La settimana è stata intensa per la regina delle cucurbitaceae.
Mentre infatti doveva respingere gli attacchi del partito dei giudici cercando di non sparare nel mucchio, come faceva di solito, ma di mantenere alti i toni della diplomazia e promettendo ai magistrati amicizia eterna, tra Del Mastro, la pitonessa Garnero in Santanchè e La Russa non è che abbiano dato una mano scivolando, specie gli ultimi due, pure su monetine da 1 centesimo con autentiche figure di m… per le bugie così sfacciate da meritare di essere presi a schiaffi a vita. Ultima la vendita della villa di Alberoni comprata e venduta in 58 minuti, nell’arco dei quali hanno guadagnato un milione di euro, indovinate chi? Ma è ovvio, uno era il compagno della Garnero, Dimitri nonsocomesichiama perché ha una sfilza interminabile di cognomi, tutti finti, e l’altra era, nientepopodimenoche, Laura De Cicco moglie di Ignazio La Russa. Ironia della sorte.
(Certo che tra ministri e cariche istituzionali nel privato ne fanno di cose strane).
I due ovviamente negano tutto e vogliono far credere di aver fatto da semplici passa soldi. Peccato che Bankitalia e Guardia di Finanza a tutto credono tranne che al fatto che Gesù è morto di freddo e hanno aperto una inchiesta che si presenta molto pesante.
Ma tornando alla protagonista della settimana, Queen Giorgia, se da un lato la giustizia la pressava verso l’angolo, l’economia la sta mettendo alle corde.
In una intervista al Huffington Post Calenda lancia l’allarme.
“Stiamo perdendo il Pnrr e, con esso, la nostra credibilità internazionale e la possibilità di modernizzare il Paese,” ha tuonato il leader di Azione, “siamo all’emergenza. Mancano 17 obiettivi su 27, in un quadro complessivo in cui quest’anno abbiamo speso solo 1,2 miliardi su 30. Un ritardo clamoroso. È ora che tutti, a partire dal governo, facciano un bagno di realtà”.
I fondi ricevuti non sono stati spesi e i bandi non sono stati completati, insiste Calenda, “Circa 70 miliardi sono stati spesi quasi tutti da Mario Draghi e quasi tutti sono quelli non a bando ma con meccanismi automatici di spesa. Crediti d’imposta e similari. La pubblica amministrazione italiana non sembra in grado di spendere. E aggiungo: prevedere 133 mila bandi sotto il milione di euro è stato un grosso rischio.”
La Meloni assicura che la UE è totalmente disponibile con l’Italia. E ciò è dovuto essenzialmente alla linea del governo sull’Ucraina che per la leadership europea conta un casino. E poi ci sono le elezioni europee e fino ad allora dalle parti di Bruxelles saranno pazienti.
Ma quello che desta timore è l’andazzo sciamannato e vitellone tipico della indolenza alla italiana che non muterà neanche quando l’Europa non avrà più motivi per essere paziente.
E poi c’è un altro guaio sul terreno della finanza pubblica.
È di oggi la notizia che il debito pubblico ha raggiunto livelli astronomici.
Roba che quella leggenda metropolitana che attribuiva a Craxi uno sforamento impazzito del debito pubblico era a confronto una barzelletta da bar del circolo bocciofilo.
Allora il debito pubblico, dal 60% del 1978, toccò quota 80% del PIL con la fine del governo Craxi.
Oggi, udite udite, il nostro debito, dopo aver sfondato ad aprile la soglia dei 2.800 miliardi, a maggio è salito ancora di 4,8 miliardi a 2.816,7 miliardi di euro, segnando così l’ennesimo record.
Il limite del 100% del PIL fu superato con il primo governo Berlusconi e da allora ha avuto un andamento galoppante sino ai drammatici livelli dei giorni nostri nei quali il rapporto debito/PIL è circa del 150%. Quasi il doppio di quello di cui si incolpò Craxi.
Eppure questo paese, dopo aver usato questo argomento per lanciare le monetine davanti il Raphael e mandare in esilio il più grande premier della nostra storia repubblicana, ha dimenticato facilmente foderandosi gli occhi di prosciutto e ignorando il malgoverno della seconda repubblica.
Come ne uscirà la Meloni non lo so, se ne uscirà. Come ne esce il popolo italiano è evidente: di m…!
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Massimo Carugno
Vice Direttore. Nato nel 1956, studi classici e poi laurea in giurisprudenza, oggi è avvocato nella sua città, patria di Ovidio e Capograssi: Sulmona. Da bambino, al seguito del padre ingegnere, ha vissuto, dall’età di 6 sino ai 12 anni, in Africa, tra Senegal, Congo, Ruanda, Burundi, rimanendo anche coinvolto nelle drammatiche vicende della rivolta del Kivu del 1967. Da pochissimi anni ha iniziato a cimentarsi nell’arte della letteratura ed ha già pubblicato due romanzi: “La Foglia d’autunno” e “L’ombra dell’ultimo manto”. È anche opinionista del Riformista, di Mondoperaio e del Nuovo giornale nazionale. Impegnato in politica è attualmente membro del movimento Socialista Liberale.