omosessuali, menscevichi o socialisti democratici (= social-traditori), kulaki ucraini ecc. L’Occidente va sanificato perché è contaminato dal morbo della modernità.
Perché non è vero che i palestinesi a Gaza vivono in una prigione a cielo aperto a causa di Israele. Sì, c’è stato un parziale embargo nei confronti di quella striscia di terra sovrappopolata. E che dire di Hamas, che governa col pugno di ferro? In questi anni i jihadisti hanno ricevuto ingenti finanziamenti umanitari. Solo una parte di essi sono stati utilizzati per il benessere del popolo palestinese. Sì, certo, Hamas ha costruito ospedali e fatto “beneficenza”, ma solo in funzione del radicamento del suo potere assoluto. Anche Hitler promosse politiche sociali, contro la disoccupazione! Hamas avrebbe potuto investire in acquedotti e infrastrutture e scuole che predicano la convivenza pacifica. E invece ha acquistato armi e razzi, ha scavato bunker e tunnel, ha addestrato un’intera generazione all’odio e alla guerra senza quartiere.
Perché Israele è stata fondata da sionisti di fede socialista e la sinistra israeliana ha generato partiti “fratelli”, che aderiscono all’internazionale socialista. Non a caso Hamas ha attaccato con ferocia inaudita i Kibbutz, comunità che si basano sul lavoro agricolo collettivo, sulla condivisione dei beni e sulla solidarietà reciproca. Pietro Nenni fu sempre a fianco di Israele. In visita a Gerusalemme nel 1971, disse “salviamo i Kibbutz!”. Le ceneri di Vittoria Nenni, partigiana socialista, uscirono dai camini di Auschwitz mescolandosi a quelle di tanti ebrei.
Perché noi europei siamo “spiritualmente semiti”: le nostre radici culturali sono al contempo pagane (greco-romane) ed ebraiche – il cristianesimo è un giudaismo ellenizzato, una gemmazione sul tronco del monoteismo abramitico. Kennedy, nel 1963, a Berlino Ovest pronunciò la celebre frase “Ich bin ein Berliner”; ebbene noi oggi dovremmo dire con lo stesso slancio “io sono ebreo”.
Perché noi europei abbiamo un debito di riconoscenza per lo straordinario contributo che gli ebrei hanno dato alla civiltà occidentale, di cui fanno parte integrante. Gli ebrei non sono un corpo alieno o estraneo in Europa: la comunità ebraica romana è addirittura prediasporica! Gli ebrei, in Italia, sono autoctoni tanto quanto i latini e gli etruschi ecc. Gli ebrei devono poter vivere in pace sia in Europa che in Medioriente!
Perché l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo hanno avvelenato i nostri pozzi per troppi secoli: è giunta l’ora di depurarli iniettandovi dosi massicce di filo-semitismo. Noi europei abbiamo un debito storico nei confronti di Israele e degli ebrei, inclusi coloro che non sono sionisti. Espulsioni, conversioni forzate, discriminazioni e pogrom culminati nella Shoah (il genocidio ebraico): queste cose abominevoli sono avvenute in terre sedicenti cristiane.
Perché il sionismo esecrato dalla sinistra radicale e bollato come teoria razzista da molti arabi altro non è che un frutto della storia europea. L’affermarsi di una coscienza-identità nazionale, nell’Ottocento, lambisce anche le comunità ebraiche; gli ebrei della diaspora erano patrioti leali: un ebreo tedesco non si sentiva meno ‘germanico’ di un connazionale cristiano. Ma ostilità e diffidenza, spesso sfocianti in persecuzioni – emblematico il caso Dreyfuss a fine Ottocento –, hanno indotto molti ebrei a recepire l’idea di una nazione ebraica. Herzl teorizzò la necessità di uno Stato ebraico al fine di restituire dignità a comunità vessate o viste con sospetto. Dopo la Shoah – il genocidio di 6 milioni di ebrei – la costituzione dello Stato di Israele era una necessità storica, politica e morale. E oggi è imperativo difendere Israele.