di Marco Andreini.
Per tutta la mia prima parte di vita professionale ho cercato di tutelare i lavoratori. Per molti dirigenti sindacali della mia generazione lavorare al sindacato, più che un mestiere, era una vera missione. Infatti nel sindacato metalmeccanico il funzionario riceveva la retribuzione di un quarto livello, indipendentemente dal livello ricoperto in azienda.
È dal 1996 che non ricopro più alcun ruolo, ma negli anni precedenti ho praticamente seguito tutte le più grandi ristrutturazioni industriali a partire dai tavoli con la Bellisario in Italtel o quelli con De benedetti all’Olivetti.
Devo dire la verità, non è facile comparare l’attività di un funzionario attuale, che ha a che fare con padroni solo virtuali come le piattaforme gestite da algoritmi, e quella nostra al tempo del ciclostile, proverò a farlo .
Per comprendere il lavoro di quegli anni basta leggere un qualsiasi contratto nazionale, soprattutto per come è scritto. La prima parte dei contratti tratta dei diritti di informazione. Non è la cogestione tedesca, ma un primo passo verso quella direzione. Ogmi anno le aziende sono tenute ad informare i sindacati firmatari su tutto quanto concerne l’azienda, in riferimento a investimenti a commesse a scelte industriali e se facenti parte di multinazionali in appositi incontri di gruppo dei paesi dove risiede l& unità produttiva. E vorrei che si tenesse conto che non avevamo quella massa di informazioni in tempo reale che si ha attualmente, solo scrivendo un dato su un motore di ricerca.
Voglio essere sincero, poteva capitare a volte in una piccola azienda o una media, ma era quasi impossibile che venissimo coinvolti da un processo di crisi aziendale senza esserne informati, anche perché le nostre antenne erano i delegati che spesso avevano ruoli nell’ambito della gerarchia aziendale.
I contratti nazionali, dopo i diritti di informazione, trattano sulle condizioni di lavoro nelle aziende, su orari retribuzioni e diritti conquistati con molte lotte come le 150 ore .
E posso assicurarvi che tutti noi funzionari sindacali in pensione proviamo rabbia e tristezza quando sentiamo Landini e compagni lamentarsi dei salari bassi degli operai.
Chi, se non i sindacalisti deve trattare gli aumenti? E’ come dire a voce alta di essere incapaci di svolgere il proprio mestiere.
Mi sono confrontato con molti dei miei colleghi a partire dal mio grande amico Silvano Veronese. Silvano fu uno dei grandi protagonisti della politica di concertazione, quella che portò al grande patto sociale firmato con Ciampi che dette vita dopo la fine della scala mobile alla politica dei redditi.
E se qualcuno non ne fosse informato l’altro grande protagonista fu Bruno Trentin, grandissimo sindacalista e grande intellettuale. La notte di quel accordo del 31 luglio 1993 Trentin fu attaccato ferocemente in delegazione dal segretario della Fiom Sabatini che voleva che la CGIL abbandonasse il tavolo di trattativa. Trentin fu durissimo e rassegnò le dimissioni chiedendo alla delegazione di decidere. E siccome il carisma di Bruno era quello del leader della grande Flm dell’autunno caldo, la CGIL firmò l’accordo. E l’indomani tenemmo assemblee e poi un referendum in tutte le fabbriche, in tutti i luoghi di lavoro e la Fiom in tutte le fabbriche, a Milano dove operavo, a Genova e a Torino, invitava la gente a respingere l’accordo .
Nei metalmeccanici per poco vinse il no, ma in tutte le altre categorie vinse il si che sancì la nascita della politica dei redditi e la definizione di precise regole di rappresentanza che dettero vita alle RSU, che eleggemmo in tutte le aziende.
Quel sistema ancora oggi vigente presupponeva un contratto ogni due anni e un sistema di calcolo anticipato dell’inflazione, che doveva appunto essere recuperato negli aumenti previsti ogni due anni. L’altro asse del sistema era che si prevedeva un secondo livello di contrattazione a livello aziendale, nel quale era possibile ipotizzare anche aumenti salariali legati a obiettivi definiti e contrattati. Non è il caso di soffermarsi sui singoli accordi, ma in tutte le più grandi aziende e anche in quelle di media e piccola dimensione si aprì una grande stagione contrattuale dove ognuno di noi cercava di inventare di sana pianta sistemi di incentivazione legati a obiettivi. E lo facemmo anche nei reparti impiegatizi. Ad esempio in Abb creammo un sistema che aveva vari indici, tutti legati a obiettivi di budget sia finanziari e di gruppo sia produttivi. In molti casi la Fiom si oppose, ma la Fim e la Uilm e i lavoratori sceglievano la strada della redistribuzione dei profitti e ben pochi seguivano ideologicamente la Fiom che rifiutava di legare il salario a obiettivi. La ragione per la quale gli stipendi dei lavoratori sono fermi è questa, perché se tu hai inflazione zero, solo l’aumento della produttività può consentirti di aumentare i salari senza andare fuori mercato, tema che Landini ben conosce, visto che ha firmato un contratto nazionale con un euro di aumento. E tutta la contrattazione si è spostata su Welfare aziendale. Landini dovrebbe, ad esempio, spiegare perché va in TV a dire che Stellantis ha salari bassi, quando la Fiom è fuori da anni dai tavoli e proprio in questi giorni da Fim, Fiom Fismic, Ugl è stato firmato un contratto aziendale che ha portato ai lavoratori in media una mensilità in più. È la Fiom e la sua pervicace ricerca della conflittualità di classe che ha trascinato la produttività italiana che era molto alta, ad essere fanalino di coda nel mondo e la contrattazione aziendale che era considerata come un esempio da imitare in tutto il sindacato mondiale, al livello minimale attuale. Siccome oggi é tutto è bla bla il risultato è che tu hai stipendi bassi, produttività a zero e delocalizzazione spinta. Le cose non avvengono mai per caso in economia e in molte crisi aziendali le responsabilità del sindacato sono più che evidenti.